Quello che mi resta di lei

Non c’era nulla di strano, a vederla da fuori. Una domenica come tante: sole, carne sulla griglia, vino a volontà. Ma c’è sempre un momento in cui qualcosa scricchiola, anche nella scena più perfetta. E Vittorio lo sentì arrivare, sottile come una crepa nel vetro.

Le grigliate domenicali avevano un ritmo tutto loro: risate, qualche bicchiere di troppo e il parroco che, tra una benedizione e l’altra, non disdegnava un buon bicchiere. Sotto l’ombra degli alberi, le mani si alzavano nei brindisi e sulle graticole sfrigolava la carne.

Il parroco si sedette su una panca, si asciugò la fronte e sospirò: «Ah, che giornata splendida! Dio ci ha donato una domenica perfetta.»

«E anche ottime braciole!» rise Luigi, infilzando un altro boccone con la forchetta.

«Prendi un pezzo di focaccia» gli disse Vittorio, porgendogli il cestino. «Ne è rimasta ancora.»

L’amico gli sorrise e ne afferrò un angolo. «Grazie. Ottima come sempre. Chi l’ha preparata?»

Anna fece scorrere piano il dito sul bordo del bicchiere. «Io, naturalmente. Con la ricetta segreta di mia madre. Nessuno insista per averla!»

Fu un niente, un attimo, un frammento di tempo che nessuno avrebbe afferrato, quando Vittorio sentì qualcosa rompersi dentro, in fondo allo stomaco. Mentre sua moglie parlava, lui seppe che Luigi la osservava con un’attenzione che non aveva nulla a che fare con il cibo. Uno sguardo appena più lento, come quello di un gatto che finge di guardare altrove, mentre ogni fibra del corpo è tesa verso ciò che desidera. E quando lei abbassò gli occhi, lo fece con la dolcezza di un pensiero nascosto fra le righe di un pentagramma.

Vittorio si passò una mano sulla nuca, cercando di scacciare quella sensazione. Aveva bevuto troppo? O era solo il caldo? Ma quella cosa gli rimase addosso, come sudore sotto la camicia.

«Alla famiglia, all’amicizia e alla buona tavola!» esclamò il parroco, alzando il bicchiere con un sorriso ampio e sincero.

Il brindisi fu accolto con entusiasmo e mentre le braccia si sollevavano all’unisono, dentro Vittorio qualcosa continuò a muoversi sgraziato finché Anna gli strinse la mano. «Che bello stare tutti insieme così» disse lei. «Dovremmo farlo più spesso.»

Lui la guardò e sentì la nebbia dipanarsi. «Hai ragione. È una giornata perfetta.»

Ma la perfezione aveva una crepa. Minuscola. Invisibile. Come un grumo di sale tra lingua e palato. Non fu nulla. Ma restò lì.

***

La pioggia era cessata da poco. L’aria, satura dell’odore della terra bagnata, conservava ancora qualche goccia sui rami spogli. Il funerale era finito, un altro amico accompagnato nell’ultimo viaggio. Vittorio si chiese quando sarebbe arrivato il suo momento.

La folla si era dispersa tra saluti sussurrati e passi lenti sulla ghiaia. Non si era mai sentito a suo agio nei cimiteri, eppure quel giorno rimase, perché ci sono radici che affondano più nel dubbio che nella terra, e nemmeno la morte riesce a estirparle.

Camminò senza una meta precisa, gli occhi bassi sulle lapidi umide, i nomi che sbiadivano sotto il tempo. Poi si fermò. Per caso, si trovò davanti a quel cippo di marmo grigio, più piccolo di quanto ricordasse. Il nome inciso gli fece bruciare gli occhi: era quello di Luigi.

Serrò le labbra. Non sapeva perché si fosse fermato proprio lì, non lo aveva cercato. Eppure, eccolo, davanti alla tomba di colui con cui aveva condiviso molto. Ma fino a che punto?

Il tempo non cancella i dubbi, li seppellisce vivi e il passato non svanisce: cambia voce, sussurra più piano, ma non smette di parlare.

Vittorio si accasciò. Gli anni erano trascorsi, il tempo aveva scavato solchi nella pelle e dentro l’anima. Da quella domenica la vita era andata avanti. Aveva continuato ad amarla. A dormire accanto a lei. A farle l’amore. E a riempire le giornate di solitudini silenziose, sepolte sotto il peso dell’abitudine.

