Riviste erotiche volanti

Playboy vide sotto di sé il deserto. Immaginò che, dove volava, c’era la tana di qualche animaletto – non sapeva bene quale, dell’Iran non aveva una grande conoscenza zoologica – e il passaggio dell’F22 Raptor a sessanta metri dalla superficie del mare gli avesse spazzato via tutto.

Fino a seppellirlo vivo.

Fino a morire.

«Rotta zero-uno-cinque. Gli iraniani ci attendono» borbottò via radio Playboy.

«Ha ragione, signore» reagì Penthouse.

«Come no!» si fece sentire Hustler.

I Raptor filavano a due Mach, le pallottole esplosive che gli diedero il benvenuto forse furono molto più veloci.

«Dannazione! Credevo che si sarebbero accorti di noi dopo» si lamentò Hustler.

Playboy non disse nulla. Dopo aver cabrato, tornò in picchiata, prese la mira e diede voce all’M61A2 Vulcan. Gli fece piacere vedere le strutture della batteria essere infrante: fu come se le pallottole del cannoncino avessero spaccato il metallo. Vide delle esplosioni, poi tornò a volare.

Anche Penthouse gli aveva dato una mano, allora lo seguì.

Playboy controllò sul radar. «Dove sei?».

«Sono qui. Arrivo». Hustler si comportava come sempre in maniera leggera, neanche fosse un pilota militare.

Come fosse riuscito a ottenere il brevetto, era un mistero.

Il terzetto si riunì subito, puntarono verso zero-uno-cinque. Playboy al centro, dovettero aggiustare un po’ la rotta, sembrava che gli altri due avessero degli impedimenti, non rispettavano le direttive del generale Hefner.

Il generale dell’United States Air Force, Larry Hefner, li aveva fatti entrare in una sala col condizionatore al massimo e gli aveva spiegato cosa fare in Iran. Nel giro di un’ora, la piccola formazione aveva lasciato il Qatar per dirigersi verso le coste iraniane. Playboy non si era fatto illusioni che si sarebbe combattuto, ma aveva sperato fosse più semplice.

Nulla di tutto questo.

«Signor colonnello, sta arrivando il comitato d’accoglienza» lo avvertì Penthouse.

Playboy vide sul radar cinque apparecchi puntare su di loro da nord.

Hustler non perse tempo: si allontanò dalla formazione.

Gli F14 Tomcat si avvicinarono sempre di più, spararono i loro missili aria-aria.

A Playboy dispiacque dover combattere degli aerei di fabbricazione americana. In Iran da prima della Rivoluzione islamica, certo, ma erano pur sempre di fabbricazione a stelle a strisce.

Non servirono neppure i flares. Playboy s’impennò, i missili andarono per la loro strada.

Al fianco di Playboy c’era sempre Penthouse. Al solito, Hustler pensava a se stesso. Una volta tornati in Qatar, Playboy l’avrebbe fatto richiamare. Non era possibile comportarsi così durante una missione di guerra.

Lui e Penthouse spararono. Bastarono un paio di AIM120 AMRAAM e due F14 su cinque esplosero. I restanti, si mossero confusi.

«Mi piacciono gli AMRAAM. Hanno un nome che sembra arabo, ma!» commentò Penthouse.

«Sì, però tieni conto che l’Iran è a maggioranza persiana. Non sono arabi» puntualizzò Playboy.

«Certo, signor colonnello».

Playboy si chiese com’era che un popolo che aveva resistito otto anni a Saddam e aveva perso un milione dei suoi figli fosse così facile da scalzare. Magari, se noi americani ci fossimo uniti agli iracheni la guerra sarebbe finita in altro modo.

«Sa, signor colonnello, mi manca casa mia. Come lo fa il caffè mia madre, non lo sa fare nessuno» continuò Penthouse.

«Le nostalgie tientele per te. Ora fa’ attenzione». Se era per quello, Playboy, una volta tornato a Reading, Pennsylvania, avrebbe fatto un giro col suo ultraleggero. Così, per rilassarsi, senza il pensiero che se non stava attento un missile nemico lo abbatteva. «Ma Hustler, dove sei finito?».

«Sono a trecento chilometri più a nord di voi» sentì la risposta via radio.

