
2. Soglia
Serie: L'imperfetto
- Episodio 1: 1. Principio
- Episodio 2: 2. Soglia
STAGIONE 1
L’interno era più ampio di quanto immaginasse, l’aria calda e ferma, impregnata di un odore di carta e polvere. Scaffali di legno scuro correvano lungo le pareti. Al centro, una dozzina di persone sedevano in silenzio su sedie disposte in semicerchio. Il brusio che aveva sentito da fuori non era fatto di voci, ma di un ronzio basso e costante, quasi identico al fruscio del telefono, che sembrava provenire da nessun punto preciso. Davanti a loro, una sedia vuota.
Mentre la porta si chiudeva, tutti, lentamente, si voltarono a guardarlo. E Lucian ebbe la certezza di essere entrato in un luogo che non lo voleva.
Dietro la sedia, in fondo alla sala, un uomo in giacca chiara, capelli corvini raccolti all’indietro, parlava con tono pacato:
«…non è un testo da leggere come un manuale. È un invito. Il Fiore d’Oro non è un simbolo astratto, ma un’esperienza. Ciò che ruota al centro non è fuori di voi, ma in voi.»
Lucian rimase accanto alla porta, indeciso. La ragazza gli indicò una sedia libera vicino all’ingresso; vi si sedette quasi senza accorgersene.
Le parole del relatore cadevano lente, scandite:
«Jung scrisse che il Fiore d’Oro è come una lente: non mostra nulla di nuovo, ma concentra la luce. E allora ciò che chiamiamo realtà smette di sembrarci ovvio.»
Tratteneva il respiro. Una sensazione remota gli pungeva la memoria: aveva già letto quelle frasi? In un volume comprato anni prima e mai compreso? O forse le aveva sognate. Si passò una mano alla nuca: la tensione che lo accompagnava da ore sembrava pulsare al ritmo della voce di quel “maestro”.
L’uomo si interruppe. I suoi occhi attraversarono la sala fino a fermarsi su di lui.
«L’uomo che non sa di sognare» disse con calma, «non può distinguere il sogno dal mondo reale.»
La sala rimase sospesa. Qualcuno tossì piano, una sedia scricchiolò.
Quella frase non era rivolta a nessuno in particolare, eppure Lucian ebbe l’impressione che fosse stata pronunciata solo per lui.
Poi l’uomo inclinò appena il capo.
«Lei non è d’accordo?»
Si trovò al centro dell’attenzione. Deglutì.
«Io… non saprei.»
Un lieve mormorio attraversò la sala. Il maestro sorrise, ma non con benevolenza: era un sorriso enigmatico, consumato.
«Non è il mondo a essere opaco. È lo sguardo che si abitua. Jung lo chiamava “il velo della coscienza”: una trama sottile che ci impedisce di riconoscere il centro. Ma chi sente la pressione…» fece un gesto vago alla nuca «…non può più fingere che quel velo non esista.»
Trasalì. com’era possibile che sapesse?
Il relatore concluse con tono che pareva più un congedo che una lezione:
«Ricordate… non c’è nulla da cercare fuori. La luce non abita le stelle, ma l’occhio che le contempla.»
Un silenzio sospeso precedette un applauso composto. Le sedie scricchiolarono, le persone si scambiarono commenti a mezza voce, il brusio tornò umano.
Lucian rimase seduto più a lungo, esitante, come se il corpo tardasse a sciogliersi dal torpore di quelle frasi.
La ragazza si avvicinò con il solito sorriso leggero, senza intuire il peso che portava addosso.
«Andiamo tutti al Green Lion, qui vicino. È una tradizione: dopo gli incontri ci fermiamo sempre lì» disse con tono gentile ma fermo. «Si sta bene. Venga, le farà bene.»
Scosse appena la testa. «Non so se…»
Il relatore comparve accanto a lei, silenzioso. Da vicino i suoi occhi sembravano acqua ferma, senza fondo.
«Sì, venga» disse con voce che suonava come un ordine. «Il Green Lion è parte del percorso. Non basta ascoltare: bisogna condividere.»
Lucian aprì la bocca per una scusa, ma le parole si dissolsero. Conosceva quel pub, ci era stato molte volte. Ne ricordava l’odore di birra e legno, il chiacchiericcio spensierato. Ma pronunciato da loro, quel nome suonava come un luogo su un’altra mappa.
«Andiamo?» incalzò la ragazza, piegando il capo di lato, quasi divertita dalla sua esitazione.
Alla fine annuì, trattenuto da un filo invisibile.
Il gruppo si riversò nella strada gelida, ridendo sottovoce. Le loro sagome si confondevano con le luci, mentre lui li seguiva qualche passo più indietro. Per un istante ebbe la certezza che la città, attorno, li osservasse.
Serie: L'imperfetto
- Episodio 1: 1. Principio
- Episodio 2: 2. Soglia
“ebbe la certezza di essere entrato in un luogo che non lo voleva”
Bellissimo questo passaggio
Molto bello anche questo capitolo che affascina per la sua atmosfera sospesa, quasi ipnotica, e per l’intreccio riuscito tra filosofia, suggestioni simboliche e mistero. La tua scrittura sa avvolgere il lettore, restituendo l’impressione di trovarsi in un luogo liminale, a metà tra sogno e realtà. Tuttavia, ho l’impressione che il protagonista rimanga un po’ troppo passivo di fronte a ciò che accade, senza offrire veri contrasti o scarti emotivi. Sarà il seguito a mostrare se questa passività si trasformerà in evoluzione narrativa.