Tre colpi nella notte

Era una sera fredda e di neve, quei giorni vicini al Natale che ti mettono addosso una strana malinconia. Il vento tagliava la pianura come una lama affilata, sollevando piccoli turbini di ghiaccio sulla terra spoglia. Nelle campagne il cibo scarseggiava e per risparmiare la legna, durante le sere d’inverno, la gente si riuniva nella stalla per scaldarsi con il calore degli animali e raccontarsi storie che riuscivano a ingannare la fame e la solitudine.

Erano in tanti, più di venti persone stipate tra le balle di fieno, ombre allungate dalla luce tremolante della lanterna. Uomini e donne avvolti in manti e scialli logori, con guance rese rosse dal freddo e mani ruvide di lavoro. Ma erano soprattutto i bambini a riempire lo spazio, con i loro corpicini infreddoliti, rannicchiati l’uno contro l’altro. Alcuni si stringevano le ginocchia al petto, altri cercavano il calore delle madri. Avevano il respiro affannoso e il moccio che colava dai nasi.

Le serate erano fatte per raccontarsi storie: aneddoti di vita, ricordi di gioventù, qualche volta una racconto di paura ed erano soprattutto i bambini a mettersi in ascolto. Nei loro occhi brillava il terrore radicato e antico dell’ignoto, del buio, dei morti e di quello che si nascondeva dietro le porte della stalla. Ascoltavano in silenzio, i visi pallidi, lo sguardo fisso oltre i vetri sporchi.

Quella sera, nella stalla c’era un vecchio che se ne stava in disparte, seduto in un angolo buio, immobile come un’ombra.

Fu Marta, una donna robusta, dalla voce roca e le mani sempre sporche di farina, a rompere il silenzio. Aveva un seno grande su cui poggiavano i lembi del foulard legato stretto sotto il mento. Si rivolse all’uomo con il suo modo brusco di parlare.

«Nóno! Che fét lé ‘n cantù? Té miga zó ‘l müs. Dai, vé ché a cüntàga sö ’na storia a chèi scècc ché (1)» Marta si lisciò il grembiule e portò lo sgabello del mungitore vicino al braciere. «Ardóm chi che i starà ché a scultàla fina ’n fónd. I g’ha de ‘’mparà a mìga pissàs adòs de la póra! (2)»

I bambini ridacchiarono nervosamente, stringendosi ancora di più. Il vecchio sollevò il capo e i suoi occhi piccoli come spilli brillarono nel buio. Si alzò con calma, battendo le mani sulle ginocchia, poi avanzò al centro della stanza.

L’odore pungente di fieno e letame riempiva l’aria. Fuori, il vento seguitava a ululare come un animale ferito, sbattendo contro le assi di legno consumato della stalla.

Il vecchio aveva una barba lunga e sporca, appoggiata su un volto scavato dalle rughe. Parlò con voce bassa e graffiante come il frusciare delle foglie secche.

«Stanòt i mórcc i tùrna a caminà. I vé fò del cimitero e i và ’ré a le strade (3)» disse, lasciando che le parole si insinuassero nella mente di chi lo ascoltava. Poi si sistemò il cappello e scosse il capo. «Ma vóalter èl sif, né? I morcc jè mai en pace. (4)»

Emma strinse forte le mani sul grembo. Non ricordava di aver mai visto quell’uomo nel giro delle cascine. Eppure, era lì con loro, come se fosse sempre stato parte della comunità. Si voltò verso Vittorio, che si era aggrappato alla sua gonna. Il bambino aveva il respiro corto, le mani fredde come il ghiaccio.

«Chi él? (5)» Sussurrò al marito, seduto poco distante.

«Mah! Mé l’hó mai vest (6)» rispose lui cercando solidarietà negli sguardi degli altri.

Il vecchio sorrise con un ghigno sdentato che fece rabbrividire alcuni bambini più piccoli.

