
Rimpianti, domande e speranze
Serie: L'eredità di Giacomo
- Episodio 1: La casa in valle
- Episodio 2: Solo una leggera inquietudine
- Episodio 3: Trasformazioni
- Episodio 4: Non si viaggia mai col fumo in tasca
- Episodio 5: Tasselli al loro posto
- Episodio 6: Il desiderio di sognare
- Episodio 7: Lettera dall’aldilà
- Episodio 8: Bel pippone ti sei tirato
- Episodio 9: Gita nell’aldilà
- Episodio 10: Sbucciare le patate per guadagnarsi il pasto
- Episodio 1: Quattro chiacchiere col morto
- Episodio 2: La vita, il bello e il bene
- Episodio 3: Modulo Umano Standard
- Episodio 4: L’intrusione
- Episodio 5: Capire il passato per vivere il futuro
- Episodio 6: Rimpianti, domande e speranze
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Quando Giacomo, rincuorato dalla mia volontà di portare a termine l’impegno preso, mi lasciò solo, provai a ricordare ogni singolo attimo del ‘filmato’ che mi era stato imposto da chi aveva occupato la mia mente.
Le immagini di mia madre, sola in un letto d’ospedale, con la carne straziata dagli interventi subiti e il cuore gravato dal pensiero di un figlio giovane che non avrebbe più avuto modo di accudire, erano così dolorose e reali da farmi chiedere come avessi potuto essere tanto stupido da non capire quanto bene le avrebbe fatto la mia sola presenza, la mia voce, una mia carezza, un mio abbraccio e un mio sorriso. I miei occhi si inumidirono mentre l’anima urlava il suo disprezzo. Non avrei mai potuto rimediare a ciò che era stato: mia madre era morta e il senso di colpa che mi opprimeva non cambiava nulla di quanto accaduto e, soprattutto, non riscattava il mio comportamento passato. Mi chiedevo se tutta la storia innescata dall’eredità mi avesse veramente cambiato o se fosse solo un effetto temporaneo che, una volta esaurito, avrebbe restituito allo specchio il solito Thomas, superficiale ed egoista, che non pensava né al passato né al futuro e consumava il presente tra veloci scopate, qualche canna e fiumi di birra, incurante di sé stesso e degli altri.
Il turbinio di pensieri mi procurava ripulsa nei miei confronti e il desiderio di distrarmi con un film o un buon libro mi stava tentando, ma qualcosa, dentro di me, e contro la mia volontà, spingeva nel mettermi in primo piano il viso di Marta e quel mistero ancora insoluto che lei rappresentava per me. Marta non era stata la solita scopata veloce o, meglio, quello voleva essere l’intento iniziale, ma non andò così. Non andò neanche come me l’aveva mostrato quella maligna entità che mi aveva violato, in realtà, ricordandolo ora, fu anche peggio: non era sola e piangente quando il test di gravidanza diede esito positivo, ma il suo sorriso felice fu gelato dalla mia reazione, solo poche parole: «Ma cazzo! Ci voleva anche questa!», ricordavo il mio tono irritato e mi rividi raccattare il giubbotto e uscire sbattendo la porta. Che merda di uomo! Nei giorni a seguire ne riparlammo, cercai di addolcirmi cambiando atteggiamento ma non mi riusciva, non essendolo, di essere credibile e la crepa che avevo aperto si faceva sempre più ampia finché un giorno, entrambi astiosi l’uno con l’altro, mi disse di andarmene, che si sarebbe arrangiata da sola. Finsi di non capire che intendeva tenersi il bambino, e le risposi che l’avrei aiutata, qualsiasi decisione avesse preso. Smettemmo di vederci ed anche di sentirci e un mese dopo mi mandò un breve messaggio in cui si leggeva tutto il suo risentimento: “Ho perso il bambino, buona vita a te!” Risposi, da ipocrita quale ero, con un laconico “Mi dispiace, ti voglio bene”, come se mi avesse scritto che le era morto il pesce rosso che teneva in sala. Mi sentii un vigliacco per cinque minuti, poi cominciai a bere e mi dimenticai di tutto. Nei rari momenti in cui ero sobrio e, quindi, schifato di me stesso, pensavo che per lei fosse meglio avermi perso, che proprio non avevo nessuna possibilità di offrirle conforto, ma, sotto sotto, soffrivo per il mio fallimento come essere umano e spesso, quando una canna mi prendeva male, mi auguravo di addormentarmi per non svegliarmi più.
