Tophet

Serie: Morti bianche


TOPHET

“Aaaaaaaaaaahhhhhhhhhh!”

Una corrente d’aria gelida sbatté sul volto come una lama di ghiaccio, tutto il corpo doleva e le palpebre pesavano come macigni sugli occhi chiusi. Non sentiva più le gambe, percepiva solo un forte attaccamento a quel buio umido, voleva rimanere lì per sempre. I polmoni bramavano ossigeno come i piccoli dell’aquila in attesa del verme, sospesi nel loro nido fra le rocce. Lontano da tutto.

Un maledetto raggio di sole si posò sul suo terzo occhio, scaldando la fronte. Si coprì il viso con le mani. Le vene del collo pulsavano ingrossate e un liquido melmoso e nauseante cominciò a colare dalle sue orecchie doloranti. D’improvviso crampi fortissimi ai polpacci lo costrinsero a dibattersi nell’acqua fangosa.

“Nooooooooooooo!”

Una luce spietata invase tutta la cavità e lui imprecò dentro di sé, vittima dell’ingiustizia di una nuova alba che non desiderava.

“Vattene!” urlò contro la luce.

Nuneul tteo, naga!” Un richiamo dall’alto, ritmico e rauco, lo incitava.

Alzati ed esci. Riconobbe la voce dell’anziana, capo spirituale della piccola tribù.

Le sue ossa s’incrinavano mentre cercava di sollevarsi, le dita tremanti si piantavano nelle pareti umide e scivolose, ogni movimento lo costringeva a lottare contro fitte lancinanti lungo la spina dorsale. Il suo spirito combatteva come le sue membra. Con tutto sé stesso voleva tornare indietro, nel caldo silenzio senza dolore.

Naga!”

L’invocazione rimbombava nella cavità come un eco ancestrale, che s’infilava sotto pelle. Con gli occhi stretti, ormai disabituati alla luce, intravide le due giovani donne dai capelli biondi fargli segno di aggrapparsi. Si voltò a destra e notò una lunga radice di albero che penzolava lungo le pareti fangose del fosso, la impugnò e si sentì immediatamente più forte, sentì i muscoli contrarsi e spingere verso l’alto. Nella salita, riconobbe le sue mani, i suoi piedi che si arrampicavano. L’ultimo passo fu il più difficile, le tempie pulsavano impazzite e il freddo sembrò divorarlo:

“Oouuaah!” gemette, voleva aiuto.

Sudicio e tremante, si accasciò ai piedi delle tre donne, che si piegarono su di lui ricoprendolo di foglie e unguenti profumati. L’anziana gli passò un panno caldo sul petto e sulle braccia, poi le tre si unirono in un potente humming. La voce della capotribù era la più incisiva, una vibrazione profonda che partiva dal ventre, mentre le giovani, con toni più acuti, intrecciavano la melodia in un delicato contrasto. Le note si alternavano e sovrapponevano, come se non ci fosse un vero inizio o una fine. A volte rallentavano, poi riprendevano con maggiore intensità, come un cuore che riprendeva a battere dopo essersi fermato. Un ritmo rispettoso e silente, pregno di determinata benevolenza, che viaggiava nell’aria con lo stesso potere del canto del pettirosso, psicopompo simbolo del passaggio tra la vita e la vita.

Il suo respiro rallentò e si guardò intorno. Ora poteva riconoscere il luogo in cui si trovava. Era un’area remota del sito archeologico, situata accanto ai resti delle capanne del villaggio nuragico, su un piccolo promontorio omesso dalla maggior parte delle carte geografiche. Era il Tophet, tipico santuario punico a cielo aperto in cui i resti incinerati dei bambini nati morti o defunti subito dopo la nascita, venivano deposti in urne di terracotta, talvolta accompagnate da stele in arenaria. Una necropoli sacra che accoglieva le piccole anime, un tributo di sole e colori, aperto al mare e all’esistenza. Il vento portava l’eco delle risatine dei bambini che giocavano nei prati, ma al posto degli alberi, John vedeva solo tombe. Un luogo terribile che aveva sempre evitato di esplorare.

Continuando a cantare, le donne raccolsero petali e fiori e li posarono sui tumuli funerari, lasciando che il vento li spingesse nelle cavità scavate nella terra, giù fino in fondo, nelle viscere pulsanti della Madre.

In un attimo il suo ventre gonfiò a dismisura, sentì un peso enorme sull’esofago che risaliva verso la gola, si mise le mani sul volto a coprire gli occhi, non voleva vedere. Le sue labbra si fecero strette e secche, si sentì mancare: “Oddio! Non respiro!” Mentre si agitava per cercare aria, la gola, bruciata dal panico, si strinse come in una morsa, un brivido risalì la schiena e aggredì le scapole, che si paralizzarono. Il mondo si restringeva in un’ombra oscura che lo strozzava. Le mani cercavano qualcosa, ma non c’era niente da afferrare. Rantolava, poteva sentire i polmoni vuoti e duri. Le due donne più giovani lo tennero fermo e l’anziana gli mise le mani sul petto, senza mai smettere di cantare.

“Aaaaaaahhhhhhh!” scoppiò in un pianto incontrollato. Mentre il suo viso si gonfiava e grosse lacrime sgorgavano dalla sorgente dell’anima, si abbandonò alla disperazione, si arrese al corpo. L’anziana lo avvolse in una grande coperta rossa.

Nodo geudeulcheoreom doedoragago sipeotji!” Anche tu volevi tornare indietro al caldo, proprio come lui.

Adul-ui him-eun abeoji-wa gatda!” La libertà del padre è anche del figlio, disse. Accese il fuoco e se ne andò.

***

Si svegliò con un senso di beatitudine un po’ cretina. Si alzò. Disperse le ceneri ancora fumanti, si rivestì velocemente e raggiunse la spiaggia senza accorgersene. Aveva la sensazione che il suo corpo si trovasse in un luogo e il suo spirito in un altro, la mente completamente assente, non pervenuta, come si dice in gergo. Nuotò fino alla Dufour 312, che lo attendeva fedele, ormeggiata a pochi metri dalla riva. Appena salito a bordo, si scolò due litri d’acqua e mangiò del pane secco.

Il mare fu calmo quella sera, fuori pioveva. Sentì profumo di sale e di rosa. Un bambino camminava sulla spiaggia e, ad ogni passo, cresceva facendosi uomo. Un bambino bellissimo.

DIARIO DI BORDO

Nave: Cassiopea – Dufour 312

Capitano: John Guy Ripamonti

Data: 9 Luglio 2067 Ore: 23h50

Latitude: 39° 52′ 23.88″ N

Longitude: 8° 26′ 22.99″ E

Tharros

“There will be mountains that you won’t move. I will be there for you” Frank Ocean.

E così sia. 

Serie: Morti bianche


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Discussioni

  1. Una narrazione che lascia senza fiato. Le descrizioni sono precise, evocative e ordinate. Puoi ricostruire la scena che vuoi rappresentare con facilità e essere partecipe delle emozioni che prova il protagonista. Complimenti 👏👏

    1. Buongiorno Tiziana, mi piace molto la “narrazione che lascia senza fiato”. Il terzo capitolo ha rappresentato per me una sfida non indifferente, temevo che la storia ne avrebbe risentito e forse è così. Ritengo che l’arte sia prima di tutto strumento di conoscenza di sè e non ho voluto rinunciare. Ti ringrazio per il tuo bellissimo complimento.