Tecnica e moto

Iraq, gennaio 1991

I motori facevano un rumore che Ira amava. Gli ricordavano l’officina dello zio. E poi, lui, Ira, in Iraq. Si fosse chiamato Cory la guerra sarebbe scoppiata tra le due Coree?

Come se fosse un cavaliere della Tavola Rotonda, correva in sella alla sua moto da cross. Intorno, anche gli altri facevano la stessa cosa e circondavano la colonna di tecniche che puntava verso lo Scud Alley.

Oltre le dune, oltre la polvere sollevata dalle ruote da fuoristrada, Ira vide una base di Scud. Gli iracheni con le uniformi verde scuro e le stellette rosse dovevano credere che affrontare la Coalizione internazionale fosse come combattere gli iraniani. Si sbagliavano. E per fargli capire qual era la dura realtà lo Special Air Service avrebbe usato le maniere forti.

Le tecniche si misero a rastrello, i fianchi sullo Scud Alley. Gli uomini alle mitragliere binate brandeggiarono. Quando crepitò l’ordine: «Fuoco!», tirarono i grilletti. Le pallottole sciamarono sugli iracheni che finirono per essere crivellati ma i circuiti e i meccanismi dei missili russi rimasero integri.

Di nuovo un ordine: «Motociclisti, avanzare».

Ira e tutti gli altri, centauri delle sabbie, scesero dalle dune per correre incontro alle batterie di missili. Una volta lì, investirono di proiettili gli ultimi iracheni che erano rimasti in vita, adesso più delle poltiglie sanguinolente già assalite dalle mosche. Gli avvoltoi tardavano ad arrivare, forse avevano paura degli operatori del SAS.

«Missione compiuta» esultò un operatore.

«No, invece» gridò Ira.

«Sergente, mi scusi?».

«Dobbiamo sabotare gli Scud, non ricordi? E sarà facile». Dalle sacche appese alla motocicletta estrasse il plastico.

Gli altri lo imitarono mentre le tecniche scendevano giù dai rilievi e gli uomini andavano a costituire un perimetro di sorveglianza.

Ira minò i circuiti e i meccanismi elettronici. «Presto verrà il momento dei fuochi d’artificio» sorrise. Avrebbe avuto un bel ricordo dell’operazione Granby, ne era certo.

«Fatto» disse un operatore.

«Fatto» gli fece eco un altro.

«Fatto» udì ancora.

La parola echeggiò di nuovo e di nuovo tra i missili ricoperti di vernice mimetica.

Ira annuì. «Perfetto. Ora, andiamo».

Si congedarono lasciando la base di Scud all’esplosivo che avevano posizionato.

Una volta lontani, un altro sergente andò da Ira. «A te l’onore» gli porse il radiocomando.

«Oh, grazie». Stava per premere il pulsante per far esplodere tutto, ma uno Scud si attivò con una fiammata.

Doveva essere che non avevano ucciso tutti gli iracheni.

Ira fece pressione sul bottone, tutto esplose, compreso lo Scud che poteva minacciare Israele. Dopo Ira si terse il sudore. «La prossima volta, dovremo essere sicuri di averli uccisi tutti» sputò.

Una missione quasi riuscita.

Tornò in sella alla moto e andò via con le tecniche.

Una nuova missione attendeva gli uomini del SAS.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Letto, ma per me molto difficile. Scrivi molto bene ! Questa sera ho già letto due racconti sul tema …anche quello della Pezzotti. Vado a nanna tentando di sognare i rami d’ulivo e le colombe bianche. Notte