Tobia
Serie: Un giorno, il succedersi degli eventi, ritenuto preordinato, necessario e indipendente dalle finalità umane
- Episodio 1: Tobia
- Episodio 2: Freud e l’invenzione del telefono
- Episodio 3: Il numero galeotto
STAGIONE 1
Quando squilla la sveglia, la vecchia Bialetti sta già fischiando. Tobia è seduto sulla tazza, sente la suoneria e sente anche la caffettiera, ormai rauca, esibirsi in un gargarismo che sputacchia il caffè sul piano della cucina.
«Per Astaroth!» impreca Tobia.
Qualcuno ancora crede nei presagi, nei segni premonitori?
Tobia no. Lui è emancipato: ha catalogato la superstizione come roba per ignoranti, una prerogativa dei bifolchi. Ma soprattutto, quello non è un giorno qualunque per Tobia, perché è il giorno dell’appuntamento con lei: Isotta. Non c’è spazio per la superstizione.
E lo pensa pure mentre si lava i denti e osserva, accanto alla sua immagine, quella crepa sullo specchio. Si domanda quando successe, quanto tempo è passato?
Me lo ricordo io, caro Tobia, fu il mese scorso… Ora, non saprei dire se una crepa valga come “specchio rotto”, ma anche valesse meno, eh be’ se lo specchio rotto porta sette anni di sfiga, una crepa cosa farà?… sei, sette mesi?
Che poi, se ripenso a come è successo… Dunque, stava manovrando lo spazzolino delle unghie, un pezzo pregiato col dorso in osso e madreperla, che mania! Va be’… insaponato: questo gli sguscia di mano, ma fino a lì non sarebbe successo niente. Lascialo andare, dico io; ma lui no, tenta di recuperarlo e mancando la presa gli tira una sberla a effetto che lo fa schizzare contro lo specchio… pack! Ecco la crepa.
Da allora si è anche allargata, ma io non glielo dico e confido nella vostra discrezione di lettori educati.
Va bene, sto divagando, dove eravamo rimasti?
Sì, giusto, Tobia allo specchio riflette sulla malasorte latente e per cacciar via il pensiero va in cucina a pulire il disastro che la caffettiera irriconoscente ha causato, con tutto l’affetto che nutre per la vecchia Bialetti di alluminio.
Poco dopo, ha sistemato tutto, rifatto il caffè.
***
L’aveva conosciuta tre settimane prima, Isotta, in biblioteca. Lui faceva una ricerca sull’avvolgifilo dell’acceleratore della motocicletta, lei era lì con degli amici a consultare un libro sulla vela, o forse sull’Oriente o qualche misteriosa pratica New Age, non saprei, ma è poco rilevante visto che nessuno ne parlò e quando se ne andarono nessuno di loro portava con sé nemmeno un appunto. Ma in ogni caso fu lì, nel luogo che meno si prestava alla conversazione, che si parlarono la prima volta. Tobia conosceva uno degli amici di lei e per suo tramite entrarono in contatto: si piacquero subito. Capì che l’Isotta gli piaceva poiché ragionò sul fatto che stava dicendo una marea di scemenze, nel tentativo disperato di attirare la sua attenzione.
Non so se vi è mai capitato di assistere distaccati, a mo’ di spettatore, e ascoltare quel che state dicendo proprio mentre state parlando, a me sì; certamente gli psicologi avranno un bel nome per questa pratica che, bene inteso, mica sempre riesce…
Bene, quella volta capitò a Tobia, si ascoltò e decise che stava facendo la figura del deficiente, ma notò pure di aver catturato l’attenzione di Isotta; proseguì dunque imperterrito con le sue battute stupide fino a che lei, in un certo qual modo facilitata nell’ascolto dell’idiota, chiese: «Ma tu, sei sempre così?»
Era un test.
E lui l’aveva capito: tranquilli.
Non doveva sbagliare la risposta, quindi prese fiato e… «Così come?»
Così come…? Così scemo: è chiaro no? Avresti dovuto capirlo anche nella tua condizione di rimbambito, dissi io.
