
Reale come l’amore
Serie: Il secondo bacio
- Episodio 1: La prima cosa
- Episodio 2: Lo sguardo altrove
- Episodio 3: Reale come l’amore
- Episodio 4: Ricostruire la storia
- Episodio 5: Diventare grandi
STAGIONE 1
Algida aveva avuto una sorella. Di qualche anno più grande, morta quand’erano ancora bambine.
«Chi era?»
Indicavamo la fotografia in fianco al suo letto, le rare volte in cui riuscivamo a infilarci dentro la sua stanza.
«Non sono fatti vostri.» Capovolgeva la cornice sopra il comodino. «Non sono fatti di nessuno.»
Ma in un paese i fatti di uno sono quelli di tutti, stesi al balcone insieme ai panni. I nonni dei nostri compagni di scuola conoscevano Algida, sapevano tutto. Alcuni addirittura dicevano di aver visto. Lo avevano raccontato ai nipoti e i loro nipoti a noi.
«Non è vero!» era l’unica risposta che riuscivamo ad alternare al silenzio.
Gli altri bambini ci mimavano le scene di un terribile incidente avvenuto con un fucile da caccia, lasciato incustodito forse dal padre, per errore.
«Sì, che è vero» ci sfidavano. «Chiedetele del dito.»
Non ci azzardammo mai.
La sera a cena capitava ci scambiassimo sguardi, risolini d’intesa, ma nessuno tra noi osò mai spingersi oltre. Eravamo soltanto bambini, eppure nel gesto di quella cornice capovolta intuivamo il limite di un dolore ch’era meglio non scomodare.
La sorella morta di Algida riposava oltre il cancello del camposanto insieme ai morti di tutto il paese. A noi Algida non lo disse mai. Io lo so perché l’ho vista.
Dopo la sosta al parco percorrevamo il viale alberato assaporando quello che avremmo fatto poi.
«Fate ciò che vi pare, ma restate nei paraggi.» Ferma sul cancello Algida ci vietava di oltrepassarne la soglia. «Ho da farmi gli affari miei.»
Ma il suo mistero già non ci attirava più, era più forte la voglia di libertà.
I grandi sedevano sulle panchine lungo il viale scherzando ad alta voce e chiedendo sigarette ai passanti. I piccoli giocavano a nascondersi tra gli alberi e nei campi d’intorno. Mi univo a loro oppure gironzolavo sola.
Fu così che trovai Peter. In una domenica di particolare disobbedienza decisi di varcare la soglia del cancello per seguire Algida. La osservavo da dietro, di nascosto. L’andatura lenta, la giacca enorme carta da zucchero.
Portava con sè una piccola rosa bianca. La vidi proseguire tra le lapidi e i marmi per fermarsi di fronte a una tomba color ruggine, screziata di grigio oliva e verde, che spiccava per colore e dimensione dalle altre. Tra le fotografie riconobbi il volto pallido della bambina capovolta sopra il comodino.
Non avevo mai visto nessuno pregare i suoi morti. Era faccenda da libri, film nella televisione. Scovai una lapide alta e mi ci nascosi, per meglio guardare. Mi sarei aspettata si facesse curva sulle ginocchia o muta, del sapore del marmo che avevamo intorno, ma no. Algida sedeva. Sul fianco, le gambe accavallate e le spalle aperte, la posa di una ragazzina. S’era sciolta la crocchia, con le dita giocava ad attorcigliarsi i capelli e un sorriso le apparve sul viso.
«Ciao.»
Iniziò a parlare, serena. Le mani alla bocca per modulare la voce, o mosse nell’aria ad accompagnare le parole. Sotto i miei occhi smise di somigliare alla signorina Algida per come la conoscevo, quella dei rimproveri e dello zoccolo alzato. Di fronte a quel piccolo visino morto la vidi perdere ogni spigolo, abbandonare il suo nome, farsi di panna proprio come il gelato.
Mi sistemai in giù la gonna, allungai il collo. Cosa le stava raccontando? Forse ricordi, fiabe inventate. Cos’altro avrebbe potuto esserci nella sua vita di così di bello, cos’altro avrebbe potuto portarle il sorriso in mezzo a tutti i suoi guai?
Persi l’equilibrio in un tonfo e quando Algida si voltò corsi via.
Scappai con la gonna levata e il cuore in gola, non saprei dire per quanto. Quando mi fermai a riprendere fiato non sapevo più dov’ero. I sentieri, le pietre, le croci incise. Tutto era sconosciuto e uguale a sé stesso.
Algida ci aveva addestrati. «Se vi perdete, ditelo a qualcuno.»