Playboy si affrettò a dire: «Che ti è saltato in mente?».

«La missione».

«Ragazzo, mi stai irritando. Ricordati che sono un tuo superiore e da quando siamo decollati non mi hai chiamato come si deve».

«Signor colonnello» si decise a dire, «io…».

S’interruppe.

«Hustler?».

Gli F22 continuarono il viaggio, più in basso il deserto e qualche oasi con un pozzo d’acqua.

«Hustler!».

Adesso era troppo.

«Signor colonnello» intervenne Penthouse.

«Che vuoi!». Non doveva essere così ruvido con Penthouse, molto più rispettoso di Hustler il quale era scomparso nel silenzio radio, ma pensava fosse giusto che dovesse sfogare la sua rabbia.

«Credo sia stato abbattuto».

«Maledetto idiota. Non doveva fare così. Il protocollo impone che dobbiamo restare sempre uniti. Se il nemico ci sorprende da soli, è ovvio che la conseguenza è che facciamo una brutta fine».

«Signore!».

«Che vuoi?» sbottò per contro.

«Gli F14».

Gli F14 stavano tornando. Erano gli stessi di prima, ma da come si muovevano, anche da come stavano adoperando i postbruciatori, sembravano determinati a vendicare i loro morti.

Ma anche gli Stati Uniti avevano pagato il loro dazio di sangue.

«Seguimi, Penthouse» ordinò Playboy. Fecero un giro della morte, si allargarono tornando verso il mare. Playboy a destra, Penthouse a sinistra, gli F14 al centro.

Per un momento i piloti iraniani sembrarono indecisi, allora uno andò verso Playboy e due contro Penthouse.

Playboy sparò con il Vulcan.

Il cannoncino sbraitò la sua disapprovazione.

I colpi grandinarono perforando l’ala sinistra dell’F14, ma l’erede dell’impero di Dario non si perse d’animo e reagì con la stessa moneta.

Playboy vide davanti a sé una serie di comete che puntavano sul suo abitacolo. Si abbassò di quota all’improvviso assaggiando la presenza del terreno perché l’F22 iniziò a tremare in maniera incontrollabile. Al di là della quasi ablazione del velivolo, non successe nulla: lui continuava a volare verso sud, l’F14 verso nord.

Playboy inarcò la cloche, fece un ampio giro per tornare a rivolgersi verso l’F14. Vide che Penthouse era solo contro un F14. Dell’altro era rimasta una chiazza bruciante che butterava il deserto.

«Ben fatto, Penthouse».

«Grazie, signor colonnello. L’ho fatto solo per il caffè di mia madre».

«Sì, sì…». Allora Playboy si arrabbiò. Ebbe cura di staccare il microfono e gridò: «Vendetta!». Non voleva che Penthouse udisse una sua esternazione sanguigna.

Sanguigna.

Come il sangue che fece versare.

L’AMRAAM che tirò abbatté l’F14 davanti a lui, o meglio lo fece esplodere in volo, i resti si sparpagliarono per alcune centinaia di metri.

Colto da una frenesia di morte, Playboy tornò alla radio.

Penthouse e l’F14 continuarono il circo volante, ma adesso l’iraniano voleva disimpegnarsi.

«Vendico Hustler» disse Playboy.

Un AMRAAM e l’F14, colto di sorpresa, fu colpito a un’ala che si frantumò in mille pezzi.

«Torniamo a casa, Penthouse».

«Agli ordini».

«Ehi, ragazzi!».

«Hustler!» sbottò Playboy, furioso ma anche felice.

«Sono stato abbattuto…».

«Lo sappiamo. Per colpa tua, la missione è andata a rotoli».

«Mandatemi soccorsi. Mi trovo…».

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Quando ho letto il titolo, mi sono immaginata degli areoplani di carta costruiti con le pagine degli omonimi tabloid sorvolare il deserto (sarà perchè adoro i tuoi racconti con i kaiju e le creature atipiche).

    1. Ciao Micol! Come sai, scrivo molto e pubblico una miriade di librick. Questo è il più commentato, forse è il più interessante fra i tutti che ho proposto.
      Grazie per essere passata

  2. Concordo con i commenti dei colleghi. Ho trovato particolarmente vivida la scena che hai descritto, veramente realistica. Inoltre apprezzo i nomi dei personaggi che mi fanno sorridere. Bravo Kenji.