Ma lei fu gentile, e poi a me nessuno mi sente, in quel momento ch’era infatuata non infierì: «Spiritoso?» Propose.
Spiritoso? Ma dai!
«Ma sì, certo, come altrimenti potrei essere?» Rispose e chiese insieme Tobia (odio quando fa così). Come se volesse farle credere di essere un imbecille naturale. Il che, detto tra noi, era pure piuttosto credibile.
Io so bene che lei non se la bevve, ma come avrete capito, io sono solo una voce narrante, e come tale dovrei limitarmi a raccontare quel che accade, pazienza ci vuole.
Si congedarono, quella sera, fuori dalla biblioteca, dalla quale per inciso furono invitati ad uscire… ma che figura!
Quando si salutarono, Isotta gli mise in mano un bigliettino con su scritto il suo numero di telefono.
Ora, dovete sapere, è importante in questa storia, che i fatti si svolgono in un’epoca nella quale i telefoni cellulari non esistono ancora, arriveranno molti anni dopo. I telefoni erano solo fissi, scatoloni posti dentro a cabine per le strade che non funzionavano quasi mai, o nelle case: poggiati sui centrini della nonna o più sobriamente appesi al muro nella versione verticale. Si era ben lontani da ciò che avverrà con l’avvento degli smartphone, ancor di più dalla comunicazione biodinamica che arriverà ancora più avanti…
Come faccio io a sapere della comunicazione biodinamica? Eh Be’, in quanto narratore, sarei pure onnisciente.
Serie: Un giorno, il succedersi degli eventi, ritenuto preordinato, necessario e indipendente dalle finalità umane
- Episodio 1: Tobia
- Episodio 2: Freud e l’invenzione del telefono
- Episodio 3: Il numero galeotto
“Capì che l’Isotta gli piaceva poiché ragionò sul fatto che stava dicendo una marea di scemenze, nel tentativo disperato di attirare la sua attenzione.”
Bellissima
Oltre la storia in sé, mi intriga molto questa voce narrativa. Al prossimo episodio allora!
Ciao Roberto, grazie per aver letto anche questa roba qui che non saprei bene come definire, se non un esperimento… boh
“insaponato: questo gli sguscia di mano, ma fino a lì non sarebbe successo niente. Lascialo andare, dico io; ma lui no, tenta di recuperarlo e mancando la presa gli tira una sberla a effetto che lo fa schizzare contro lo specchio”
Bella descrizione, con poche parole hai reso l’immagine.
“Non so se vi è mai capitato di assistere distaccati, a mo’ di spettatore, e ascoltare quel che state dicendo proprio mentre state parlando, a me sì; certamente gli psicologi avranno un bel nome per questa pratica che, bene inteso, mica sempre riesce…”
Credo che si chiami “ascolto metacognitivo”, ma forse, essendo narratore onnisciente lo sapevi, però non hai voluto usare un’ espressione così altisonante che stonerebbero con un genere di narrazione non scientifica. In racconto piacevole che suscita curiosità.
Come dire, Luisa, pulivo la pistola e mi è partito un colpo: è un esperimento. No, sinceramente l’ascolto metacognitivo mi mancava, quello onniscente è il narratore, l’autore è un ignorante…! 🙂 Oh, di psicologi in famiglia ne ho un paio, uno vero e l’altro no. In questa storia qui, quello vero resta a riposo. Grazie per aver letto.
Ci manca solo Luca Ward come voce narrante, la ciliegina sulla torta per questo magnifico inizio di serie. Chissà se le mie poesie sulle crepe ti hanno influenzato, in ogni caso buona fortuna. Al mio augurio tu, immagino, mi risponderai: «Crepa!»
Sul muro o sullo specchio, sempre crepa è, caro Fabio, per certe cose s’impara solo dai maestri. In realtà questa roba qui è una prova tecnica di trasmissione… nel senso che ho messo il primo episodio e adesso vediamo se riesco a metterci il secondo… Ad ogni modo, più che Luca Ward, io mi sono immaginato la voce di Massimo Lopez, ma va bene tutto. Oltre che sperimentale, è una storiella abbastanza demenziale… grazie per essere passato