Recensione di “Infinito Anteriore” di Elia Morsiani

Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: FRAMMENTI DALL’ARCHIVIO DI GIORGIO TRAÜBER

a cura di Giorgio Traüber


C’è un momento, durante la lettura di Infinito Anteriore, in cui si ha l’impressione che le parole stiano tentan­do di rimediare a un errore. È un fenomeno raro, quasi biologico: come se la lingua, ferita da un ec­cesso di coscienza, cercasse una guarigione impos­sibile. Elia Morsiani – autore ormai di culto per pochi iniziati dell’invisibile – ci consegna tre storie che sono, più che testi, esperimenti d’instabilità semantica.

Il primo racconto – Refusi – ruota attorno alla vi­cenda di Ernesto Dalmieri: un editor ossessivo alle prese con la correzione di un manoscritto quasi perfetto, “Le geometrie della luce”. Un piccolo errore di battitura – una A al posto di una E nella preposizione “del” – costituirà l’innesco di un effetto domino che condurrà il povero Dalmieri alle soglie della follia. Da quel momento, infatti, l’uomo ini­zierà una lenta revisione destinata a sfociare in un eterno stravolgimento del testo, come se ogni nuova rettifica snaturasse l’equilibrio della frase e, con essa, il senso dell’intera opera.

A correzioni seguiranno correzioni, in un cortocir­cuito sintattico senza fine: i protagonisti del ro­manzo esaminato da Dalmieri cambieranno così i loro ruoli, sino a confondersi e sfiorare esiti para­dossali, con mogli che diventeranno madri di se stesse e assassini vittime del proprio omicidio. Il racconto, alla fine, imploderà, distruggendo la vita e la sanità mentale dell’editor. Morsiani, con una prosa asciutta e clinica, ci guida attraverso una spirale discendente, generata da un atto ortografico apparentemente innocuo.

Io stesso, leggendo il testo, ho tentato di ricostruire l’esatto ordine del processo degenerativo del libro, ma dopo qualche ora ho dovuto fermarmi, temendo di fare la fine del protagonista. 

Refusi è una perfet­ta trappola cognitiva, che agisce come esperimento di laboratorio sulla percezione dell’autorialità.

Nel racconto eponimo – Infinito Anteriore – Mor­siani costruisce invece un dispositivo metatestuale in cui il linguista Arturo Ferres tenta di scrivere un’introduzione al proprio saggio. Ciò che ne se­guirà, però, sarà una prefazione così densa da ri­chiedere un preambolo esplicativo. Il meccanismo del racconto precedente, quindi, si ripete anche qui, ma in chiave introduttiva: alla prefazione se­guirà una guida alla prefazione, con tanto di note a piè di pagina. Note che richiederanno altre note, in una profondità spaziale inaccessibile alla pagina. Sotto-note e glosse verranno così racchiuse in un dizionario dei termini che fungerà da guida alla let­tura, originando intere collane enciclopediche orientate unicamente all’interpretazione delle sotto-note alle note del preambolo all’introduzione di un saggio cui non giungeremo mai.

Alla fine, il libro di Ferres non esisterà più: reste­ranno solo una mappa bibliografica e un albero ge­nealogico di rimandi che cresce verso il nulla. È la metafora più pura dell’intelligenza moderna, che accumula spiegazioni fino a dissolvere il significa­to.

Morsiani non descrive: seziona. Le sue frasi sembrano incise nel vetro, tanto sono trasparenti e taglienti. L’effetto è quello di un’iperbole che pare implodere su se stessa.

Devo confessarlo: dopo aver letto questa storia, ho pensato di redigere un diario intitolato Prefazione alla Prefazione. Non l’ho mai iniziato. Credo sia il modo migliore di scriverlo.

Il terzo episodio, La Biografia, è forse il più in­quietante. Narra la storia di Luca Meraldi, un uomo mediocre che inventa una biografia avventu­rosa per apparire interessante agli occhi dei lettori. L’espediente sembra portare al successo il piccolo ometto dalla grigia esistenza che ora, spinto dalla fama, vedrà la finzione farsi così persuasiva da costringerlo a ricalcare ciascuna tappa della sua grande menzogna.

Meraldi diventa dunque davvero ciò che aveva in­ventato: esploratore, traduttore, amante parigino, filosofo dilettante. Ma quando tenterà di scrivere un’autobiografia “autentica” di questa sua seconda vita, sarà costretto a raccontare la banalità della prima, trovandosi intrappolato nella replica di ciò che aveva già narrato.

Il racconto si chiude con una frase terribile: “Morì due volte, e in entrambe le morti si credette vivo.”

