Quei paesi che finiscono per ATE

Serie: Il solo modo che conosco


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Non sono tante le occasioni in cui invece ti fermi al bivio, controlli che non arrivi nessuno, ti butti a destra e ti immetti sulla statale puntando verso nord.

Una volta imboccato il bivio, la statale 45 si è aperta davanti a me in tutto il suo più ampio respiro.

Ho costeggiato il fiume Trebbia e le sue acque, gelide e corroboranti persino nei peggiori giorni di canicola estiva, oltrepassando il confine fra Liguria ed Emilia Romagna. E in tutto questo ho chiaramente avvertito il sollievo di Greta attraverso le vibrazioni via via più acute che dalla sella hanno trovato la loro strada verso gambe e braccia, con il motore libero di sciogliere le briglie a qualche cavallo in più.

È stato qui che ho iniziato a percepire davvero il gusto dei chilometri che mi stavano aspettando. Un boccone succulento e sapido, da masticare con le fauci piene, che ad ogni pressione dell’arcata dentale trasportava attraverso i sensi tutta una serie di sapori sperimentati sino ad allora solo in porzioni infinitesimali, lasciandomi il tempo di studiarne ogni sfumatura prima di ingoiare quel che ne rimaneva e concentrarmi sul prossimo pezzo.

Quasi subito su quella strada sono stato investito da due pensieri nati in maniera talmente simultanea da non sapere riconoscere quale dei due abbia generato l’altro, un po’ come quando ci si chiede se sia nato prima l’uovo o la gallina.

Uno è stato constatare quanto poco mi basti staccarmi dalle mie abitudini e zone sicure per poter godere di paesaggi mozzafiato, anche in posti relativamente vicini a dove abito e che spesso ho ignorato pur avendoli a poco più di un passo. Ci sono stati punti in cui la strada sovrastava e attraversava il Trebbia belli da togliere il respiro, con massi poderosi lungo il greto del fiume levigati da una portata d’acqua che sa essere gigantesca. Oppure colline dolcissime tagliate in due da crinali asfaltati chiari e lisci, lunghi e sottili come serpenti innocui, dove lasciare che per un attimo lo sguardo si perda per la sua strada, senza posarsi in nessun punto in particolare. E qui, una moto come Greta trova uno dei sui massimi punti di godimento; ed io con lei. Una moto che, come avrò la fortuna di constatare nei giorni che mi aspettano, sembra fatta apposta per guardarsi intorno, senza fretta né pretese, senza tempi da battere. La moto fatta per me, sincera, che ha mantenuto la promessa fatta il giorno in cui mi ha trovato.

L’altro pensiero è stato constatare quanta bellezza mi perdo tutte le volte che per uscire dal mio territorio, incastrato fra mare e montagna a volte come una fortezza a volte come una prigione, sono quasi costretto ad imboccare l’autostrada per spostarmi verso ogni direzione, ritrovandomi poi a rimanerci dentro fino alla destinazione finale. Quanti posti non incontro, quanti muri, quanti incroci, quanti semafori e quanta gente ad aspettare il verde sul bordo del marciapiede che scompaiono dagli specchietti retrovisori senza avergli nemmeno dato il tempo di apparire. Realtà che mi sembrano provenire da universi paralleli distanti e che invece sono lì a portata, operose e vive.

Sono sempre stato abituato a considerare l’autostrada come un mezzo che mi facilita un compito, ma non mi sono mai soffermato ad analizzarne il costo che va oltre il pedaggio.

Poi, senza che nemmeno ci abbia fatto caso, delle colline non resta più nulla, nemmeno i contorni quando mi volto, fermo ad un passaggio a livello, ed intorno a me c’è soltanto pianura a perdita d’occhio e cieli lievemente stinti il cui azzurro sembra avere perduto almeno due tonalità di colore.

Se fossi in un romanzo dell’800 questo potrebbe essere il momento in cui il protagonista fa il suo ingresso nella sconfinata prateria.

