Psicologicamente sempre 

Serie: Il dolore delle parole scomposte fra noi


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Anna sta aspettando di testimoniare contro suo padre, mentre si lascia invadere da ricordi e passato, rincontrando anche Lorenzo, il suo ex.

È la seconda volta che entro in un tribunale, non ci sono abituata, le cose come si deve mi pare di non saperle fare.

Ad esempio, io mica ero a conoscenza che le spalle in tribunale devono stare coperte, è una cosa banale e ingenua ma per una cosa così ero rimasta alla Chiesa.

Che poi nemmeno la prima volta sapevo di dover entrare, speravo potesse fare l’avvocato, e invece no, entri che fa la differenza.

All’ingresso mi avevano fermato, lei così non può entrare, e avevo un normale top di seta bianca con le spalline sottili, l’avvocato mi aveva messo la sua giacca di jeans addosso e ad andare davanti al giudice in quello stato, mi ero sentita morire.

Non c’è come indossare qualcosa che non ci appartiene per avere l’impressione di non esistere.

La differenza non l’avevo fatta né io né che mi seguiva, ma era uno sfratto a nome mio, nella casa in cui mio padre aveva vissuto con i miei soldi, picchiando mia madre, truffando a mio nome, con i soldi di Lorenzo nel mezzo, che in quella casa doveva starci e non ci aveva mai messo piede.

Prendo un appartamento per me, poi vedremo.

Il nostro amore si stava già perdendo, io non lo sopportavo più e lui voleva per noi una favola da bambini, troppo per due adulti come noi.

La casa bella, grande, con piscina, la casa che tutti mi avevano invidiato io l’avevo sempre odiata.

E quando avevo saputo che un piano sotto al mio, papà truffava donne e le spingeva a fare foto di un certo tipo, solo per tenerle dentro il suo gioco, mi sono chiesta dove fossi io a casa mia, come facessi a non vedere il mostro che mi passava accanto e andava a farsi un panino in cucina.

-Lei è parente dell’imputato?

Non è esattamente come nei film, quando il giudice mi pone questa domanda non ho dovuto dire tutta la verità nient’altro che la verità, non ci sono bibbie né alzate di mano, solo un microfono scadente come in quegli spettacoli da quattro soldi nei piccoli teatri di periferia.

-Sì, sono la figlia.

Non c’è nessun legno mogano intorno a noi, bello e avvolgente, a dare calore.

Sono invece ora su una sedia piccola e scandente, con i bordi mangiati e le viti spannate, tipo quelle in cui ci si è costretti a passare gli anni a scuola.

Sfioro la bocca con il microfono un paio di volte, nervosa, come fossi una inesperta, mentre tra i microfoni io ci passo la vita.

Così ho conosciuto Lorenzo, ad un concorso di sceneggiatura che permetteva di poter girare poi il proprio cortometraggio.

Solo che avevo vinto io e lui no.

Ci era rimasto male, ma era felice per me.

Mi aveva scritto una mail e avevamo iniziato a parlare, tanto, all’infinito, fino a scambiarci i numeri di cellulare.

Ancora oggi il primo commento nel forum sotto il mio soggetto è il suo.

I nostri nomi sono ancora legati insieme, almeno nel mondo luminoso del web.

In aula sono sola, ed è un po’ l’emblema della mia vita, ad aspettare fuori è rimasta solo mia madre con Lucifero, sono l’ultima a testimoniare, il mio avvocato se ne è andato senza nemmeno darmi una qualche imbeccata, Lorenzo e sua madre alla fine sono dovuti scappare via, o almeno così mi hanno detto.

Nessuno fa il tifo per me, nessuno mi guarda dalla porta a vetri chiusa.

Non so cosa dire e non so cosa mi chiederanno, so solo che mio padre, come sempre, non è presente.

Non so nemmeno se è un bene la sua assenza.

So solo che ogni tanto vorrei ci fosse ad affrontare le conseguenze, gli sguardi degli altri, la vergogna, tutte le nostre bugie che poi sono quasi tutte sue.

Nonostante tutto questo io penso solo agli occhi verdi di Lorenzo, a come mi hanno sconvolto poca fa.

Al fatto che non l’ho mai trovato bello; eppure, l’uomo che ho rivisto prima non posso certo dire sia brutto, al fatto che solo ora, seduta da sola su questa sedia, ad affrontare lo strato sottile di schifo della mia vita, forse io capisco di averlo amato davvero, alla fine.

-Cosa è accaduto a Magenta la sera fra il 14 e il 15 di agosto del 2021?

Non sono ancora in grado di capire che sia proprio la PM a farmi le domande, ma io rispondo, non pensando ad altro che non sia la verità.

Ma la verità, esattamente come una cinepresa, ha mille angolature.

Come faccio a spiegare la violenza di quella sera senza raccontare tutto ciò che di noi è stato prima?

Sarebbe come dire che per la crema pasticcera servono le uova, ma con le uova ci si fa pure la maionese.

-Mio padre ha schiacciato mia madre dentro la porta di camera sua e poi l’ha spinta contro un comò.

Respiro, ho il corpo contratto, forse qualcuno dalla chiusura delle mie braccia direbbe che sto mentendo, ma sono solo stanca e non vorrei essere qui.

-L’ho salvata io.

-E suo padre perché lo avrebbe fatto?

Ma che ne so del perché, ma questa risposta non potrei mai darla.

-Per lui io e mia madre eravamo il nemico. Stavamo facendo delle candele per Ferragosto, sono salita a prendere della cera e ha reagito male anche con me, quando mia madre è salita lui stava parlando al telefono, non doveva far sapere che noi c’eravamo a quella persona, che poi è l’amante con cui abita ora.

Vorrei dire molte altre motivazioni, ma non posso mettere in pausa un processo come un film, le cose importanti vengono sempre in mente quando non puoi più esprimerle.

-Suo padre è mai stato violento anche con lei?

-Sì.

-Psicologicamente e fisicamente?

-Ultimatamente solo psicologicamente o, meglio, psicologicamente sempre.

-Ha mai chiesto aiuto?

-Sì, comune, Caritas. E poi ho fatto un percorso in un centro antiviolenza.

-Per me è tutto, grazie.

La PM sbatte i fogli sul tavolo, come soddisfatta della mia risposta.

In questa sequenza, la me in piscina con il bikini, diventa non sovrapponibile a quella seduta qui ora o a quella che, in quel centro antiviolenza era entrata con il freddo nelle ossa, con una notte passata in macchina, senza aver più nessuna casa.

Serie: Il dolore delle parole scomposte fra noi


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Discussioni

  1. Ti trovo una scrittrice eccezionale, davvero, il modo in cui fai penetrare i concetti nella testa di chi legge, il modo in cui riesci a descrivere le atmosfere con poche parole. Lo squallore dell’aula di tribunale e di uno Stato al quale quasi dai fastidio, come se chi sta lì a giudicare e i giudicati non appartenessero alla stessa società. Complimenti