Cercai, ma non veniva nessuno. Di fronte a me si alzava la parete piatta dei colombari. Una fila ordinata di volti muti e immobili, già vissuti. Sembravano gli abitanti di un buffo condominio e quel pensiero mi fece ridere. Dietro di me un labirinto di fiori recisi e tombe. Il muro di cinta correva ma non scorgevo il cancello che mi avrebbe salvata. Non sapevo che fare ma non avevo paura, così mi arresi. Mossi qualche passo in avanti, mi misi a giocare con la punta delle scarpe e le formiche a terra. Quando alzai gli occhi Peter era lì. Vestito da soldato. I capelli scuri pettinati da un lato e lo sguardo buono. Sul petto qualcosa di simile a una medaglia. Lo guardai. Ricordai ciò che avevo visto fare poco prima ad Algida e sul volto mi apparve un sorriso.
«Ciao.»
Non rispose. Come avrebbe potuto?
Quella sera stessa con la paglia a pungermi il sedere e una fame boia a tormentare lo stomaco decisi che Peter sarebbe stato il mio fidanzato.
Algida mi aveva riacciuffata pochi minuti dopo il nostro incontro e messa in punizione.
«A letto. Senza cena. Dentro il granaio, per una settimana.»
Il manico della scopa a indicarmi la via.
«Io ti odio.»
«Ah si?»
Le settimane erano diventate due. Il chiavistello richiuso senza lasciarmi scampo.
Quella notte, e per l’intera durata del castigo, sognai Peter. Veniva dal finestrone sul soffitto, la mano tesa e lo sguardo buono, era lì per salvarmi. Lo raggiungevo e mi portava con sè. A un certo punto mi baciava le labbra.
«Può bastare.» Quando Algida decise di liberarmi prima del previsto fu quasi un dispiacere. «Però prometti di non farlo più.»
Alzai la mano al petto, là dove stava il viso dolce di Peter. «Non lo faccio più.»
Lo rifeci invece. Lo rifeci eccome. Aspettavo la domenica soltanto per sfuggire al controllo e correre da Peter.
«Chi è il tuo fidanzato?»
Quando a scuola me lo chiedevano, mentivo.
«Nessuno.»
Dentro il mio cuore Peter, il nostro segreto. Sotto la pancia il prurito invisibile che mi faceva provare. Sconosciuto, nuovo e reale, com’è reale sempre l’amore quando lo provi.
Fu un amore lunghissimo silenzioso e devoto e come tutti gli amori credevo davvero sarebbe durato per sempre. Invece, pochi mesi dopo l’arrivo di Patrizio, Algida morì.
Serie: Il secondo bacio
- Episodio 1: La prima cosa
- Episodio 2: Lo sguardo altrove
- Episodio 3: Reale come l’amore
- Episodio 4: Ricostruire la storia
- Episodio 5: Diventare grandi
Ciao Irene! Sai, leggendo questa serie (soprattutto questo episodio) ho provato un’emozione che non provavo da anni. Credo che non abbia un nome. La si potrebbe chiamare banalmente “nostalgia”, ma non è corretto. Non so nemmeno se rientri in una gamma di emozioni condivise da tutti gli esseri umani, o se non sia piuttosto una specie di deformazione molto intima, differente per ciascuno di noi. Ti spiego: è quella specie di magia che provavo quando, da bambino, mi approcciavo alle prime letture. Quando la mia capacità immaginativa non era ancora viziata e modellata da centinaia di letture. In quei tempi, la fantasia era come un territorio senza mappa. Influenzabile e ipersensibile. Negli anni, assorbendo i vari meccanismi narrativi, quella magia si è ossidata. Questo episodio mi ha fatto sentire ancora come se non avessi mai letto niente, prima di oggi. Grazie🙏🏻🤗
Ciao Nicholas! Mi hai lasciata senza parole. Credo che questo sia uno dei commenti più belli che potessi ricevere, ti ringrazio di cuore. Non so bene se si possa chiamare nostalgia, o libralgia, o magari libromagia, che mi suona meglio, però la sensazione che ti è arrivata, per come la descrivi, è molto simile alla sensazione che provo mentre scrivo. La voce della protagonista è chiara dentro la mia testa. Si approccia al mondo, lo racconta, come se fosse sospesa in un tempo dove non esistono prima ne dopo e tutto è ancora da scoprire. vede e scopre tutto per la prima volta come fanno i bambini. Credevo di sentirlo soltanto io, invece in qualche modo è uscito. questa cosa mi piace tantissimo.