Piacenza è alle porte ma me ne tengo alla larga. Troppo grande per i miei gusti, troppo caos, troppe tangenziali senz’anima. Voglio proseguire e andare più su, entrare in Lombardia, trovare e perdermi finalmente nel dedalo di tutti quei paesi che finiscono per ATE.

Voglio anche io il mio pezzo di provincia denuclearizzata. E la trovo, anche se forse non è la stessa di cui cantava Bersani. Ma in fondo la provincia è un’impostazione mentale, non un luogo preciso, ed io ne faccio parte a pieno titolo. Anche il mare che circonda casa mia è piatto come la terra nelle cui viscere affondano le fondamenta di queste case basse, circondate da uno spazio immenso.

Città denuclearizzata. Lo vedo scritto nella toponomastica di moltissimi centri abitati, e penso, rifletto sul senso di quest’aggettivo oggi.

Immagino uno straniero, un alieno, Ziggy Stardust che atterra nella Pianura Padana e incontra questa selva di città anti-atomiche, e si persuade del fatto che l’Italia sia un immenso bacino di centrali nucleari attive, potenti, produttive, dai comignoli fumanti come quelli di Winden nella serie Dark; ma che al contempo resista un pugno di piccoli paesi, eroici, senza paura che controcorrente rispetto all’intera nazione ha bandito la costruzione dei reattori entro i propri confini, nonostante i vantaggi economici che da ciò potrebbero derivare. E quindi il nostro alieno Ziggy, che in quanto tale ci è superiore e latore solo di sentimenti positivi, decide di fondare una città simbolo della lotta, candidandosi a sua guida. Per uniformarsi ai tanti suffissi locali non trova di meglio che chiamarla Denuclearizzate.

Ma l’Italia è un paese corrotto, e il nostro Ziggy un bersaglio fin troppo facile per gli scafati amministratori che la governano. Il trappolone nei confronti di Ziggy viene teso in maniera impeccabile, da manuale, spuntano foto di lui che riempie boccali ad una sagra locale spillando il contenuto da fusti di un giallo accesissimo nella convinzione si tratti di una nuova versione di Ceres quando (tutti lo sanno tranne Ziggy) sono in realtà scorie radioattive. Ziggy è così costretto a ritirare la propria candidatura, al suo posto viene nominato un avversario fantoccio, colluso con il potere locale, con il risultato che nel territorio di Denuclearizzate verrà costruito un nuovissimo potentissimo reattore. Per l’occasione, la città cambierà nome in Velomenate.

In sintonia con il mio corpo che manifesta, chiari ed allarmanti, i sintomi della disidratazione, anche il navigatore si surriscalda, costringendomi ad una pausa tecnica sulle rive di Trezzo sull’Adda.

Serie: Il solo modo che conosco


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Che meraviglia questo alieno atterrato a ricordarci che i sognatori esistono ancora 🙂
    Quando ho letto denuclearizzata mi è partita la canzoncina..”a sei chilometri di curve dalla vita”
    E ho pensato che il mondo forse non è cambiato poi così tanto…

  2. “nostro alieno Ziggy, che in quanto tale ci è superiore e latore solo di sentimenti positivi, decide di fondare una città simbolo della lotta,”
    Potrebbe unirsi alla nostra lotta. In Sardegna è un argomento che accende gli animi. Lottiamo da anni per evitare che si costruiscono anche qui.

  3. Bella anche questa tappa. Passeggiando per quelle strade sinuose, dove un bicilindrico da il meglio di sé, fino a raggiungere la pianura; che evoca, già dai nomi dei centri urbani, l’ipocrisia di cui siamo capaci. Chiusura con un pizzico di amaro.
    Qualcosa non mi torna: “… potrebbe essere in momento in cui il protagonista…”.
    Grazie molte per la lettura che prosegue interessante, insieme al variare del paesaggio.

  4. “Quanti posti, quanti muri, quanti incroci, quanti semafori e quanta gente ad aspettare il verde sul bordo del marciapiede”
    Come tentdi guardare il mondo con gli occhi di quando eravamo bambini