
Ranger nelle Filippine
Filippine, 1944
Marciando su Manila.
PerĂ² Manila era lontana, e le truppe americane anche.
A Jim non interessava: il suo lavoro era andare fino in fondo.
Dopo aver seguito la scuola di guerra con i predoni di Merrill, dopo aver imparato i rudimenti della sopravvivenza nella giungla con i britannici in Birmania, Jim avrebbe spaccato il mondo ispirato dai commilitoni che avevano furoreggiato in Normandia.
Ma si doveva sempre ricordare di essere un umano.
Un semplice umano…
No, lui voleva essere di piĂ¹.
AffrettĂ² l’andatura mentre marciava, con lui c’erano i commilitoni. Avevano quasi tutti la stessa esperienza, perĂ² Jim voleva essere piĂ¹ competitivo: non si sarebbe fermato davanti a nulla.
«Ci siamo» disse all’improvviso.
Sotto di loro, c’era un burrone. La giungla nascondeva tutto o quasi, ma il sentiero per cui passavano i giapponesi era visibile.
«Sissignore». I ranger si predisposero agli ordini di Jim, gli M1 Garand sembrarono annusare l’atmosfera.
Anche Jim prese posizione, e una volta lì aspettĂ².
Un minuto, due… Il tempo si dilatĂ², allora si videro passare i primi giapponesi. Degli esploratori in bicicletta. Fecero avanti e indietro, una volta sicuri che non ci fosse alcun pericolo cacciarono un urlo.
Il resto del battaglione iniziĂ² a marciare nel cuore della foresta.
Jim scacciĂ² una goccia di sudore, strinse l’M1928 e quando vide il colonnello a cavallo gridĂ² come se fosse un pirata: «Fuoco!».
«Fuoco!» gli fecero eco i commilitoni.
Nubi di pallottole calarono sul colonnello, il destriero non ebbe il tempo di nitrire o imbizzarrirsi che morì smembrato, l’ufficiale esplose come mille bollicine.
I giapponesi si organizzarono neanche fossero formiche: costituirono una falange, i fucili con le bandiere dal sole esuberante che, in spregio al mimetismo, sventolavano; poi spararono.
Jim sparĂ² un’altra raffica e colto dalla rabbia sguainĂ² il pugnale, se lo mise fra i denti e saltĂ² verso il nemico.
Il resto dei ranger lo imitĂ².
Che follia! pensĂ² Jim. Ma è divertente.
Senza timore delle baionette che neppure lo ferirono, Jim assalì un giapponese, un ragazzino, forse uno studente universitario che piĂ¹ che studiare combatteva per l’Impero.
Ma era venuto il momento di un altro impero.
Jim approfittĂ² della sua guardia abbassata, aggirĂ² il fucile e gli infilzĂ² la gola con la baionetta.
Il sangue irrorĂ² la vegetazione.
Jim aveva nuovo desiderio di morte, ma vide che i giapponesi erano tutti morti. «Cosa?». Aveva creduto fossero molti di piĂ¹.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Kenji, bel racconto. Sono d’accordo con Giuseppe nel dire che leggerlo è stato un po’ come avere un fumetto fra le mani. Un racconto a colori!
Grazie per il tuo bel commento!
Mentre leggevo, mi immaginavo il racconto come un fumetto, uno di quelli d’altri tempi della Dark Horse Comics o della mitica Play Press.
Molto evocativo.
Ciao e grazie del commento! In effetti ho studiato sceneggiatura fumettistica
Ăˆ vero, tu usi spesso questa tecnica del finale tronco, a levare. Ma certe volte ti riesce meglio di altre.
Questa è una delle migliori. Decisamente d’effetto, e dĂ valore a tutto il racconto, che è ben scritto e porta il lettore – come dice @Colucci – ad una corsa giĂ¹ per una discesa che finisce dritta e secca contro un muro. Ben fatto.
Grazie per il commento <3
La chiusa Ă© fantastica; brusca come un muro dietro una siepe e dietro la chiusa puoi scrivere qualsiasi cosa preparando il lettore ad una gran corsa e lasciandolo sbattere, tecnica da copiare.
Oh! Grazie