«L’era el 1890» disse, abbassando la voce «quando el Piero l’è sparit… La sò mama el l’hà sercat per dé e dé, sensa troàl… Ma ’na bela sera el l’ha sentìt a piànzer, proprio ’n chesta stala… Là ‘’n fónt, scundìt deré al fé. (7)»

I bambini seguirono con lo sguardo il dito del vecchio e sussultarono, qualcuno si nascose il viso tra le mani, mentre altri iniziarono a tremare.

«La so mama la g’ha slongàt la ma’ e la g’ha fat per ciapàl… Ma ’l s-citì el l’ha ciapada per prim e l’ha strenzìda ‘na fórsa, ma ‘na fórsa miga umana (8)». Il vecchio aveva gli occhi persi nel vuoto. «La sò pèl l’era frèda, come se la gh’ìes le furmiche ’ndèi òs. E i sò öcc… Jera come due büs gròs issé che i fisàa al fósc. (9)»

Tutti trattennero il respiro.

«E po’ dopo… L’è curìt via, ma sôl pavimènt i so pas sei sentia quasi gnac. J-era lizér, lizér come i pas dei spiriti. Da chèla sera lé, la sò mama el l’ha piö vist. (10)»

«E dopo?» Chiese un ragazzino più coraggioso degli altri.

«E dopo…De nòt la mama la sentìa dei pas che i riàa enfìna a la porta de la camera… E un vent frèd streesàa el sò let. (11)»

Un colpo improvviso alla porta della stalla fece sobbalzare tutti. Emma trattenne il respiro. Il vento? No… Sembrava un pugno. Un secondo colpo risuonò, più forte. La lanterna tremolò. Il vecchio si voltò verso la porta con un sorriso storto.

«Forse, stanòt, Piero l’è tornàt a ‘ègner ché. (12)»

Emma si alzò di scatto. «Bastaa!» Disse con voce spezzata dalla paura. «Vòi miga che mé fiöl èl scultes chèste stüpidàde! (13)» Poi, si rivolse alle altre donne: «Dai, dai, dizóm sö ’l ruzare töcc ensèma! (14)»

Il vecchio la guardò per un lungo, interminabile istante. Poi, parlò.

«Oh, cara… Vàrda che tò fiöl èl la conos zamò chèsta storia ché… (15)»

Emma si bloccò. Sentì Vittorio stringerle forte la mano. La pelle era gelida. Lei si abbassò per guardarlo meglio nella penombra della stalla… E trattenne un urlo. Gli occhi del bambino erano bianchi. Completamente bianchi.

Un altro colpo alla porta.

Poi, il silenzio.

***

Mi sono ispirata ai bellissimi racconti nei vari dialetti d’Italia pubblicati sulla piattaforma, provando anche io a cimentarmi in un genere che non è il mio, l’horror. Una sorta di sfida. Non conoscendo bene il mio dialetto nella forma parlata e non sapendolo scrivere, mi sono avvalsa della collaborazione dell’amico Beppe Zani, da sempre appassionato traduttore e catalogatore di testi dialettali.

***

Trovare i dialoghi tradotti nel primo post. Grazie per la lettura

Avete messo Mi Piace15 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Lascio a seguire i dialoghi tradotti.

    (1) «Cosa fai li, vecchio? Perché fai quella faccia? Dai, vieni a raccontarci una storia che spaventi questi bambini!»

    ‘(2) «Vediamo chi resta ad ascoltare fino alla fine. Devono imparare a non farsela sotto dalla paura!»

    ‘(3) «Questa è la notte in cui i morti ritornano a camminare. Escono dal cimitero e se ne vanno per le strade.»

    ‘(4) «Ma voi lo sapete, vero? I morti non sono mai in pace.»

    ‘(5) «Chi è?»

    ‘(6) «Mah, io non l’ho mai visto.»

    ‘(7) «Era il 1890…Quando Pietro è sparito…La sua mamma lo cercò per giorni senza trovarlo…Ma una sera lo sentì piangere, proprio in questa stalla, laggiù, nascosto dietro al fieno.»

