Trasformazioni

Serie: L'eredità di Giacomo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Thomas prende possesso della casa in valle ereditata da Giacomo

Uscito dalla doccia e trovato un phon, mi asciugai i capelli. Vedendomi allo specchio decisi che li avrei tagliati corti, tolsi l’orecchino, mi lavai i denti e tornai in camera con l’intento di curiosare per vedere se ci fosse qualche altra piacevole sorpresa. Sul piano del mobile a destra del letto era posizionato un giradischi, un ottimo Thorens risalente agli anni Ottanta, aprii le ante sottostanti e mi stupii del potente amplificatore Luxman che doveva fornire un’acustica che solo veri intenditori potevano apprezzare. Una discreta quantità di LP di musica beat e rock degli anni Settanta occupava la parte libera del mobile. Non trovando nulla di Bob Marley optai per quella chicca che è ancora Surrealistic Pillow dei mitici Jefferson Airplane. La musica uscì potente e pulita dagli altoparlanti Bang e Olufsen, unica concessione recente a un impianto pregevole ma datato, e riempì la mia testa. Mi sarei volentieri rollato una canna lasciandomi scivolare nelle lisergiche spirali musicali dei Jefferson ma mi mancava la materia prima. Era un mio comandamento: mai viaggiare con del fumo in tasca.

Scesi al piano terra. Nella sala un grande caminetto catturava immediatamente lo sguardo, la prossima volta lo accenderò mi dissi, l’arredamento non era sfarzoso ma tutto in legno massiccio. Le pareti erano tutte perlinate e creavano un ambiente caldo e rassicurante. Nella credenza c’era una pregevole selezione di liquori: tutte le bottiglie erano ancora sigillate e, da amante del caldo brandy spagnolo, scelsi un Cardenal Mendoza e me ne versai una cospicua quantità, lo trovai, come sempre, meraviglioso. Aprii tutti gli sportelli e i cassetti della cucina e vidi che avevo stoviglie e posate in abbondanza e cibo per intere settimane, in un piccolo locale seminterrato al quale si accedeva scendendo una decina di scalini c’era un portabottiglie costruito con tegole in cotto interamente occupato da pregevoli vini e dal soffitto pendevano insaccati di diverse qualità.

La domanda se tutto ciò che c’era in casa fosse stato acquistato dal vecchio proprietario per suo uso e consumo o piuttosto per il mio mi sorse naturalmente e, non avendo elementi per darmi una risposta, mi pervase un certo turbamento.

Di sopra i Jefferson avevano finito di suonare. Chiusi col chiavistello la porta d’ingresso e, spente le luci del pianoterra, tornai in camera. Spensi anche lo stereo e cercai un pigiama perché la temperatura si era abbassata notevolmente, lo trovai, come tutto ciò che avevo cercato, e lo indossai, distesi un piumino sul letto e mi infilai sotto le lenzuola. Ripresi il libro di Montale e, mentre continuavo nella lettura della prefazione, mi scoprii a pensare che il materasso era molto comodo, così chiusi il libro e spensi la luce: erano solo le dieci di sera ma le ore di guida, le emozioni dal notaio e le grappe di Piero rendevano pesanti le mie palpebre. Mi addormentai quasi subito incapace di seguire i pensieri che si rincorrevano veloci nelle sinapsi del mio cervello.

Mi svegliai riposato nonostante avessi la certezza di aver sognato a lungo, ricordando alla perfezione sia le immagini del pomeriggio che quelle ben più durature e articolate della notte. Cercai carta e penna e nel cassetto del comodino li trovai. Avevo la sensazione di aver strofinato la lampada di Aladino e che un genio fosse pronto a farmi avere ogni cosa che desiderassi. Senza chiederla, solo pensandola.