E adesso lei non c’era più e aveva portato con sé risposte a domande mai poste. Perché lui non aveva voluto davvero sapere. Aveva preferito la certezza della sua presenza piuttosto che affrontare il rischio di perderla. Non aveva chiesto, non aveva indagato. Aveva semplicemente lasciato che quel tarlo gli scavasse dentro, giorno dopo giorno.

Ora, davanti alla lapide dell’amico, il dubbio pesava più che mai. Era stato tradito? O era stato lui, per tutta la vita, a tradire se stesso, a mentirsi per non affrontare la possibilità di una verità dolorosa?

Posò la mano sulla pietra fredda. “Sei stato felice?” chiese con un filo di voce. Ma nessuno gli rispose.

Il vento mosse le foglie degli alberi e sussurrò tra i rami spogli. Vittorio rimase lì ancora un po’, poi si voltò e se ne andò, con le mani in tasca e il cuore pesante come la terra bagnata che gli appiccicava le suole.

***

Non so perché alzai lo sguardo proprio in quel momento. Forse il silenzio tra una risata e l’altra. Forse un campanello d’allarme che suonava da tempo dentro di me. O forse il vino. Quel maledetto vino che mi annebbiava la testa. 

Vidi le loro mani sfiorarsi. Un gesto minimo ma naturale. Il pollice di lui le accarezzò il polso e lei non si ritrasse. Gli sorrise? Dio, quel sorriso.

Mi salì un calore alla gola, come quando inghiotti qualcosa in fretta e lo senti graffiare l’esofago. Avrei voluto chiedere. Ma strinsi i denti.

Forse ero solo ubriaco. Afferrai il bicchiere e bevvi ancora. 

Li guardai. Non si accorsero. O forse sì. Sapevano che avrei taciuto? Che avrei ingoiato il veleno?

E così feci.

Non dissi mai una parola. Non feci scenate. Non chiesi nulla. Mandai via Luigi dalla mia vita, scacciandolo come un cane randagio. Senza spiegazioni.

E lei? Lei è rimasta. Ho accettato i suoi silenzi. Le assenze. Gli sguardi che scivolavano via. Ho chiuso gli occhi sui suoi malumori, sulle risposte fredde, sulla distanza. L’ho amata più della verità stessa.

Mi sono aggrappato a mia moglie anche quando la sentivo lontana. Ho vissuto nel sospetto e alla fine mi è rimasto solo il dubbio. Come si tiene un’amante fedele. L’unica cosa che mi resta di lei.

Quando la malattia me l’ha strappata, se n’è andata anche l’ultima possibilità di sapere. Ma ormai non conta più. 

E così ho vissuto.

E così sono rimasto.

Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao, Cristiana. Ho trovato questa tua struttura esemplare, nella sua gestazione di intimità, di sfioramenti e sensazioni. Arriva all’osso delle cose e del loro lessico senza peso, contraccolpi o fragori. Con quella perfezione limpida, senza crepe, “senza un grumo di sale tra la lingua e il palato.”
    L’equilibrio tra la distensione dei piani spaziali e le sortite introspettive, come piccole profonde feritoie, dei tuoi personaggi e dei loro sentimenti, la sento ormai una prerogativa sostanziale del tuo sguardo, un incrocio di linee e di direzioni continuate e affettive, che aprono la tessitura a innumerevoli snodi e possibilità.
    Bello il finale. Sobrio, asciutto, lapidario della sua stessa luce.

  2. Il tarlo della gelosia può rodere dall’ interno anche senza alcuna prova certa dei sospetti. Ma la paura di sapere é più debolezza o forza? Nel tenere duro, senza rinunciare mai alla donna amata, quando c’ é stato un legame importante e un attaccamento e un bisogno che porta a vivere col dubbio, pur di non perdere ciò che resta di quel rapporto.
    Non c’ é alcun dubbio, però, che questo racconto fa breccia. Riconoscersi in qualcuno dei momenti descritti come foto a colori, credo sia inevitabile per molti lettori, me compresa.
    Bravissima!