    ‘(8) «La sua mamma allungò la mano per afferrarlo, ma il bambino la prese per primo, stringendola con una forza, una forza che non sembrava umana…»

    ‘(9) «La sua pelle era fredda, come se avesse le formiche nelle ossa. E i suoi occhi…Erano come due enormi buchi che fissavano l’oscurità.»

    ‘(10) «E poi…E’ corso via, ma i suoi passi non risuonavano sul pavimento, no…Erano leggeri, come i passi degli spiriti. Da quella sera, la sua mamma non l’ha più rivisto.»

    ‘(11) «E dopo…Alcune volte, di notte, la mamma sentiva dei passi che si avvicinavano alla porta della sua camera…E un vento freddo attraversava il suo letto.»

    ‘(12) «Forse, stanotte, Pietro è tornato da noi.»

    ‘(13) «Non voglio che mio figlio senta queste sciocchezze!»

    ‘(14) «Dai, recitiamo il rosario tutti insieme.»

    ‘(15) «Oh, cara…Ma tuo figlio questa storia la conosce già…»

  2. Le descrizioni ti fanno immedesimare nell’ambiente e non risultano mai pesanti. L’inizio soprattutto mi ha ricordato le storie che ogni tanto mia nonna tira fuori, tutte imparate in una stalla.
    L’uso del dialetto da originalità al racconto; a mio avviso, sfida superata, Cristiana!

    1. Grazie Luigi, è sempre bello conoscere le tue suggestioni che hanno grande valore. Questo racconto vuole essere una sorta di esperimento per testare l’uso del mio dialetto. Naturalmente, con l’aiuto di un valido conoscitore e traduttore. L’idea di abbinare il dialetto a un racconto di mistero e paura mi è sembrata la scelta più azzeccata e una sorta di tuffo nel passato. La mia nonna amava spaventarmi alla sera 🙂

  3. “L’odore pungente di fieno e letame riempiva l’aria. Fuori, il vento seguitava a ululare come un animale ferito, sbattendo contro le assi di legno consumato della stalla.”
    Di grande effetto questo incrocio tra odori e suoni simultanei.

  4. Bellissima storia, Cristiana!😊 Volevo già leggerla stamattina ma tra un casino e l’altro ho avuto tempo solo ora! Tra l’altro ho capito tutto, senza dover andare a leggere le traduzioni! La mia fortuna è di vivere in una zona dell’Emilia molto vicina alla Lombardia, così da avere parecchie parole in comune con le vostre😄 L’esperimento è riuscito: sei brava anche a gestire questo genere, mettendoci sempre il tuo tocco inconfondibile. Questa storia sembra anche una metafora romantica della nostra comunità, dove ogni giorno tanti autori si radunano attorno a un fuoco (uno schermo) per raccontarsi storie e per suscitare qualche sana emozione👏🏻

  5. Prima di esprimere un parere sul racconto, vorrei soffermarmi su un’altra questione: credo che ogni scrittore abbia il proprio cavallo di battaglia in merito ai generi letterari; il fatto che sei uscita dalla tua comfort zone scrivendo un racconto che è l’opposto del tuo solito è qualcosa di ammirevole. E questo vale per ogni scrittore, indipendentemente che l’esperimento riesca o meno, il solo fatto di tentare è sempre qualcosa che aiuta a crescere.
    Detto ciò, per quanto mi riguarda, l’esperimento è più che riuscito! Si – Può – Fare!! (come direbbe qualcuno, per stare in tema horror). 😸
    Ho apprezzato il dialetto, perché calza alla perfezione con il tempo e il luogo del racconto. Un po’ come ho detto all’inizio: ti sei cimentata e ci sei riuscita.
    Il finale è inquietante, non troppo corto per lasciare dubbi, non troppo lungo rendendolo “annacquato”.
    Davvero bellissimo ed inaspettato questo racconto, cara Cristiana, hai sorpreso tutti! ❤️‍🔥

