Sfide

Serie: Il solo modo che conosco


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Poi ho premuto la leva della frizione ed inserito la prima. L’innesto della marcia ha prodotto quello scatto secco e preciso che così tanto amo sentire. E con calma, senza fretta, sono partito.

La meta della prima giornata sarebbe stata Lecco.

Nei mesi precedenti avevo studiato bene l’itinerario, calcolando che la distanza ideale da percorre per ogni tappa dovesse essere massimo trecento chilometri, circa cinque ore su strada statale, senza contare le pause. Benzina, andare in bagno. Ruota tutto intorno ai liquidi.

Teoricamente avrei potuto anche allungare un po’, ma sono convinto sia stata la scelta migliore. Mi ha dato la possibilità di prendere le cose con calma, avere il tempo per fermarmi nei posti che mi piacevano, gestire eventuali imprevisti e mettere in pratica il mio obiettivo principale: viaggiare per viaggiare, prendere quello che viene.

Il solo principio che non ho applicato di questa filosofia alla Kerouac è stato partire senza avere prenotato da dormire.

Durante i viaggi che ho fatto negli Stati Uniti questo è stato un aspetto che mi ha regalato un profondo senso di libertà, decidere senza vincoli di avere guidato a sufficienza e fermarmi in un motel lungo la strada, anonimo e senza pretese, che ricordasse “Non è un paese per vecchi”.

Ma dalle nostre parti purtroppo non si può più fare. Tra le tante cose che ci ha regalato internet, ci ha però tolto il gusto di improvvisare, ci costringe a prenotare anche il caffè al bar. Altrimenti lo farà qualcun altro al posto tuo, e quando arriverai al bancone ci sarà uno che asciuga un bicchiere con uno straccetto chiedendoti: “Hai prenotato? No? Eh belin, allora non c’è posto”. Sì, è risaputo che i baristi nel mondo siano tutti di Genova.

Sarei un bugiardo se vi raccontassi di non aver percepito quella mattina, muovendomi a zigzag per le vie di Chiavari scartando le auto in uscita dalla città, tutta la concretezza di un qualcosa che fino al giorno prima era stato solo un sogno di cui fantasticare, ora divenuto improvvisamente realtà. Il seme del dubbio serpeggiarmi nella testa e nello stomaco che mi spingeva a domandarmi, ora che ci ero dentro con entrambe le scarpe, se non stessi facendo il passo più lungo della gamba, se a quel momento ci fossi arrivato preparato, se sarei stato capace di affrontare i miei desideri.

La risposta che mi sono dato è stata che no, naturalmente non c’ero arrivato preparato. Ma mi è venuta in mente una frase che mi aveva detto un mio amico qualche settimana prima, il giorno precedente l’inaugurazione del suo nuovo negozio. Gli avevo chiesto se si sentisse pronto al grande giorno, e lui con invidiabile distacco mi aveva risposto che no, non lo era, ma che alla fine è un po’ come quando ti nasce un figlio: non sei mai pronto, ma quando arriva gli dai il benvenuto e poi vedi come va.

Già definitivamente fuori Chiavari ho accostato una macchina ferma ad un semaforo particolarmente noioso, messo lì provvisoriamente per via di alcuni lavori di rinforzo ad un ponte sul fiume, e quando ho guardato dentro l’abitacolo mi sono accorto che il guidatore era un tizio che conosco di vista. Una di quelle persone che quando le incroci per strada non sempre saluti, dipende dalle circostanze, se i vostri sguardi si incrociano oppure no. Ci siamo guardati ed in quel caso i convenevoli si sono rivelati d’obbligo.

Mi ha visto tutto bardato come Mazinga, con la giacca da moto nuova di pacca e la borsa sul serbatoio, così mi ha chiesto:

«Dove te ne vai di bello?»

Ci ho pensato a spiegarli in breve la cosa, ma ho capito subito che se lo avessi fatto sarebbe diventato verde e rosso altre tre volte, quindi gli ho semplicemente risposto:

«In Germania.»

«Ah» mi ha detto lui, «ma l’autostrada è di là.»

«Lo so» gli ho fatto io.

«Te la prendi larga» mi ha risposto lui con un accenno di sorriso indeciso.

«Eh sì» non ho potuto che riconoscere io.

Poi è venuto verde e sono ripartito.

Mi sono portato appresso l’adrenalina che quella risposta mi ha pompato nelle vene per un sacco di chilometri, lungo quelle strade boschive del mio entroterra che di solito percorro per andare a delle sagre estive alla ricerca del fresco, o per trovare un po’ di umidità e disagio in inverno.

