Saikebon (1/2)

Serie: Le Disillusioni (serie di racconti)


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Prima parte del sesto racconto per la serie "Le disillusioni". I racconti sono legati da temi comuni ma si possono leggere separatamente.

L’ufficio del direttore della Conad di Corso Lodi è un piccolo spazio quadrato ricavato tra l’ultima corsia delle casse e il retro del magazzino. Un vecchio banco in formica verde, un portatile, qualche faldone. Alla parete, tra un orologio e un calendario della UniCredit è appeso un crocifisso in legno scuro. La signora Guya lo fissa con aria di sfida.

«E questo?»

Tra le mani le è rimasta una confezione Saikebon alle verdure, la sventola verso il piccolo Gesù muto.

«Te lo aspettavi, questo?»

Un moto di euforia che dura poco, soffocato dal rigurgito di un pianto che però non arriva. Pentita, si segna la croce, abbassa lo sguardo verso le ginocchia unite. Oltre la porta rimasta aperta, il direttore e una guardia giurata rovistano dentro il suo carrello, ancora pieno. 

Le hanno portato via l’intera spesa, compresa quella che avrebbe avuto intenzione di pagare regolarmente, si sono scordati di riprendersi il Saikebon. Guya ci si aggrappa come un naufrago al salvagente, stringe la prova inconfutabile della sua colpevolezza con tutta la speranza che può.

Allunga il collo, prova a origliare.

Il direttore è un ragazzo giovane, sulla trentina. Mentre la invitava ad accomodarsi e aspettare nel suo ufficio Guya gli ha notato un piccolo neo in mezzo alla fronte. Minuscolo e frastagliato, ricorda una piccola stella. Non ha potuto fare a meno di pensare che lei e il suo Carlo, un particolare simile, lo avrebbero riconosciuto fra mille. Il cuore, dentro al petto, ha mancato di un battito.

Di fianco al direttore scorge Milena, la cassiera. Gesticola fitto fitto, facendo tintinnare voce e bigiotteria. A tratti si volta per lanciarle cenni d’intesa. Anche il direttore sorride, appare sereno. Guya ha un moto di sconforto. 

Mi perdoneranno, pensa. Non mi stanno prendendo sul serio.

Un crampo le morde lo stomaco, gambe e braccia tremano. Chiude gli occhi, da ritmo al respiro. Per calmarsi giocherella con la linguetta in alluminio che sigilla la confezione di Saikebon. La rigira tra le mani, legge le istruzioni di cottura scoprendo così che non è prevista cottura. Tre minuscole illustrazioni, racchiuse in altrettanto minuscoli quadratini, mostrano chiaramente che è sufficiente aggiungere un poco di acqua calda. Si chiede che gusto possa avere un simile intruglio, se si tratti di roba cinese o giapponese. Ma Guya di cibo precotto, cinese o giapponese che sia, non ha mai capito nulla. È roba da single, studenti fuori sede. I figli giovani che lei e il suo Carlo non hanno mai avuto.

«Non sono mai venuti» minimizza, a chi ancora lo chiede. Come fossero stati pigri venditori ambulanti e il suo ventre una periferia dismessa, che non vale la pena raggiungere.

Eppure, non se n’è mai fatta un cruccio. Lei e il suo Carlo hanno accettato di buon grado il volere della sorte, adattandosi ad una vita orfana di consigli di classe, maniglie appiccicose e altalene piazzate in giardino.

Solo a volte, sulla spiaggia o a passeggio per il centro, nel capriccio di un gelato negato o nel gesto di una scarpa allacciata, sembrava loro di riconoscerli – figli loro, ma addosso ai figli degli altri – per come a lungo li avevano immaginati. Uno sguardo commosso, un cenno del capo. Nulla più.

Le è successo anche poco fa, con il neo del direttore. L’istinto ha subito cercato la mano del suo Carlo a scaldarle il cuore. Lo vorrebbe lì, a dirle cosa fare, a levarla dagli impicci. Se fossi qui, pensa. Ma il suo Carlo non c’è, a fare la spesa e dentro quello stanzino Guya è venuta sola, mentre fuori dalla porta decidono per il suo destino.

«È un malinteso» la voce di Milena squilla in sua difesa. «Si serve qui da anni, la conosco bene. Non può averli rubati. Deve esserci stato per forza un errore.»

Il direttore annuisce, sembra dello stesso parere. La guardia giurata, addirittura, se n’è già andata.

«Con quello che le è appena successo, poi.»

Milena lo aggiunge sottovoce, ma Guya riesce comunque a sentire. Parole come fili di ferro a tranciarle il cuore. Le gira la testa, si sente mancare.

Che farò, si chiede, se decidono di lasciarmi andare?