Per tutta questa serie di motivi, e per l’autostima inesistente, dubitavo di poter essere cambiato in così breve tempo: come poteva quella larva che ero solo pochi giorni prima trasformarsi in farfalla e volare? Non ero troppo presuntuoso nel credere a una così veloce metamorfosi? Possibile che un’inattesa eredità, una cosa tanto inusuale quanto casuale, potesse modificare di punto in bianco la mia concezione della vita? E quella commozione in vetta, per una conquista, tutta mia, frutto di impegno e sudore, era vera o solo una gratificazione al mio ego? Potevo veramente essere un uomo migliore o le mie tare erano così incancrenite da precludermi questa possibilità? Mi tempestavo di domande per le quali ancora non avevo risposte, ma era giusto mi tormentassi, per il timore di reiterare gli errori, per essere sicuro di avere qualcosa da offrire, a me per primo, perché solo una persona soddisfatta del suo essere può dare felicità a chi desidera avere accanto. Capii, alla fine, che ciò che volevo trattenere del mio passato era il ricordo di mia madre, sempre vivo a rammentarmi l’orrore, il mio amico Graziano che c’era da sempre e sempre ci sarebbe stato e lei, Marta, il tarlo gentile che aveva instillato dubbi, l’unica che era riuscita a versare qualche goccia d’acqua sulla mia anima arida. Frenai l’impulso di chiamarla subito per non bruciarmi, al telefono, la possibilità di farle intravvedere in me qualche accenno di cambiamento. Decisi di mandarle un segnale, che lei, amante della poesia avrebbe decifrato, avvertendone tra le righe l’intento e, forse meglio di me, la mutazione d’animo.
Composi dei versi semplici affidandomi alla metafora, e dopo aver letto, smussato e corretto li ricopiai, a penna, su un foglio di carta, senza aggiunta di firma, senza nessun’altra spiegazione: da sola avrebbe compreso chi e perché.
Avrò buon cibo
Ho preparato il suolo
del mio piccolo orto,
con la zappa ho estirpato
gramigna e ortiche,
con piccone e vanga
ho dissodato il terreno
liberandolo da sassi e radici.
Le vesciche sulle mani
segno di inesperienza,
il sudore della fronte
di volontà e speranza.
Avrò buon cibo alla mia mensa
quando il bosco muterà i colori
e pensieri finalmente sereni,
da condividere
con chi busserà alla mia porta.
Scesi veloce in paese e acquistai una confezione di carta da lettera. Scrissi con cura l’indirizzo sulla busta in modo che non ci fosse possibilità di errore nella consegna, vi infilai il foglio e affidai all’ufficio postale la mia speranza di futuro.
Mi sembrava di essere tornato adolescente ed era una piacevole, dolce sensazione.
Serie: L'eredità di Giacomo
- Episodio 1: Quattro chiacchiere col morto
- Episodio 2: La vita, il bello e il bene
- Episodio 3: Modulo Umano Standard
- Episodio 4: L’intrusione
- Episodio 5: Capire il passato per vivere il futuro
- Episodio 6: Rimpianti, domande e speranze
Un episodio in cui l’intimismo la fá da padrone, ben venga!
La frase: “Marta, il tarlo gentile che aveva instillato dubbi, l’unica che era riuscita a versare qualche goccia d’acqua sulla mia anima arida”, colpisce profondamente per la sua originalitá.
La poesia per l’ex amata ( o forse non più), carica di sofferenza per espiare colpe lontane, mette però in risalto un po’ di egoismo del protagonista quando chiede di bussare alla propria porta, quando invece é lui che l’ha sbattuta dietro di sé chiudendo col passato
Grazie Paolo, mi dai l’occasione di chiarire il significato della poesia. Thomas sa benissimo di essersi comportato da merda umana e tenta, in punta di piedi, di proporsi cambiato, l’orto è la sua anima che tenta di ripulire da macigni e radici marce; l’invito a bussare alla sua porta è metaforico, è la richiesta di un segno che gli dia speranza ma sa benissimo che Marta potrebbe stracciare la poesia e continuare la sua vita senza di lui. Non poteva telefonarle o presentarsi a casa sua con un mazzo di fiori e un sorriso smagliante. La scelta, lenta e di altri tempi, di affidarsi alla posta significa anche voler rispettare i tempi, sia i suoi (quando il bosco muterà i colori) che quelli di Marta, nel racconto siamo a maggio e lui le propone di prendersi il tempo necessario. Anche il bussare alla porta è metaforico: so di essere in grande colpa, ma ti faccio sapere che sto tentando di cambiare e se questo mio mutare ti sta a cuore, se ancora ti fa vibrare il cuore mandami un segnale ed io scalerò i monti per venire da te.
Quanti errori ho fatto in così poche righe? maledetta la fame e la fretta di cenare!😂😂😂
Hai chiarito perfettamente i messaggi reconditi della poesia….
Evidentemente Thomas è cambiato, infatti ha sentito la necessità di comporre quei versi per lei ❤️
Grazie Arianna, il dilemma del cambiamento è una cosa che mi ha sempre affascinato. Davvero si cambia? Veramente una persona può togliere la vecchia maschera per indossarne una nuova? Mah!
“Perché solo una persona soddisfatta del suo essere può dare felicità a chi desidera avere accanto.”
Questa frase è da incorniciare perché è una verità sacrosanta. Il problema diventa irrisolvibile quando si è perennemente insoddisfatti. Capitolo tormentato, profondamente intimistico, dove la coscienza fa emergere sensi di colpa difficili da dimenticare. Un tormento che ho provato anch’io in prima persona avendo assistito al calvario di una madre nell’ultimo mese di vita. È un capitolo che vale la pena rileggere, non come qualche mio che rileggerlo è invece una pena. Giuseppe, ti meriti un 👏 applauso.