Ho letto (troppo) poco di quello che hai scritto, ma quello che percepisco è che ciò che scrivi non è frutto di una scrittura del momento: è il frutto di una preparazione precisa e curata, in cui prima di iniziare sai già ogni dettaglio di come evolverà la storia. A cui poi aggiungi il tuo bellissimo stile… e i cliffhanger 😀
Complimenti Irene
Esattamente! Sono maniacale nella premeditazione 🤣
Ho notato che le tue analisi sono sempre molto attente e mai scontate, e per questo ti ringrazio. Sei un ottimo lettore!
“Invece, pochi mesi dopo l’arrivo di Patrizio, Algida morì.”
Vedo che il vizietto di mettere un enorme cliffhanger a fine episodio non lo abbiamo perso eh? Complimenti 😀
Sai Marco, ti confesso che fino a qualche tempo fa i cliffhanger erano per me un problema enorme. Ora che ho imparato…ci ho preso gusto 🤭
“Lo guardai. Ricordai ciò che avevo visto fare poco prima ad Algida e sul volto mi apparve un sorriso.«Ciao.»Non rispose. Come avrebbe potuto?”
Ah, ti adoro. Ci avevi dato tutti gli indizi, ma solo qui capiamo di cosa stiamo parlando.
Grazie per averlo notato!
Mi domando in quale momento dell’infanzia si perde l’innocenza e la mancanza di malizia, anche nelle situazioni e nei discorsi più seri, quelli degli adulti.
Poi, quando siamo adulti, cerchiamo di ritornare bambini; come Algida che dinnanzi alla lapide della sorellina può permettersi di “regredire” all’età in cui erano ancora assieme. In quel momento può smettere di essere la donna vissuta che è e giocare a tutti quei giochi che non hanno potuto fare assieme.
Quando si tratta di ricordi tanto intimi, qual è il confine tra dolore e sollievo?
Bellissimo capitolo questo, un elogio all’umanità che caratterizza te e i tuoi personaggi. ❤️🔥
Sono meravigliose le riflessioni che mi rimandi, perchè sono le stesse che muovevano me mentre scrivevo. Tendiamo a tracciare sempre, o almeno a cercarlo, un confine tra il prima e il dopo, tra l’infanzia e l’età adulta. Ma non credo ci siano. In qualche modo l’innocenza che perdiamo resta con noi, e saperla ascoltare e conservare credo sia la chiave per trovare quel confine tra dolore e sollievo, come dici tu. Grazie Mary!
La vivace curiosità di questa bambina mista alla sua dolcissima ingenuità si percepisce in ogni descrizione che hai inerito. La narrazione è fluida, immersiva. Ti catapulta dentro la storia, e ti senti spettatrice occasionale delle vicende di questi bambini. Mi sembra di capire che nemmeno la vita di Algida sia stata facile….che personaggio. Ha tutto il mio rispetto 👏👏
Ti ringrazio Tiziana. Come già sai, io stimo molto la tua scrittura, e questo commento mi fa davvero piacere!
❤️
“Ma in un paese i fatti di uno sono quelli di tutti, stesi al balcone insieme ai panni”
Questa frase mi ricorda i commenti che ci scambiavamo tra amiche durante l’adolescenza. In un paese tutti sanno tutto di tutti!😂
Esatto, nel bene e nel male.
Brava Irene, hai un tocco magico, almeno per me.🌹
Grazie Giuseppe!
Questa bambina ha una determinazione che ti appartiene. Quella maniera sincera di fregarsene di tutto e di tutti. Quegli occhi attenti che ti scrutano e la capacità di inventare storie per sé, non per gli altri.
La storia è la sua e ce la racconta per come la vede e come la vive, senza filtri. La storia, inoltre, è bellissima, vera, di vita.
Lo stile che hai scelto si adatta alla narrazione che, per una volta, ci proietta in un mondo reale anche se sembra essere senza spazio e senza tempo. Gli elementi guida ci sono, ma sfuggono in un attimo, soprattutto quando ci si perde lì dentro e si fatica a uscirne.
Avrei evidenziato mille frasi, difficile sceglierne alcune. Perché ognuna di esse ha il suo valore intrinseco. La mia impressione è che siano loro, stese a quei fili come panni ad asciugare. Le potresti anche scombinare, che il risultato sarebbe comunque affascinante.
“Fu un amore lunghissimo silenzioso e devoto e come tutti gli amori credevo davvero sarebbe durato per sempre. Invece, pochi mesi dopo l’arrivo di Patrizio, Algida morì.” Esattamente come questo finale. Giralo, spostalo, rivoltalo. Cosa cambia? Nulla. Una bomba comunque. Bravissima Irene.