Arrivato al Passo della Scoglina, il primo di quelli che avrei scavallato durante quella settimana di viaggio, ho girato a sinistra verso Barbagelata, minuscolo borgo dell’Appennino Ligure, e lì non ho potuto fare a meno di sorridere del fatto che su quel posto ci avessi scritto, tempo addietro, un breve racconto.

A giustificarlo c’eravamo io e i miei amici minchioni, che nella nostra chat ci stavamo cimentando in uno di quei discorsi scaccia-figa in cui ognuno di noi è campione ex aequo.

Barbagelata si trova su un crinale dal quale promanano tre valli, la Val Trebbia la Val D’Aveto e la Val Fontanabuona, e ci stavamo domandando a quale valle appartenesse in realtà. L’ingegnere del gruppo ha liquidato tutte le teorie e chiuso la discussione decretando:

«Poche storie, l’appartenenza è data alla valle verso la quale l’acqua defluisce». Brivido di ammirazione.

Al ché uno di noi, avendo immediatamente colto la squisita essenza anti-figa della conversazione, ha scherzato dicendomi che avrei potuto scriverci un racconto su quella storia.

Davanti a me si è subito materializzata l’immagine di Diego Abatantuono in “Attila Flagello di Dio” che strabuzza gli occhi e grida “Ah, achemmisfidi? A racconto idrogeologico? Vabbene”.

E così è nato “La quarta via”.

Aperta e chiusa parentesi (ulteriormente) autoreferenziale (rispetto a questo diario).

Quando da Barbagelata si scende fino a Montebruno, quello lo percepisco sempre come un confine, anche se non c’è nulla che lo renda tale. Forse la ragione sta nel fatto che di solito quello è la metà dell’anello di tanti giri in tondo. Si svolta a sinistra e si torna verso Torriglia, poi si scende per il Passo della Scoffera e si prosegue per Chiavari.

Non sono tante le occasioni in cui invece ti fermi al bivio, controlli che non arrivi nessuno, ti butti a destra e ti immetti sulla statale puntando verso nord.

Serie: Il solo modo che conosco


Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi piace come la scrittura sia adattata perfettamente al ritmo del viaggio. Pause ai semafori, quattro chiacchiere, bivi da scegliere, ricordi di racconti passati che entrano in racconti futuri. In autostrada questo non sarebbe mai potuto succedere. Ottima scelta le strade statali.

    1. Nella scelta sono stato influenzato dall’immagine del Sergente Maggiore Hartman che mentre preparavo la borsa mi gridava nell’orecchio:
      «Solo le mammolette e i trasporti eccezionali viaggiano in autostrada, e io non vedo panfili attaccati al tuo didietro.»

  2. “Non è un paese per vecchi”.Ma dalle nostre parti purtroppo non si può più fare. “
    Ho immaginato Chigurh aggirarsi per il lago … no, non si può fare ahimè. Abbiamo già Clooney 🤭

  3. Mi associo al senso di libertà che si prova girando per gli USA e decidendo di fermarsi in un motel quando se ne ha voglia. Ma devo dire che lo faccio anche nella vecchia Europa, soprattutto nel nord della Francia, che amo particolarmente, ma solo “fuori stagione”…
    Continuo a seguirti nel viaggio. In questo episodio la frase che più mi ha colpito è “…l’autosrada è di là”.

  4. In questo episodi mi ha colpito la tua ironia. Alcune batute: “Hai prenotato? No? Eh belin, allora non c’è posto”. Sì, è risaputo che i baristi nel mondo siano tutti di Genova” mi hanno fatto morire.🤣
    La parte più vera? Quando ammetti di non essere pronto, ma parti lo stesso. Perché alla fine è così che funziona: non si è mai pronti, bigogna cogliere l’attimo e agire.

  5. Ciao Roberto, sempre molto coinvolgente ed emozionante questo diario di viaggio. Molto vera la parte sul non essere mai del tutto pronti per fare qualcosa, eppure farlo comunque, creando così il momento giusto.
    Leggendoti c’è sempre da sorridere e riflettere. Bravissimo!

  6. Prosegue bene il racconto e mi sembra di essere lì, a cavallo di due ruote. Un diario di viaggio, con dovute parentesi (e aneddoti) e gli sguardi che dipingono paesaggi. Continua la lettura con piacere. Grazie.
    PS. Ti segnalo un refuso “mi ha regalato un profondo di libertà”

  7. Leggerti e leggere questa bella narrazione di respiro ampio, è come salire in sella alla tua moto e prendersi il vento in faccia. Credo che ciascuno abbia il proprio mezzo di trasporto del cuore, per me, ad esempio è il treno, ma quello che conta è muoversi, viaggiare. Noi abbiamo la fortuna di poterlo fare fisicamente, ma anche con il cuore, quando scriviamo. Grazie Roberto per questo viaggio che ci stai regalando.