Sulla prima pagina scrissi in grande SOGNI, poi sotto segnai data e ora e misi su carta la descrizione di ciò che la mia mente aveva registrato. Le immagini erano sempre sgranate e i colori un po’ spenti e non c’erano suoni o voci. Le scene erano sempre le stesse e si ripetevano come in certi file scaricati da Emule che ti catturavano col titolo e poi rimanevi con un palmo di naso perché il film non era che la ripetizione in loop della stessa sequenza. Comunque nel sogno notturno mi ero rivisto bambino di tre, quattro anni, giocavo con la sabbia su una spiaggia e ogni tanto guardavo la mamma: c’era un uomo seduto accanto a lei e, anche se il viso non si vedeva, ero certo che non fosse mio padre. L’altra scena ritraeva un signore che camminava in montagna, con le braghe alla zuava e uno zaino che, per foggia, riportava ancora agli anni Cinquanta. Se sognare era per me inconsueto ancora meno comprendevo il senso e l’origine di quelle immagini che, ne ero più che sicuro, non appartenevano alla mia memoria. Il fatto che più mi turbava era l’immagine di me bambino, non ero io che mi guardavo e neppure gli occhi della mamma: era lo sguardo di quella terza persona che non era papà.

Mi lavai e rivestii velocemente, tirai su le lenzuola e piegai il piumino lasciando la camera quasi in ordine. Tornai in bagno e guardandomi nello specchio non mi piacqui. Cercai un rasoio elettrico, di quelli che servivano per barba e capelli e lo trovai nell’armadietto dove c’era l’asciugacapelli. Guarda a volte il caso! Levai il maglioncino giamaicano e, dopo aver dato un’ultima occhiata alla mia acconciatura rasta, posizionai il taglio del rasoio al massimo, che era sedici millimetri, chiusi gli occhi e, partendo dal centro della fronte arrivai fino alla nuca, senza pietà e senza ripensamenti. A fine lavoro considerai che ero anche un bel ragazzo.

Mi vestii attingendo agli abiti dell’armadio, poi chiusi gli scuri e la porta di casa e salito in macchina mi recai in paese per aprire un conto e versare l’assegno circolare. Superata la diffidenza dell’impiegato della piccola filiale depositai l’assegno circolare. Compreso che non pretendevo il cambio e che sarei passato a ritirare il bancomat una volta perfezionato l’accredito, il giovane allo sportello si rilassò e diventò ossequioso e gentile. Passai anche in Comune per confermare a Oreste che energia e acqua erano attivati e gli chiesi che fare nel caso avessi deciso di chiedere la residenza.

«Vieni a dirmelo, ti faccio firmare un paio di moduli, mi porti al bar a bere un buon prosecco e poi mi arrangio io col Comune di Bologna. Obiezioni?»

Serie: L'eredità di Giacomo


Avete messo Mi Piace9 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Che paura in quella casa… ho seguito le azioni del protagonista mentre chiudeva le porte per rassicurarmi che non dimenticasse nulla!
    Il dettaglio del sogno che lo ritrae da bambino e lo sguardo in terza persona sono dettagli agghiaccianti. E immagino significativi. Bellissima serie, Giuseppe!

  2. “La domanda se tutto ciò che c’era in casa fosse stato acquistato dal vecchio proprietario per suo uso e consumo o piuttosto per il mio mi sorse naturalmente e, non avendo elementi per darmi una risposta, mi pervase un certo turbamento.”
    E ci credo… io avrei nascosto tutto in cantina

  3. Inutile soffermarsi sul colpo al cuore che mi è venuto quando Thomas ha tagliato i dread.
    Fossi in lui? Va bene l’eredità, vanno bene i soldi, va bene tutto… ma io scapperei a gambe levate, altro che “guarda a volte il caso!”. 🙀
    Stai gettando le basi per un una serie di episodi da brivido! 🌺🌺

  4. Ma esiste ancora eMule? Mamma mia, l’avevo rimosso! Amplificatore Marantz anch’io.
    Bello questo episodio, la descrizione dei sogni è quasi cinematografica, ti è venuta molto bene.

  5. Jefferson Airplane, Thorens, Luxman… E poi Cardenal Mendoza, Emule, B&O… Non potevi cercare nomi più illustri ed evocativi!
    Episodio apparentemente interlocutorio, con descrizioni dettagliatissime e realistiche, come ha osservato Giancarlo. Anche io ho mi sono fatto un’idea per il seguito: vedremo…

  6. A parte le bellissime e nostalgiche (per me) citazioni musicali e musicofile (ricordo l’amplificatore Marantz, il “piatto” AR (American Research) e le casse pure acquistati nel 1975 da mio fratello, e poi usate da me a seguire per diversi anni) trovo tanto tanto bella questa descrizione. Tanto realistica da avermi dato una precisa idea di cosa stia succedendo. La vedo non tanto bella per il nostro amico. Non dico di più.