
Sospesi nel vuoto
Serie: Mediamente in pericolo!
- Episodio 1: La strada verso il Nivolet
- Episodio 2: Il Gigante Silenzio
- Episodio 3: Solo arrivare a domani
- Episodio 4: Più la notte ĆØ buia, più l’alba ĆØ vicina
- Episodio 5: Ceresole Reale
- Episodio 6: Sospesi nel vuoto
- Episodio 7: Verso la tempesta
- Episodio 8: Tuoni, fulmini e saette
- Episodio 9: La “frascata”
- Episodio 10: C’ĆØ qualcuno lĆ fuori?
STAGIONE 1
(Immagine di copertina di Fabio Elia)
Scilli ormai si era spasmodicamente appassionato a queste escursioni. Cercava freneticamente, sul web, percorsi o attivitĆ estreme, da praticare in paesaggi naturalistici.
Quando lāavevo visto faticare, durante la salita del MusinĆØ, avevo pensato di non rivederlo più affrontare avventure simili. Mi ha, in seguito, confidato che sentiva un dolore al fianco ed aveva paura, essendo lui un poā in sovrappeso, che fosse il cuore a dargli quei segnali. Difatti, alla seconda escursione non era venuto, per poi tornare ad unirsi a noi per la camminata al lago di Laux, dopo essersi fatto assicurare che era una escursione molto più breve ed agevole delle precedenti. Poi, qualcosa devāessere scattato in lui perchĆØ ha cominciato a prendere di petto la questione dellāattivitĆ fisica. Dopo lāestate avrebbe cominciato assiduamente a frequentare la piscina e ad andare a correre nel parco. Mi ha detto che, durante queste attivitĆ , il dolore al fianco non si presentava; solo, a volte, quando camminavamo in montagna, doveva fermarsi un attimo a rifiatare, o semplicemente rallentare. In effetti, ci sono state delle volte in cui rimaneva in coda al gruppo, assistito dal buon Blaco (a cui viene facile attardarsi). Ora come ora, invece, ho lāimmagine di lui come instancabile. Di solito, al secondo giorno di una escursione con pernottamento, io sono morto e lui, invece, ha ancora voglia ed energia per fare molte cose. Ma cāĆØ da dire che io ho circa dieci anni in più di lui.
Tornando a quel periodo, avevamo dunque trovato in rete una roba intrigante: ponte tibetano in notturna, a ClaviĆØre e, a seguire, ferrata.
-Ma quanto costa?-
-Dieci euro.-
-E lāattrezzatura?-
-Ti danno tutto loro, compreso nel prezzo.-
Ok, rientrava nei costi di ciò che noi chiamavamo āpuzzusateā, ossia attivitĆ interessanti a basso costo. CosƬ era deciso. Si sarebbe fatta.
Peròā¦dāaccordo che lāattrezzatura ce lāavrebbero data loro, ma il vestiario? E le scarpe? Gran parte di noi una ferrata non lāaveva mai fatta, nemmeno di giorno, e adesso ci cimentavamo in questo sport piuttosto rischioso, di notte.
-Mi raccomando- Sentenziava Favie- Scarpe adatte.-
E qui, credo di aver dato un tocco ben più deciso, rispetto al nome del gruppo, perfino nei confronti dei jeans perenni di Scilli (che, per inciso, avrebbe indossati anche durante la ferrata notturna), ossia udite, udite: delle scarpe da calcetto! Già , per mancanza di tempo, di soldi e di voglia, non avevo comprato delle scarpe da trekking e, quelle che avevo, erano tutte con la suola abbastanza liscia. Pertanto, le uniche scarpe che si avvicinavano di più ad una suola da trekking erano quelle. Pessima idea, non lo fate mai. I tacchetti sulla roccia scivolano che era un piacere.
A ClaviĆØre, faceva un freddo atroce. Cāerano pochi gradi sopra lo zero, anche se era la prima settimana di agosto. A fianco al ponte tibetano, cāera una festa, con musiche e grigliata di carne. Ci siamo, dapprima, un poā ambientati, mangiando carne grigliata presso una bancarella. Avevo paura che, con quel freddo, mi rimanesse sullo stomaco (il mio momento apprensivo), ma fortunatamente non sarebbe stato cosƬ. Poi, ci siamo guardati e abbiamo deciso di procedere; eravamo troppo tesi per distenderci e lasciarci avvolgere dal clima festaiolo. E ci siamo avviati alla cassa per prenotare: ponte tibetano e ferrata.
Eravamo: io, Blaco, Scilli, Veo e Manu, Favie e Ele ed infine Alessia, unāamica di Blaco. Mentre gli addetti ci bardavano, rendendoci un poā goffi, scherzavamo, chiedendoci a vicenda se avessimo paura. Io guardavo il ponte e provavo un poā di eccitazione. Paura forse no, sinceramente. Un poā di ansia me lāha messa addosso la nostra guida quando ci ha raccomandato, con voce grave:
-Mi raccomando, non sganciate mai entrambi i ganci contemporaneamente! Uno dei due deve rimanere sempre agganciato!-
In pratica, avevamo due corde ai lati su cui appoggiare le mani, una corda poco sopra di noi dove agganciarci e sottoā¦beh, sotto cāerano dei pedalini larghi dieci centimetri circa, su cui appoggiare i piedi, e tra un pedalino e lāaltro un vuoto di circa venti centimetri, da cui si poteva vedere di sotto. Lāaltezza era vertiginosa, un centinaio di metri, credo. In testa avevamo un casco con la luce frontale. Non so quanto sarebbe servito, quel casco, se uno fosse volato giù di lĆ . Poco, credo.

