Sfewn

Era un carillon. Ascoltavo musica con gli auricolari, una melodia dei Nox Arcana, ed ero immerso nel buio della mia stanza. Vedevo solo il lampeggiare attorno al caricatore del mio computer, nient’altro, se non forse lo spiraglio di luce che trafilava fra lo spazio lasciato dalla porta socchiusa. Mio fratello era in stanza sua, e ci eravamo congedati dopo la cena. Avevamo mangiato solo noi due, e ora c’ero solo io a farmi compagnia mentre me ne stavo sdraiato sul letto, avvolto nel nero di sera. Persiane chiuse quasi formassero la quarta parete di quella stanza in cui ascoltavo musica e rimanevo fermo paralizzato. Troppe poche energie pure per leggere, o per riflettere, o qualsiasi altra cosa di cui potessi sentire il desiderio inappagabile. Volevo sentire quelle melodie ininterrottamente finché gli auricolari non si fossero scaricati, al che sarei andato a letto. Ascoltavo una melodia (è il termine adatto, melodia? Non aveva un testo, solo la musica, quindi non me la sentirei di chiamarla canzone), e ne sillabavo il nome: Annabel Lee. Ora non saprei dire per quale motivo specifico io l’abbia fatto: che sia possibile che volessi la mia cantilena per distrarmi? Un continuo An-na-bel che si ripeteva come l’acqua che sgocciolava fuori dal tetto per cadere sulle persiane, spinto da un vento che tormentava tutto il quartiere. Avevo sonno, e forse il suono di carillon mi aiutava a vincere quella parte di me che non riusciva ad assopirsi perché si agitava per via del mio cuore che batteva troppo velocemente. Oppure, il battito era normale? Non so, ma aspettavo da quella che sembrava un’eternità. Di tanto in tanto sprizzava lo stimolo di muovermi, visto che l’insoddisfazione e l’ansia crescevano, ma cercavo di convincermi che dovevo dormire. E se fossi morto? Lo stress di quel periodo e le emozioni che non riuscivo a gestire si somatizzavano, pizzicandomi e pungendomi nel petto. Specialmente a sinistra dello sterno. Era il cuore? Se fossi morto, cosa avrebbe pensato mio fratello, quando sarebbe arrivato in camera mia ad augurarmi la buona notte? E come avrebbero reagito i miei genitori? Dovevo dormire, tassativamente. Almeno sarei morto inconsapevolmente.

Mi addormentai, non so quanto tempo dopo, ma quel timore di morire fu l’ultimo ad accompagnarmi verso le porte del sonno.

Sono seduto su una sedia di legno che scricchiola ogni volta che mi dondolo avanti e indietro. È una stanza piuttosto vuota, con le pareti fatte di blocchi di rocce impilati alla bell’e meglio. Assi di legno sono poste fra le file di blocchi, con fili di paglia che sporgono dai buchi che, come insetti, infestano le pareti. Non c’è nulla di appeso alle pareti, se non forse un paio di pentole di peltro, mentre la sedia dove sono seduto poggia su terra battuta. È tutta terra battuta, pure dove c’è il mio giaciglio di paglia, e paglia è ciò che uso assieme a panni per coprire la fossa dove stanno gli escrementi. Sono solo? Ho come l’istinto che la gente che passa vicino alla mia casa mi guardi, sebbene io le veda andare tutte per la loro strada. Piccole aperture nella parete a destra mi danno una veduta su ciò che si trova fuori. Entra odore di fumo e bruciato in camera mia, e non riesco a capirne l’origine. Mi giro verso uno degli oblò, ma lo sguardo si blocca sul piccolo tavoletto dove mangio. Non ho voglia di alzarmi, le ginocchia sono toppo deboli. Continuo a dondolarmi. Ho la sensazione di aver smesso di fare qualcosa a cui poco prima ero intento. Mi guardo le mani, e vedo un contenitore di legno scuro che rimane fermo fra le mie dita. Sento che ha delle incisioni. Ho la sensazione di sapere chi sia contenuto in quel vaso. Anzi, so cosa rimane nel vaso della persona a cui è dedicata l’urna. Perché ne ho le ceneri? Ci siamo sposati, oppure ho rubato quel ricordo al vedovo? Sento odore di arancio. Il legno continua a pervadere la stanza con il suo suono. Sarò seppellito assieme a lui, oppure quando me ne andrò via non ne avrò più le ceneri?

Mi sveglio che la luce filtra, forse sono le cinque di mattina. Sarebbe bello se fossimo stati sposati, almeno in un sogno, no? Eppure, non sarebbe stato mai vero, perché non sarebbe stato lo stesso, no, non la stessa persona che conosco. Nessun matrimonio nei boschi, nessuna stagione passata sulla veranda, nessun progetto assieme. Eppure, per un secondo, la mente si era presa la libertà di sognare ciò che non mi confesserei mai che mi piacerebbe vivere. Forse lo so, anzi, che lo voglio, ma so benissimo che i miei desideri sono posti oltre un limite invalicabile. Eppure, perché ne ho sognato le ceneri, e perché non un momento più felice? Forse sono destinato a vivere più a lungo solo per contemplare la bellezza delle illusioni giovanili. Mi riaddormento, ma solo per rivivere nel buio del mio inconscio, senza più luce, senza carillon che mi accompagni, senza speranze.

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