Sarà costretta a tornare a casa. Al solo pensiero il cuore tenta un’accelerata, i battiti salgono a frullarle la gola. Poggia sul petto il palmo aperto, distende la schiena in lunghi respiri. Da quando, poco più di un anno fa, ha avuto quel piccolo infarto, ogni battito spostato, ogni emozione intensa sono per lei nemici da temere. Si tasta il polso, conta i battiti seguendo la lancetta dei secondi come le hanno insegnato in ospedale. Regolari. Si tranquillizza. 

Che cosa stupida l’istinto a sopravvivere, pensa.

Ripensa alle parole del cardiologo: «Il cuore delle donne è fatto per sopravvivere, non per cedere.» 

L’avevano tanto rassicurata, ora suonano come una profezia sbilenca.

Era stato Carlo a pensare a tutto, ad essere forte, fiducioso anche per lei. Le aveva regalato un contapassi, un libro di ricette iposodiche, impostato la suoneria personalizzata ai promemoria per le pastiglie. L’aveva presa per mano e accompagnata, come aveva sempre fatto, dentro quella nuova vita fatta di passeggiate lungo il fiume, sesso quieto e bicchieri di vino dosati a metà. Guya si era completamente ripresa. 

Soltanto la sera una piccola ombra calava a rabbuiarle i pensieri. Un animaletto ostinato piazzato sulla parete, che non vuole saperne d’imboccare la via della finestra.

«Ho temuto di morire.»

Stringeva la mano al marito, lo confessava con un filo d voce.

Carlo posava il libro e gli occhiali, l’aria paziente di un maestro con lo scolaro. «Non morirai.»

Quelle parole erano unguento sul cuore, cura preziosa che superava qualsiasi medicina, e la vita tornava a mostrarsi per quello che era sempre stata, distesa pulita di oceano, blu a perdita d’occhio, davanti.

E quando la paura tornava era sufficiente un cenno, il loro rito d’intesa.

«Non morirò?»

«Non morirai.»

Guya ha compiuto sessantacinque anni il mese scorso. Carlo per festeggiare le ha regalato un viaggio in costiera Amalfitana. Poi, con le valigie fatte e il treno già pronto sui binari, è morto lui. 

Serie: Le Disillusioni (serie di racconti)


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Discussioni

  1. Quando all’inizio Guya scuote il Saikebon davanti al crocifisso non ho potuto fare a meno di pensare “ma pensa se quel povero Gesù potesse vedere la scena di questa signora che gli sventola in faccia dei noodles liofilizzati e lo sfida pure”! Mi ricorda un certo cane di un certo racconto… 😼
    Poi, però, a mano a mano che il racconto prosegue, proprio come quando i noodles secchi si srotolano cuocendosi con l’acqua bollente, mi rendo conto che la vita della signora Guya è stato un continuo macerare che l’ha portata ad un gesto imprevedibile come il furto pur di allontanarsi dalla scomparsa dell’amato. Quell’amato che si è preso cura di lei, fino alla fine… letteralmente.
    Un inizio degno della tua penna. ❤️

    1. Come già ti ho detto, adoro il modo che hai di cogliere quell’ironia disperata e sottile che nelle mie righe si nasconde sempre. Il dolore a volte porta a fare gesti che rasentano l’assurdo, il furto è uno di quelli. (E chissà che nel prossimo racconto non appaiano ave maria con i colpi di sole…🤭🤭🤭)

  2. “Poi, con le valigie fatte e il treno già pronto sui binari, è morto lui. “
    Finale stupendo, nonostante per tutto il racconto si intuisca che sia successo proprio questo, scriverlo così è davvero di forte impatto (oltre che un cliffhanger clamoroso)

  3. “«Non sono mai venuti» minimizza, a chi ancora lo chiede. Come fossero stati pigri venditori ambulanti e il suo ventre una periferia dismessa, che non vale la pena raggiungere.”
    poesia 👏

  4. “Solo a volte, sulla spiaggia o a passeggio per il centro, nel capriccio di un gelato negato o nel gesto di una scarpa allacciata, sembrava loro di riconoscerli – figli loro, ma addosso ai figli degli altri – per come a lungo li avevano immaginati”
    Ciao Irene. Bellissimo questo passaggio: mi sono immedesimato nella protagonista che finge di aver accettato il volere del destino, ma…
    Bellissimo anche il modo in cui fai emergere Guya: arriva di soppiatto e poi ci butta in faccia la sua vita, in poche efficaci parole. E ci sembra di conoscerla da sempre…

  5. Avresti dovuto vedermi: da quando la cassiera aveva detto che le era capitato qualcosa di brutto, per tutto il tempo continuavo a pensare a suo marito ripetendo: “fa che non sia morto, fa che non sia morto”, specialmente quando lei aveva paura di morire e lui la incoraggiava. Poco prima di leggere la conclusione, avevo già la lacrimuccia pronta 😔 Che dire, bravissima! Hai scritto un concentrato di emozioni.