È il compimento della logica iniziata con Refusi: l’editor che corregge, l’intellettuale che approfon­disce, l’autore che inventa – tutti finiscono divorati dalle proprie narrazioni.

Morsiani chiude la raccolta con un poscritto di una sola frase: “Non esistono testi finiti, solo lettori che smettono di leggere.” Un aforisma che, nel suo manierismo teorico, sintetizza la poetica dell’auto­re: la letteratura come sistema autopoietico, vivo, parassitario.

In questi tre racconti, il linguaggio non serve a rap­presentare la realtà, ma a riscriverla fino al collas­so. È un gioco alchemico che trasforma la pagina in esperimento e il lettore in cavia.

Ho spesso detto che la mia specializzazione è la metafisica dell’editing: la certezza che ogni correzione sia un atto demiurgico. Infinito Anterio­re conferma questa intuizione. È un libro che non si può leggere senza alterarlo, né comprendere sen­za rischiare di scriverlo di nuovo.

In sintesi: Elia Morsiani ha creato, con Infinito An­teriore, una trilogia del paradosso, un trattato nar­rativo sulla disintegrazione del senso. Ogni raccon­to è un esperimento di linguistica esistenziale.

Io, Giorgio Traüber, ne ho tratto due grandi inse­gnamenti: mai soffermarsi troppo nella correzione e mai – per nessun motivo – scrivere qualcosa che non sia inventato, affinché nessuno possa svilire la finzione con lo squallore della verità*.

*Una frase, nel testo, mi ha colpito particolarmente: tutti finiscono divorati dalle proprie narrazioni.

Credo che queste parole esprimano alla perfezione l’incubo in cui Giorgio ed io siamo involontariamente scivolati. Sono certo, infatti, che qualcosa, nel pensiero di mio fratello, abbia raggiunto un tale livello di concretezza da essere stato in grado di inghiottirci nella sua illogicità. Non saprei dare altra spiegazione alle incongruenze che ora, dopo una rilettura della seconda versione dell’Atlante, mi trovo a segnalare.

Il primo mistero è quello di Clara Böhm, il personaggio immaginario apparso in quel bizzarro ricordo di Giorgio.

Com’è possibile che io non l’abbia mai vista né sentita nominare dai dipendenti della redazione? E perché mio fratello avrebbe dovuto inventare una storia tanto bislacca sul conto di una donna reale?

Il secondo quesito, invece, riguarda la presunta inesistenza della quarta moglie di Giorgio: ho conosciuto personalmente Aurelia, e non è pensabile l’idea che non sia mai esistita.

Ma il mistero più inquietante è certo quello della sua omonimia con una donna tedesca residente in un villaggio che, secondo gli studi di Giorgio, dovrebbe essere frutto dell’immaginario collettivo.

A questo punto, casi sono due (se si esclude la psicosi): sono precipitato in un enorme 

complotto della realtà (una di quelle “infezioni narrative” teorizzate da mio fratello); 

oppure sta avvenendo qualcosa di altrettanto oscuro ma ben più concreto, 

Giorgio ha disseminato indizi qua là in modo da condurmi alla soluzione dell’enigma.

Serie: ATLANTE DELLE TERRE SOMMERSE


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Credo che Giorgio sia riuscito a far impazzire suo fratello…o meglio. Gli ha teso una trappola e lui ci è cascato.
    “tutti finiscono divorati dalle proprie narrazioni” credo sia un po” quello che sta succedendo anche qui. Piu’ che divorati, mi verrebbe da dire che tutti, a un certo punto, diventiamo le nostre narrazioni.

  2. ““Non esistono testi finiti, solo lettori che smettono di leggere.””
    E autori che smettono di scrivere, aggiungerei. Se lasciassimo fare alle parole o seguissimo la teoria dei refusi, nessun testo, a pensarci bene, finirebbe mai.

  3. “Non l’ho mai iniziato. Credo sia il modo migliore di scriverlo”: mi hai fatto pensare alle mille storie nate e rimaste nella mia testa che, probabilmente, nessuno conoscerà mai, tranne me.

    1. Ciao Arianna! È per quello che io pubblico qualunque cosa mi passi per la testa. Non so quante possibilità ci siano di esternare certe cose, dall’altra parte😂 Grazie mille della lettura🙏🏻🤗

  4. “Non esistono testi finiti, solo lettori che smettono di leggere.” Trovo questa frase molto vera: i personaggi, con le loro storie, ricominciano a vivere tutte le volte che un lettore apre un libro. Come temo (o spero) anche nella contaminazione della realtà da parte dell’immaginazione. Bravo, Nicholas! 🙂👏👏