  3. Sei stata brava a sviluppare in modo singolare il tema della gelosia repressa, combinando modi verbali e voci narranti, per un soggetto quasi abusato in ambito letterario. In tutta franchezza, ho un po’ faticato a seguire i ruoli e ho dovuto rileggere più volte per raccapezzarmi (chi è chi, chi muore quando…). La mia sensazione personale è che tu abbia compresso molto (forse per uscire con un unico brano), ricorrendo, in alternanza a periodi molto belli e toccanti, all’urgenza di inserire nella costruzione parti essenziali alla comprensione. In buona sostanza, credo che l’idea (che è buona) avrebbe meritato un respiro più ampio.
    Cristiana, io spero che tu possa considerare il mio parere come quello di un lettore, forse non troppo esperto, ma sincero. Grazie per la lettura

  4. Davvero un bel racconto. Mi è piaciuta molto l’atmosfera, quel passaggio sottile da una domenica qualsiasi al tarlo che si insinua piano e non ti lascia più. Le scene sono ben costruite e i dettagli — il vino, la tazza, il brindisi — rendono tutto molto credibile.
    Bello anche il modo in cui resta aperta la questione del dubbio, senza cercare un colpo di scena forzato. Si legge volentieri.

  5. Un racconto ben costruito.. una vita intera in poche centinaia di parole.. la tristezza profonda che accompagna il quieto esistere..
    p.s.: tra le righe ci ho trovato un po’ di Pirandello, che è uno dei miei scrittori preferiti

  6. Ho dovuto leggere il racconto due volte per comprendere bene ruoli e relazioni.
    Tre personaggi, due amori: dopotutto, la letteratura è piena di simili storie, sentimenti repressi, dubbi mai svelati. Ma anche la realtà si basa sulle relazioni segrete mai emerse, sono dubbi esistenziali con i quali (quasi) tutti conviviamo. E credo sia questa la forza del racconto, un mix di letteratura classica ben impiantata sulla nostra attuale società.
    Ho apprezzato anche i tanti passaggi eleganti, espressioni ricercate che bene si collocano nei dialoghi.
    Complimenti Cristina 🙂

  7. Un racconto amaro e grigio, molto diverso dai colori sgargianti e dai profumi che evoca la tua scrittura di solito. Il cambio di punto di vista mi ha un po’ spiazzata, ma le frasi finali sono proprio nel posto giusto. Brava Cristiana!

  8. “E quando lei abbassò gli occhi, lo fece con la dolcezza di un pensiero nascosto fra le righe di un pentagramma.”
    Segno questa, ma in realtà tutto il periodo è meraviglioso. È fantastico il.modo in cui descrivi l’intesa tra i due.

  9. Lo sapevo. Altro che ansia da prestazione!
    Uno dei tuoi scritti più riusciti, per contenuti sapienza e costruzione. L’ho percepito come un gioco di riflessi e specchi. Tre amanti, tre tempi. Il.passaggio dalla terza alla prima persona, il cambio del punto vista è magistrale. Lo vediamo narrato da fuori nel.primo tempo, vissuto da dentro nel terzo. Nel mezzo un cippo di marmo “più piccolo di quanto lo ricordasse”. Forse il dolore causato da Luigi sta già scemando? O è ancora così forte che ridurlo a una piccola lapide allevia il rancore? (Più verso se stesso, temo, per non aver affrontato la situazione, che verso i due amanti, ma Vittorio non se ne rende conto, neppure alla fine). Mi ha colpita come la domanda “sei stato felice” venga posta quando nessuno può più rispondere. Non ha il coraggio per chiedere e neppure per perdonare. Vittorio è debole, mi spiace dirlo. Dei traditi non si dovrebbe parlare male, sono i traditori che stanno nel torto, ci mancherebbee. Ma quest’uomo sceglie di non scegliere, scaccia l’amico, punisce se stesso, punisce la moglie, e tutto questo senza affrontare la verità. Non è forse quello che è stato fatto a lui? Li ripaga dello stesso dolore, della stessa menzogna. Tradisce se stesso per non essere tradito e mentre loro tradiscono lui, di una menzogna diversa lui tradisce loro. Li hai intrecciati così bene, questi tre, che a un certo punto li ho percepiti come una cosa sola. Un groviglio di fili colorati, ed è inutile cercare il capo giusto per sbrogliare la matassa senza sentire il male. Non sono certa se Vittorio lo abbia capito, forse la risposta è in quel “così ho vissuto.” Sa di supplica, più che di perdono.

  10. Dolente, ma di più, un dolore che rimane dentro come un sasso arroventato. “Ingoiare il veleno” è l’espressione giusta. Mi viene da dire che, se fosse toccato a me, non ne sarei stato capace.
    Un bel racconto, scritto con la giusta mestizia e con una gestione dei tempi narrativi – andare e tornare dal presente al passato – e poi di nuovo a un presente (che però non ce la fa a diventare veramente passato) restituisce il senso di una ferita che non può, e forse non deve, guarire.