  6. Quanta verità in questo episodio: spietato come solo la realtà e la vita spesso riescono a essere. Quante persone hanno paura di ritornare a casa perché è diventata troppo vuota. Spero che quel piccolo neo a forma di stella dia un senso alla vita di Guya. Bravissima, Irene👏👏👏

    1. Cara Concetta, ti devo un doppio grazie. Primo, per le bellissime parole. Secondo, perché hai notato un particolare, quello del neo, che non avevo intenzione di riprendere. Ma leggendo il tuo commento ho rivalutato l’importanza di questa scena, e credo proprio che grazie a queste tue riflessioni la seconda parte e il finale saranno migliori!

  7. Commovente, reale, quasi familiare. Hai raccontato una storia carica di emozioni che spesso rivediamo nei nostri genitori (come nel mio caso!), nei vicini o nel conoscente che incontri ogni volta al supermercato e ti sembra di conoscere da sempre. Un linguaggio pulito evocativo, mi piace molto lo stile che hai usato. Complimenti!!! Un plus per l’immagine…stupenda👏

    1. Grazie Tiziana! Era proprio nei miei intenti creare un’atmosfera “familiare”, far entrare il lettore nella storia come ci fosse da sempre…il.fatto che tu l’abbia notato mi da la carica, missione compiuta! ❤️

  8. “Le è successo anche poco fa, con il neo del direttore. L’istinto ha subito cercato la mano del suo Carlo a scaldarle il cuore. Lo vorrebbe lì, a dirle cosa fare, a levarla dagli impicci. Se fossi qui, pensa. Ma il suo Carlo non c’è, “
    Che tenerezza. Questo passaggio è molto commovente, mi è capitato spesso di assistere a questa scena

  9. Stupendo Irene! Leggo questa prima parte come se fossi davanti alla tela di uno dei tuoi quadri mentre lo stai realizzando. Hai creato lo sfondo ma solo per far risaltare il disegno di una donna in bilico tra i cambiamenti inesorabili della vita e del suo incedere. Un misto di docezza e disperazione, di attaccamneto alla vita e desiderio di mollare. E mi penso li a guardarti in attesa che l’opera sia finita. Come spesso accade hai la maledetta capacità di strapparmi una lacrima. Grazie

    1. Grazie Piero! È il mio primo esperimento di un racconto diviso a metà e temevo di non riuscire…spero di darvi presto la seconda parte, questione di un paio di giorni, e spero di mantenere la promessa e farti commuovere ancora (lo so.. sono perfida …ma se ti commuovi vuol dire che il racconto è riuscito) 😘

  10. Una storia che fa a pezzetti il cuore, forse perché è piena di dolcezza e di amore vero e quell’amore Guya l’ha perso. Sei riuscita a farmi sentire il suo dolore e il sentimento forte che ha condiviso con il marito. Una storia bellissima, scritta meravigliosamente bene.

  11. Dopo averti letta, mi resta sempre cucita addosso una sorta di malinconia, o forse di nostalgia. Di cosa, non lo so, ma la sento forte. Hai il potere di immaginare personaggi unici e poi lavorarli, in bianco e nero, come fai con le tue opere. Guya potrebbe essere un enigma e rimanerlo fino alla fine, oppure chiara e cristallina, così limpida da restarne quasi scioccati.
    Non sono il tipo da commenti frettolosi, sai che mi piace soffermarmi su un testo, finirci dentro. Nel tuo non mi è ancora stato possibile. Mi serve che la storia continui a srotolarsi, fino a dove non saprei, ma quello è il tuo potere. Pertanto, resto qui, senza fretta, in attesa.

    1. Hai usato un’espressione che per tutto il tempo ho cercato, senza trovarla. Enigmatico. Guyana è proprio così. Non lo era, nei miei progetti. Lo è diventata scrivendo, di testa sua e a mia sorpresa. Ci svelerà il segreto dei suoi intenti soltanto sul finale, ma sarà difficile capirla fino in fondo. Grazie Cristiana per le tue letture sempre attente ❤️

  12. “Quelle parole erano unguento sul cuore, cura preziosa che superava qualsiasi medicina, e la vita tornava a mostrarsi per quello che era sempre stata, distesa pulita di oceano, blu a perdita d’occhio, davanti.”
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  13. “L’aveva presa per mano e accompagnata, come aveva sempre fatto, dentro quella nuova vita fatta di passeggiate lungo il fiume, sesso quieto e bicchieri di vino dosati a metà.”
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  14. “Era stato Carlo a pensare a tutto, ad essere forte, fiducioso anche per lei. Le aveva regalato un contapassi, un libro di ricette iposodiche, impostato la suoneria personalizzata ai promemoria per le pastiglie.”
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