Questa bambina mi somiglia perchè non si discosta molto dalla bambina che sono stata. Che credo sia ancora in giro da qualche parte e mi stia aiutando in questa storia che di autobiografico ha molto. Ti confesso che scrivo e riscrivo in modo quasi maniacale, io per prima giro, sposto, cambio periodi e pezzi di frasi circa mille volte per cercare quello che sembra funzionare meglio. Una sorta di doc dello scrittore, temo. E spesso anche io ho la sensazione che rigirando ogni cosa funzionerebbe comunque, in qualche modo. Ti ringrazio tantissimo perchè le tue letture sono sempre attente, il tuo sguardo non si ferma in superficie, va a fondo, regalandomi sempre quel qualcosa in più.
“Non rispose. Come avrebbe potuto?”
Splendida questa frase di mezzo che scava un solco nella lettura. Dove ci porti, Irene?
Grazie cristiana per averla notata. Questo passaggio è un ponte, dal prima al dopo. Sempre in bilico, che con me non si sami dove finisce, ma conto sul fatto che il viaggio sia piacevole 🙂
Il viaggio è come buttarsi da un burrone, però io vengo 😀
Questo racconto mi sta semplicemente colpendo, Dea. Al di là della scrittura (piacevolissima come sempre nei tuoi scritti), percepisco molto tra queste righe.
Grazie Nicola. C’è molto di autobiografico, nascosto qua e là, a partire dai luoghi che sono i miei. Scriverlo è un po’ come tornare a casa dopo anni di assenza.
“la vidi perdere ogni spigolo”
Altro passaggio che mi ha colpito
❤️
“Ma in un paese i fatti di uno sono quelli di tutti, stesi al balcone insieme ai panni.”
Bellissima!
Sì, questa è piaciuta un sacco anche a me quando mi è venuta!
Peter è stato un vero colpo di scena! Sto adorando questa storia: continua così e verrà fuori un capolavoro. Bravissima
Grazie Arianna ❤️
L’atmosfera che trasmette il tuo racconto è costituita di elementi che quando li respiri hanno un effetto calmante e questa bella composizione, accende quel sorriso affettuoso e complice per la condivisione di sentimenti simili, anche se separati da un sacco di chilomestri.
Te l’ho già detto che mi hai catturato col tuo marmo color ruggine, con l’espressione di Algida che perde tutta la sua spigolosità rivolgendosi alla sorellina e con quella foto di un soldato dallo sguardo buono? Se non ti ho ancora detto come cambio espressione ad ogni tua riga… Sappi che sembro uno di quei tizi fissati con gli esercizi facciali. ♥♥♥
Emi❤️❤️❤️gli esercizi facciali prevengono le rughe, abbiamo forse trovato la terapia? Scrittura e condivisione, cosa c’è di meglio per sapere che non siamo soli e forse nemmeno così diversi come pensiamo! “I duri hanno due cuori” cantava Ligabue, e Algida a suo modo è un po’ così e la protagonista impara da lei che sciogliersi con chi si ama, ci sia ancora o no, è una gran bella cosa, in fondo. Anche quando non lo diciamo a nessuno, la cosa importante è dirlo a noi stessi ❤️❤️❤️
La storia prosegue meravigliosamente. Tanta cura per i dettagli e nella costruzione (Roberto ne ha colto il fiore all’occhiello…), ma questa ricercatezza non nasconde lo stile: il tuo. Che brava!
Si riconferma, a mio avviso, come il soggetto che hai scelto vada al di la della mera storia sentimentale, che a modo suo c’è, ma è un intreccio ben più ricco quello che stai dipanando. C’è un passaggio, perdona l’ardire, che mi convince poco: “Non avevo mai visto nessuno pregare dal vivo i suoi morti”; quel “dal vivo” che va a comporre un gioco di parole… serve davvero? Mi suona poco adatto nel contesto delicato, e trovo che il senso arrivi bene anche senza.
Letto veramente con piacere, come di consueto, grazie
Ciao Paolo, non soltanto ti perdono l’ardire ma ti ringrazio e accetto il consiglio. Quel “dal vivo” era di troppo. Rileggendo dopo che me lo hai fatto notare mi sono resa conto di quanto il periodo funzioni meglio senza.
La storia d’amore doveva essere il soggetto principale, a suo modo forse lo è, ma sta accadendo che nel corso della scrittura altri elementi prendano il sopravvento e si impongano per uscire. Spero di star riuscendo ad amalgamarli al meglio, perchè questa storia si sta scrivendo praticamente da sè. Più cerco di mandare i fatti da una parte, più se ne vanno dall’altra. Non mi resta che sperare di dirigerli nel modo migliore. Grazie per preziosa lettura, a presto.