  3. una competenza impressionante in fatto di guerra aerea. Ma anche per quanto riguarda la scrittura. Difficilmente sarei arrivata in fondo a un racconto di guerra, ma tu lo hai raccontato con tale esattezza e vivacità da riuscire a non farmi interrompere la lettura. I personaggi sono ottimamente delineati in poche battute e i dialoghi sono veri e credibili quanto i personaggi. Notevole anche l’osservazione del pilota americano che ha difficoltà a distinguere fra arabi e persiani. Nel peggior senso comune occidentale i gli africani sono tutti di pelle nera e in medio oriente sono tutti arabi.

  4. Bravo, Kenji. Veramente ottimo. Il commento, davvero ben calibrato e competente, di @joe8Zeta7 non può che renderti il giusto onore.

    Hai fatto un’ottima revisione, tutto fila che è una meraviglia nonostante la descrizione così articolata di due duelli aerei, e guarda vorrei mettere l’accento proprio su questo particolare: la matassa era mica tanto piccola, ma l’hai sfilata bene.
    C’erano, negli anni ottanta, i fumetti di Supereroica per chi se li ricorda. Realistici oltre ogni limite, somigliano tanto, fumettisticamente, al tuo scrivere.

    Infine, i nomi scelti sono azzeccati al duecento per cento per l’opinione di chi, come me, ha sempre adorato il genere bellico dai film, ai racconti, ai fumetti.

    Resta sempre così, lo ripeto ogni volta: resta cronista senza scivolare in altro che distruggerebbe la tua vena.

    Molto molto bravo.

  5. Probabilmente più realistico di Top Gun, e non solo per i personaggi. Interessanti i nomi, sapevo che vengono dati in modo fantasioso ma arrivare a richiamare le attività ricreative da trincea in modo così esplicito… Poi però mi è tornato in mente Apocalypse Now e mi sono convinto che hai ragione tu.
    Il racconto è come sempre molto ben scritto e per di più avvincente nella sua ordinarietà, in un periodo ed uno scenario in cui episodi come questo erano probabilmente giornalieri.
    E stiamo arrivando, attraverso un lungo viaggio nella storia della guerra, ai giorni nostri.
    Uno dei prossimi episodi ci porterà forse in Ucraina?

    1. Grazie Giancarlo per il tuo bel commento. Il racconto l’ho scritto nel luglio dell’anno scorso. L’Ucraina? Ho scritto di questo conflitto, sia qui su Edizioni Open che su una rivista. Non so se ho scritto altri racconti, ho una miriade di racconti brevi

  6. Leggere i tuoi racconti mi ricorda molto la stessa sensazione che avevo quando leggevo quelli di Clive Cussler.
    Lui era specializzato in tutto ciò che riguardava il mare, gli oceani, i sottomarini e le spedizioni archeologiche sott’acqua e in ogni suo racconto inevitabilmente, e anche giustamente, infondeva queste sue profonde conoscenze e passioni.
    Allo stesso modo, tu infondi nei tuoi racconti queste tue profonde conoscenze e passioni relative al mondo militare, sia passato che presente, rendendo non verosimile, ma proprio realistica la scena che descrivi.
    Ecco, questo particolare modo di scrivere è, a mio modo di vedere, molto affascinante e anche molto difficile, in quanto può facilmente risultare un’arma a doppio taglio, dato che facilmente ci si potrebbe far trasportare, proprio dalle profonde conoscenze personali sull’argomento, in discorsi o descrizioni di eventi e situazioni piuttosto lunghe e tecniche, che alla fine risulterebbero poco comprensibili e noiose.
    E lo stesso Cussler, a volte, cascava in questo tranello.
    Tu, però, tratti il tema con un linguaggio sempre molto comprensibile e scorrevole, dando quasi la sensazione di star vedendo lo spezzone di un film.
    Molto bello questo racconto. 👍😊

    1. Ciao! Ti ringrazio molto per questo tuo bel commento. Merito della lettura dei romanzi di Tom Clancy (un po’ che non li leggo, mi sto concentrando sulla Roma antica visto un mio progetto) e anche tanta passione