    1. Buongiorno Mary 🙂
      In effetti ogni tanto mi piace uscire da quella che tu bene chiami ‘confort zone’ dove ci crogioliamo come se fossimo sotto alla copertina e davanti a Sanremo 🙂
      Ogni tanto lo faccio e, ammetto, che è sempre divertente. Poi, magari, mi rileggo e penso ‘ma questo non l’ho mica scritto io’. Volevo, come ho detto anche ad Alfredo, provare a seguire la bella onda che si sta propagando qui sulla piattaforma e provare a usare il mio dialetto che, forse, è uno fra i più duri e anche brutti. La stalla, di notte, in campagna, d’inverno, mi sembrava il luogo più ‘orrorifico’ e adatto. Grazie e un abbraccio

  6. Ripeto un mio pensiero scritto tra i commenti di un racconto del nostro caro Giuseppe Salemi: i dialetti italiani sono una ricchezza da preservare! Complimenti per tutto Cristiana!!

  7. Lascio a seguire i dialoghi tradotti 🙂

    (1) «Cosa fai li, vecchio? Perché fai quella faccia? Dai, vieni a raccontarci una storia che spaventi questi bambini!»

    ‘(2) «Vediamo chi resta ad ascoltare fino alla fine. Devono imparare a non farsela sotto dalla paura!»

    ‘(3) «Questa è la notte in cui i morti ritornano a camminare. Escono dal cimitero e se ne vanno per le strade.»

    ‘(4) «Ma voi lo sapete, vero? I morti non sono mai in pace.»

    ‘(5) «Chi è?»

    ‘(6) «Mah, io non l’ho mai visto.»

    ‘(7) «Era il 1890…Quando Pietro è sparito…La sua mamma lo cercò per giorni senza trovarlo…Ma una sera lo sentì piangere, proprio in questa stalla, laggiù, nascosto dietro al fieno.»

    ‘(8) «La sua mamma allungò la mano per afferrarlo, ma il bambino la prese per primo, stringendola con una forza, una forza che non sembrava umana…»

    ‘(9) «La sua pelle era fredda, come se avesse le formiche nelle ossa. E i suoi occhi…Erano come due enormi buchi che fissavano l’oscurità.»

    ‘(10) «E poi…E’ corso via, ma i suoi passi non risuonavano sul pavimento, no…Erano leggeri, come i passi degli spiriti. Da quella sera, la sua mamma non l’ha più rivisto.»

    ‘(11) «E dopo…Alcune volte, di notte, la mamma sentiva dei passi che si avvicinavano alla porta della sua camera…E un vento freddo attraversava il suo letto.»

    ‘(12) «Forse, stanotte, Pietro è tornato da noi.»

    ‘(13) «Non voglio che mio figlio senta queste sciocchezze!»

    ‘(14) «Dai, recitiamo il rosario tutti insieme.»

    ‘(15) «Oh, cara…Ma tuo figlio questa storia la conosce già…»

  8. Eccomi qui, riprendo a vagare tra questa sterminata marea di racconti. Bene: questo tuo è decisamente una piacevole sorpresa e spero non sia del tutto vero quello che hai scritto sulla possibilità che l’esperimento non continui. Mi auguro invece che questa scelta possa indicare la scoperta di un mondo di tradizioni un tempo forse disdegnate o fuggite, come fanno i giovani, e riscoperte lentamente con una maggiore maturità. La stalla dietro casa, così per dire, non è banale: è antica e misteriosa tanto quanto la mia Persia e la tua America Latina. E forse di più, se andiamo a studiare quei dialetti che ci sembrano così rozzi e invece sono solo gravidi di antichità. Complimenti per la…giravolta!

  9. Lascio a seguire i dialoghi tradotti 🙂

    (1) «Cosa fai li, vecchio? Perché fai quella faccia? Dai, vieni a raccontarci una storia che spaventi questi bambini!»

    ‘(2) «Vediamo chi resta ad ascoltare fino alla fine. Devono imparare a non farsela sotto dalla paura!»

    ‘(3) «Questa è la notte in cui i morti ritornano a camminare. Escono dal cimitero e se ne vanno per le strade.»

    ‘(4) «Ma voi lo sapete, vero? I morti non sono mai in pace.»