Algida mi ricorda la signorina Genevieve del romanzo “Il ballo delle pazze”, di Victoria Mas; soprattutto per il carattere. Anche a lei era morta una sorella e controllava un istituto. Un libro interessante come lo é anche questa tua serie. La storia d’amore della bambina con Peter, é bellissima, dolce, tenera e ribelle. Spero non vorrai fermarti qui. Morta un’Algida se ne fa un’altra… Motta, Nuii, Sammontana…
Non puoi lasciarci orfani troppo presto di queste piacevolissime letture. Il riscontro, attraverso i numerosi commenti positivi, credo indichi la via maestra da seguire, salvo nuovi sentieri da esplorare per nuove avventure.
“Motta, Nuii, Sammontana…” io ti adoro Luisa, potrebbe essere un’idea!
In realtà per questa mini serie prevedo altri due episodi, ma come già ho detto in altri commenti credo non mi fermerò qui e troverò il modo per darle un respiro più ampio.
Non conoscevo il libro che hai citato, mi ha messo la voglia di leggerlo. Grazie di cuore per questa lettura, a presto ❤️
Che bella notizia, Irene. Giuro: ci speravo che decidessi di regalarci una storia piú lunga, di quelle da assaporare lentamente, in tanti episodi diluiti nel tempo, come quello spot di qualche tempo fa, dove qualcuno, masticando piano quella prelibatezza, diceva: “Sennó finisce subito”.
Continuo a sentirmi dentro al racconto: la descrizione dei luoghi, i personaggi con il loro carattere che viene fuori ad ogni riga. Se qualcuno mi chiedesse cosa significa “show, don’t tell” gli farei leggere questa serie…
Ciao Antonio, che bel complimento mi fai! L’intento, non saprei dire se riuscito o meno, ma a quanto pare sono sulla buona strada, era proprio mostrarvi la mia storia, accantonando la narrazione. Grazie per la lettura, a presto!
Il primo amore, quasi sempre non ricambiato, perché magari non può: come Peter, un giovane soldato morto. Tuttavia, quel sentimento diventa sempre più grande perché vive solo in noi, protetto da noi, come un bambino che vorremmo far nascere. Ed è amore che non risponde, anche quello di Algida per la sorella, morta forse per causa sua. La vita per lei si è fermata al giorno dell’incidente; ritorna a vivere e a mostrarsi ancora come una bambina spensierata solo davanti all’immagine della sorella. Complimenti, Irene.👏👏👏
Carissima Concetta, la tua attenzione mi stupisce ogni volta. Riesci sempre a cogliere quel senso che si nasconde tra le righe, come questi due amori paralleli, quello di Algida e quello della protagonista verso Peter. Grazie per essere sempre presente ❤️
❤️❤️❤️
L’impegno e lo studio che stai mettendo in questa storia si percepisce chiarissimo ad ogni riga, l’immagine del dito mozzato ne è la prova e il culmine, ed è un dono che ti invidio tantissimo.
Non so se confessarti o meno il segreto di questa storia: si sta scrivendo da sé. È nata come una scommessa, l’intenzione di mettermi alla prova con qualcosa di diverso da quello che faccio di solito e invece sta conquistando me per prima, al punto che sto pensando di darle piu spazio e trasformarla in qualcosa di piu ampio. Grazie per la lettura.
Devi farlo assolutamente, è una storia che preme per uscire
Cara Irene, devo assolutamente recuperare tutti i tuoi precedenti racconti, e di questa mia mancanza me ne dispiaccio. Comunque, restando al testo, mi è piaciuto come sempre il tuo stile nel raccontare. Complimenti davvero
P.S: non mi crederai, ma devo recuperare ben 335 racconti ahah
Ciao Alfredo, mi fa davvero piacere che tu sia passato di qui! 335 racconti sono un bel numero da recuperare, ma non ti preoccupare, a me bastano le letture che riesci a fare, senza fretta 🙂
Per definire la tua prosa mi viene in mente il termine “armonia”. È come ascoltare un brano fatto di accordi in minore che non risolvono mai sulla tonica, lasciando sempre in primo piano la dominante. E cioè la malinconia, il rimpianto, l’incanto dell’ amore, il ruvido tocco di Algida (davvero algido e non esente da una certo brutale affetto da madre-padrona) e poi una leggerezza che perdona tutto. Cose umane, cose vere. Molto, molto bello.
Ciao Angelo, mi piace tantissimo l’accostamento che hai saputo fare tra le mie parole e la musica, anche se non conosco benissimo le note quando scrivo sento una melodia, e la seguo. Ti ringrazio di cuore per questa visione. A presto.