
SPAZI APERTI
Serie: PHOBIA
- Episodio 1: SPAZI APERTI
STAGIONE 1
Da quanto tempo non prendessi l’autobus, ormai, non lo ricordavo più. Mi avevano spiegato che soltanto una semplice passeggiata per la città mi avrebbe giovato enormemente, aiutandomi a rompere quelle invisibili catene che mi bloccavano da troppo tempo. Attendevo l’autobus alla fermata di Casciano, guardandomi continuamente in giro con circospezione, pronto a trovare una qualsiasi scusa per ritornarmene a casa.
”Dirò che era sciopero o che semplicemente non è passato” mi riproposi. L’idea di entrare in quel mezzo pubblico, tra la gente, e trascorrere alcuni minuti in uno spazio angusto, alla mercé di chiunque, mi metteva fortemente a disagio, ma al tempo stesso percepivo una flebile speranza di superare quella strana paura: ”Agorafobia”, la chiamano. Quel nome, quando fu pronunciato la prima volta dallo psichiatra, suonò buffo e privo di senso, e le parole del dottore mi sembravano dette chiaramente per dare aria alla bocca. Non potevo certamente essere etichettato come agorafobico.
”Che brutta parola”, pensai lì per lì.
Certo, riconoscevo di soffrire di ansia e attacchi di panico, ma arrivare a dire di essere agorafobico ce ne voleva. Quel giorno, dopo aver ascoltato un lunghissimo sproloquio dello strizzacervelli, lo cacciai in modo brusco e, successivamente, litigai coi miei genitori. Non riuscivo a comprendere la loro preoccupazione.
Quella stessa notte, però, pensai: ”è vero, non esco di casa perché ho paura”, ma probabilmente mi angustiava più l’incapacità di riconoscerlo apertamente, tutto qui. Il giorno successivo, chiesi ai miei genitori di richiamare lo psichiatra.
Parlammo per ben due ore, e alla fine mi consigliò di compiere dei piccoli passi alla volta, iniziando ad uscire di casa, per strada, e poi, pian piano, di percorrere alcuni metri e magari prendere anche un mezzo pubblico qualsiasi.
Ed ecco il motivo per cui ero lì, fermo vicino un palo, pallido e tremante, in attesa di un autobus che non sembrava sbucare all’orizzonte.
«Adesso basta, me ne vado!» urlai, stanco di attendere. Mi stavo già incamminando verso casa ripercorrendo la strada a ritroso quando lo vidi spuntare. Dovevo solo fermarlo e salirci su, a quel punto, ma le gambe iniziarono a tremarmi
L’autobus si fermò e le sue porte si spalancarono come fauci di una bestia feroce.
”Morire in un autobus…” constatai amaramente.
«Tutto bene?»
La voce dell’autista mi riportò alla realtà. Vedendomi mezzo smorto si era preoccupato, poverino. Feci un cenno con la mano ed entrai goffamente nell’abitacolo. La gente mi guardava coi loro pensieri, analizzava ogni mio movimento. Mi sedetti, e iniziai a farmi forza: bisognava solo non pensarci, guardare fuori dal finestrino, respirare con moderazione, e tutto sarebbe andato bene.
Lo speravo.
Vidi la città dopo tanto tempo, con le sue strade brulicanti di persone e attraversate da storie e paure come le mie, da cani randagi e gatti pronti a scappare alla vista dei primi, con automobili e palazzi.
Scesi in via dei tulipani, poco lontano dalla piazza, e raggiunsi quest’ultima ancora carico di preoccupazione. Il cuore palpitava all’impazzata, sembrava che da un momento all’altro sarebbe fuoriuscito dal petto.
Respirai, fermandomi proprio al centro della piazza.
Chiusi gli occhi e li riaprii poco dopo: decine di persone passeggiavano, correvano, chiacchieravano, mentre io cominciavo a sentire pian piano quell’inquietudine scemare in favore di una calma leggiadra e piacevole.
Riattraversai la piazza con la mente piena di pensieri dopo una ventina di minuti circa. Aspettai nuovamente l’autobus, lo presi, e ritornai finalmente a casa, con le chiavi della porta in mano, incapace di inserirli nella fessura.
Appena entrato mi lanciai letteralmente a terra, l’aria rovente nei polmoni, e trascorsi qualche minuto in quello stato. Quella sera stessa, ne parlai con lo psichiatra, il quale si complimentò per i risultati conseguiti e mi incoraggiò ad osare sempre più: «raggiungi il municipio, vai al cinema, al supermercato, e poi attraversa la città in lungo e in largo.»
Mi ripeteva che pian piano tutto ciò era possibile. Per me, invece, non lo era affatto.
Serie: PHOBIA
- Episodio 1: SPAZI APERTI
Cronaca di una rinascita. Perché affrontare i problemi a piccoli passi è proprio come affacciarsi a una nuova vita. Ottimo inizio caro Alfredo!
Molto bravo, scritto molto bene. Usi immagini e parole semplici, ma profonde di significato. È difficile trasmettere quello che si prova quando si è vittime di un qualsiasi disagio psicologico, eppure tu sei riuscito a trasmetterlo benissimo!
“raggiungi il municipio, vai al cinema, al supermercato, e poi attraversa la città in lungo e in largo.»”
Gesti e azioni normalissime per la maggior parte delle persone, e soltanto chi ha provato quel panico sulla propria pelle sa quanto queste azioni “normali” si possano trasformare in imprese assurde e terribili…
Scritto benissimo, mi piace il tuo stile 👏👏👏. Mi sono immedesimato nel personaggio e quindi direi che sei stato bravo. Accompagnaci nel proseguio, dài! 💪
Ciao Nicola. Mi fa tantissimo piacere leggere il tuo messaggio, mi soddisfa davvero!! Grazie mille!!
Interessante! Una nuova serie, un tema importante e una lettura scorrevole. A presto, Alfredo.
Attacchi di panico. Un tema di cui si parla poco ma, è qualcosa che se non curato adeguatamente, può cambiare la vita. Un ergastolo della mente. Grazie di parlarne attraverso questo racconto, scritto benissimo. Bravissimo Alfredo👏👏👏
Purtroppo se ne parla pochissimo. La cosa bella è che chi non ha attacchi di panico non capisce chi li ha. Insomma, come si dice: “il sazio non crede all’affamato”. Grazie mille, a presto con altri racconti!!! ☺️☺️
Ohh una nuova serie! E poi proprio sulle fobie (rischia di diventare la mia serie preferita, dato che io di fobie ne ho da vendere 😅🙈)
Ahahah, se vuoi me ne puoi parlare in privato, ho già alcune idee ma più sono meglio è. Grazie ancora!!
Per molto tempo ho sofferto di attacchi di panico e, anche se non è la stessa cosa, mi sono rivista nella tua descrizione. Scritto molto mene, è un testo fluido e immersivo. Un buon inizio 👌
Ciao Tiziana, mi dispiace per i tuoi attacchi di panico. Il testo doveva proprio descrivere questi stati d’animo così dirompenti e distruttivi per le persone che ne soffrono. Grazie mille per la lettura!! ☺️