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Serie: Rolangaròs


Una giornalista e una fotografa vengono mandate a seguire le surreali vicende di una piccola squadra di calcio, e rimangono invischiate in situazioni incredibili...

“Clarissa, sei licenziata!”

“Licenziata? Come sarebbe a dire?”

“Licenziata vuol dire licenziata, quindi prendi le tue cose e sparisci!”

Mi sembrava assurdo che la Accorrà mi stesse cacciando così, su due piedi, e continuai a fare le mie rimostranze.

“Direttrice, quindi adesso la colpa non è dell’assassino ma della vittima” le dissi pacatamente.

“No, perché in questo caso l’assassina ce l’ho davanti.”

“Quindi è colpa mia se mi ha mandato in mezzo a delinquenti di ogni genere, e sono stata picchiata senza motivo?”

“Certo, perché lo dovevi immaginare da subito, quando hai deciso di occuparti di cronaca cittadina.”

La Accorrà spinse indietro la sedia e si alzò, con i suoi vestiti sformati che valorizzavano ancora di meno le sue forme sgraziate. Mi guardò da dietro quei fondi di bottiglia che le rimpicciolivano gli occhi fino a farli sembrare due pallini neri e micidiali, e scuotendo la testa (facendo oscillare le guance che sembravamo prese in prestito da un bulldog) sospirò rumorosamente. Mi chiesi perché avessero preso a dirigere quella testata così rispettata una donna così sciatta e scostante. Cercai di contenermi, e le dissi molto cortesemente: “Mi sta tutto bene, ma non vedo che diritto avessero quelli a picchiarmi con una spranga.”

“Trovati un’altra testata dove sopportino i tuoi capricci.”

“Venticinque punti e sono capricci!”

“Vattene immediatamente!”

Battei la mano sulla scrivania e dissi: “Va bene, vado! Però dai Carabinieri!”

Uscii sbattendo la porta e mi imbattei in Anna: era la mia fotografa di fiducia nonché la mia miglior amica, e non sapevo che avesse seguito con attenzione il folle diverbio da dietro la porta.

“Quella donna è fuori controllo” mi disse.

Mi strinsi nelle spalle.

Anna si sedette e si passò una mano fra i lunghi capelli rossi, poi mi guardò.

“Se ti licenziano, mi licenzio anch’io” affermò.

In quel momento irruppe nel corridoio dov’eravamo Sigismondo, con un foglio in mano: era un ometto piccolo e secco, pelato, con due grossi baffi sale e pepe, sempre in camicia, gilet e scarpe con i tacchetti, di professione segretario. O meglio, così voleva essere chiamato: in realtà tutti lo vedevano molto più semplicemente come il galoppino della Accorrà, e guardandoci biecamente bussò alla porta della sua padrona ed entrò gridando con voce stridula che c’era un problema. Né io né Anna gli eravamo mai state simpatiche e lo sapevamo, ma certo non immaginavamo cosa quelle due menti diaboliche stessero tramando. Passò qualche minuto che ci sembrò eterno. Mi avvicinai alla porta per origliare ciò che stava succedendo all’interno, ma quando fui lì si spalancò e trasalii, trovandomi davanti a Sigismondo che mi ordinò con voce sgradevole di entrare. Nel suo sguardo si leggeva una sorta di perfida esultanza, e guardai la mia amica, che si stava intrecciando i capelli e mi incoraggiò con gli occhi. L’odioso galoppino chiuse la porta dietro di me, mettendosi poi in piedi davanti ad essa, e la Accorrà mi invitò a sedermi. Mi accomodai, mentre lei si fregava le mani con fare maligno.

“Bene Clarissa- esordì, squadrandomi con i suoi occhietti da squalo-, forse per oggi non sei licenziata.”

Sapevo che se aveva deciso di non licenziarmi avrebbe avuto qualche carognata in serbo per me, ma ugualmente mi appoggiai alla scrivania con fare propositivo.

“Ebbene, Pietro si è appena licenziato e il posto da giornalista sportivo per la Virtus San Tommaso è rimasto scoperto, quindi ho pensato a te” mi disse, con una sorta di feroce compiacimento negli occhi.