(Foto di Fabio Elia)
Abbiamo cominciato a scendere i gradini, ed eccoci sul ponte. I silenzi reverenziali si alternavano a risolini isterici e a sfottò sdrammatizzanti. Ma in questi casi, sono ancora più stressanti perchĆØ se ne avverte lo scopo. CāĆØ una certa tonalitĆ vocale di sottofondo di eccessiva enfasi, che tradisce lo stato nervoso che la battuta tenta di celare. Pertanto, ciò che voleva alleviare lāansia, ottiene una risposta superficiale di ilaritĆ , dietro la quale si nasconde altrettanto nervosismo. Abbiamo iniziato a camminare su questi pedalini metallici (io vorrei ricordare che avevo le scarpe da calcetto), ma finchĆØ mi tenevo ben saldo alle corde laterali, mi sentivo sicuro. Guardavo sotto e mi chiedevo come stavo, cosa provavo. Niente. Quella situazione creava il vuoto nella mente. Ero eccitato, ma non avevo grandi emozioni, forse perchĆØ dovevo concentrarmi su ogni passo. Si dice che il soldato, anche gravemente ferito, non sente il dolore se cāĆØ unāemergenza che lo costringe a dare la prioritĆ ad agire per trarsi in salvo; solo successivamente potrĆ permettersi di provare il dolore. Ecco, credo che il meccanismo fosse simile. La cosa più difficile, che mi innervosiva un poā, era quando, arrivati ad un punto in cui la fune era interrotta, bisognava sganciare un gancio per volta e reinserirlo oltre, perchĆØ in quei tratti bisognava mollare la presa dalle funi laterali, con le mani, di modo da averle libere per trafficare coi ganci. Allora, senza la sicurezza di quella presa, si sentiva tutta la precarietĆ dellāequilibrio e, appoggiandosi alla bellāe meglio alla corda laterale, si cercava di fare più in fretta possibile, ovviamente ottenendo il risultato contrario, poichĆØ la frenesia rendeva impacciati i movimenti. Perfino i 5° di temperatura non si sentivano più, neanche quando le mani nude toccavano il metallo gelido. Capite come la nostra mente amministra i nostri sensi, al di fuori della nostra coscienza? Noi pensiamo di essere il āpilotaā del nostro organismo, ma in casi come questi ci accorgiamo che ĆØ lāorganismo che pilota il pilota. E dico āci accorgiamoā perchĆØ, quando succede nella quotidianitĆ , invece ĆØ un poā più sottile.
Mi ĆØ capitato, ad esempio, di parlare con una persona che aveva subito unāoperazione di tracheotomia, che poteva conversare tenendo un dito premuto sulla propria gola. Eravamo sul posto di lavoro e mi stava dicendo che, secondo lui, una ragazza piuttosto carina era interessata a me, perchĆØ mi aveva chiesto di andare in pausa con lei. Io, che in quel periodo avevo un ruolo di responsabilitĆ , dovevo terminare un importante lavoro e sono stato costretto a risponderle di no. Lui, allora, insistentemente, mi diceva che dovevo cogliere lāoccasione al volo, che se lāavesse chiesto a lui ci sarebbe andato, etc. Al che, per tagliare corto, poichĆØ mi stava facendo perdere minuti preziosi per il mio lavoro ( quindi, a quel punto, sarebbe stato meglio spenderli in pausa con la fanciulla), gli ho risposto:
-Sì, fa gola anche a me! Ma non posso andarci perchè ho un lavoro da finire!-
āFa golaā, capite? Potevo scegliere decine di espressioni per esprimere lo stesso concetto, ma quelle parole erano lƬ nel subconscio, come pietroline sulla corda tesa di una fionda, pronte per essere scoccate e ficcarsi, inconsapevolmente, in mezzo al discorso cosciente come piccole rivelazioni di quanto fossi turbato dalla situazione.
Ma tornando al ponte, di sgancio in riaggancio, abbiamo raggiunto lāaltra estremitĆ . Era fatta. Ora veniva la parte più dura: la ferrata.

(Foto di Fabio Elia)
La guida ĆØ stata schietta:
-Ragazzi, chi non se la sente lo dica adesso, perchè una volta che siamo in ferrata, non si può far tornare indietro tutti!-
Cavoli se era ansiogeno, sapere di non poter tornare indietro. Come faceva uno a conoscere in partenza come si sarebbe sentito, poco più tardi, in una situazione che non conosceva. Siamo in ballo, mi sono detto, e balliamo.
Alessia, lāamica di Blaco, ha preferito rinunciare ed ĆØ tornata indietro per il ponte tibetano. Forse anche a lei sarebbe servito il training che avevamo fatto noi con le escursioni precedenti; psicologicamente, magari, il nostro percorso ci aveva allenato per una situazione cosƬ. Fatto sta, che poco dopo eravamo appesi ad una roccia. Le nostre rassicurazioni erano i soliti ganci, da sganciare rigorosamente uno per volta, e degli spuntoni metallici conficcati nella roccia, su cui appoggiare i piedi (sempre con le mie scarpe da calcetto e la tuta dellāAdidas, ma guardando dietro di me, Scilli coi jeans, mi confortavo).

(Foto di Fabio Elia)
A dire il vero, appena salito di cinque o sei metri, ho pensato: āOh, cazzo!ā. Ero destabilizzato. Mi risuonavano in testa le parole della guida. Mi dicevo: āCe la faccio o no? Eā alla mia portata?ā. Ho guardato lāappiglio successivo e mi sono concentrato solo su quello. Poi su quello dopo e quello dopo ancora.
āSƬ che ce la faccio, cazzo!ā Mi sono risposto.
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