Rabbrividii: sapevo delle vicende di quella squadra, ed era arcinoto che San Tommaso al Monte veniva utilizzato un po’ come terra d’esilio per giornalisti ribelli. Lo stesso Pietro era stato mandato al confino solo per aver chiesto l’aumento, e lì si erano avvicendati numerosi colleghi in tempi precedenti. Nessuno voleva andare a seguire le vicende di quell’umile formazione di Terza categoria, da sempre sull’orlo del fallimento con grandi scandali e costantemente sotto la lente d’ingrandimento delle testate, e pensare che sarei andata lì mi fece gelare il sangue.

“Allora Clarissa, o San Tommaso, o sei licenziata. Cosa ne pensi?” disse quella sadica donna, sorridendo con aria di successo. Probabilmente pensava che mi sarei licenziata. Tuttavia, aveva bisogno di qualcuno che andasse a sostituire Pietro, in quel periodo non c’erano nessuno da mandare lì, quindi era più lei ad aver bisogno di me che io di lei, e misi le mie condizioni.

“Scelgo San Tommaso, direttrice- dissi pacatamente-, però pretendo un’indennità. In più, se mi dà l’aumento, continuerò a coprirla per la storia di Erica.”

“E tu come lo sai?!”

“Ho i miei informatori” conclusi. Erica, ex-braccio destro della Accorrà, era stata licenziata in quanto accusata di furto dalla stessa direttrice, che aveva fatto sparire dei soldi dalla cassaforte alla quale solo la ragazza aveva accesso oltre a lei. Erica era stata messa all’angolo dopo aver scoperto qualcosa del passato della Accorrà, ma non approfondii: in certe situazioni, meglio fare gli gnorri.

“Va bene, quanto vuoi?” mi chiese terrorizzata.

Ci pensai un po’ su, e alla fine dissi: “Settemila euro al mese e chiudiamo.”

“Affare fatto.”

Si sentì un tonfo dall’altra parte della porta, e Sigismondo aprì: era Anna, che ascoltando la vicenda era stramazzata a terra. Il segretario urlò di alzarsi ed entrare, e la direttrice la squadrò.

“Anna, e così stavi origliando?” le chiese.

“Assolutamente no, ero qui perché non trovavo Clarissa al piano di giù” si giustificò la mia amica.

“Bugiarda! Eri qui anche prima!” si intromise Sigismondo, beffardo.

“La prego, non mi licenzi” supplicò Anna.

La direttrice batté le mani sulla scrivania, soddisfatta.

“No, non ti licenzio, ti mando a San Tommaso con la tua amica. Dopotutto ci sarà bisogno di fare fotografie.”

“Settemila euro anche per lei, allora. Si ricordi quello che so.”

La direttrice sbiancò e annuì.

“Allora affare fatto, partiamo subito, le mando il primo pezzo entro dopodomani, arrivederci” conclusi, alzandomi e stringendole la mano diventata debolissima.

“Buona giornata” augurai a un impietrito Sigismondo.

Una volta che anche Anna ebbe salutato ci avviammo giù per le scale, e le dissi di tornare a casa e fare le valigie, così saremmo partite subito.

“Clarissa, ma hai idea di quello che stiamo per fare?” mi disse allarmata.

“Certamente, e vedrai che tutto questo penare avrà i suoi risultati. Vai, passo a prenderti fra due ore.”

Continua...

Serie: Rolangaròs


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Un buon inizio intrigante. Questa storia mi incuriosisce. E mi piacerebbe tanto sapere – se puoi svelarlo – da cosa nasce l’ idea del cognome un po’ strano della direttrice “Accorrà”.

    1. Grazie mille per aver letto! I colpi di scena saranno dietro l’angolo😁
      Il cognome della direttrice è stato tratto da una lapide cimiteriale vista per caso appena prima che iniziassi a scrivere, ero alla ricerca di un cognome particolare e lì ho avuto l’ispirazione😊

  2. Un inizio di storia divertente e ironico, a tratti anche “senza scrupoli” come la descrizione della direttrice (figura agghiacciante di donna senza scrupoli e senza cuore), contrapposto a Clarissa (forte e intelligente).
    Ho la sensazione che questo racconto mi farà ridere, arrabbiare e probabilmente riflettere. 👏🏼

    1. Grazie Corrado! E dire che per il limite di parole ho dovuto tagliare la descrizione del caschetto della direttrice con ricrescita di 5 centimetri…😂 questo è solo l’inizio, spero che anche il resto possa essere gradito!!🤗