    ‘(5) «Chi è?»

    ‘(6) «Mah, io non l’ho mai visto.»

    ‘(7) «Era il 1890…Quando Pietro è sparito…La sua mamma lo cercò per giorni senza trovarlo…Ma una sera lo sentì piangere, proprio in questa stalla, laggiù, nascosto dietro al fieno.»

    ‘(8) «La sua mamma allungò la mano per afferrarlo, ma il bambino la prese per primo, stringendola con una forza, una forza che non sembrava umana…»

    ‘(9) «La sua pelle era fredda, come se avesse le formiche nelle ossa. E i suoi occhi…Erano come due enormi buchi che fissavano l’oscurità.»

    ‘(10) «E poi…E’ corso via, ma i suoi passi non risuonavano sul pavimento, no…Erano leggeri, come i passi degli spiriti. Da quella sera, la sua mamma non l’ha più rivisto.»

    ‘(11) «E dopo…Alcune volte, di notte, la mamma sentiva dei passi che si avvicinavano alla porta della sua camera…E un vento freddo attraversava il suo letto.»

    ‘(12) «Forse, stanotte, Pietro è tornato da noi.»

    ‘(13) «Non voglio che mio figlio senta queste sciocchezze!»

    ‘(14) «Dai, recitiamo il rosario tutti insieme.»

    ‘(15) «Oh, cara…Ma tuo figlio questa storia la conosce già…»

  10. Credo di essere l’unico, fra quelli che finora hanno commentato, a rappresentare il genere horror sulla piattaforma, quindi il mio voto vale doppio! 😅
    Scherzi a parte, te la sei cavata egregiamente. Il dialetto dà sempre quel qualcosa in più, soprattutto quando usato con criterio. Una storia molto coinvolgente, tanto per le atmosfere quanto per la narrazione. 👍

    1. Grazie Giuseppe, in effetti temevo il tuo giudizio 🙂
      Sono partita con l’idea di provare a usare il mio dialetto, anche se non lo conosco benissimo e mi sono ricordata della storia di un ragazzo che sarebbe venuto a prendermi se non mi fossi addormentata e che, appunto, bussava alla porta… Me la raccontava mia nonna quando dormivo da lei. Figurati, un’infanzia tormentata!

  11. Molto molto ben riuscito come “esperimento” horror. Non che avessi dubbi. Ci hai già dato modo di conoscere la tua capacità nel variare da un genere all’altro, ed è sempre stata una bella sorpresa. Mi è piaciuto l’inizio delicato, quasi in punta di piedi, con la tensione che sale gradualmente. La scena finale è davvero spaventosa, e riuscitissima. Davvero brava Cristiana!

  12. “«Vòi miga che mé fiöl èl scultes chèste stüpidàde! (13)» Poi, si rivolse alle altre donne: «Dai, dai, dizóm sö’l ruzare töcc ensèma! (14)»”
    Mi ha colpito tantissimo questi passaggio. Un po perché suona come una premonizione, alla luce di ciò che avverrà dopo, come sapesse già la sorte che le toccherà. Non so come ti risuonava quando l’hai scritta, ma a me è venuto da sorridere, quasi, a ricordare le mille volte che da bambina l’ho sentita (con tanto di catenella in mano, spesso). Ricordo la mia nonna e le amiche invocarla come soluzione a qualsiasi male, che fosse la febbre, la caldaia rotta o chissà cosa. Ritrovarla in questo tuo racconto mi ha reso ancora di più quel sapore di “casa” che avevo perduto. (Non c’entra molto con il racconto, questo mio ricordo, o forse si, ma qui il dialetto, così vicino al mio, che avevo perduto e ormai non sento quasi più, mi è risuonato fortissimo)

    1. Ti confesso un segreto. L’idea di invocare la preghiera attraverso il rosario, l’ha avuta colui che sempre è il mio primo lettore e che tu conosci bene. Io, sinceramente, non ci avevo pensato, però l’ho accolta subito perché è vero che si faceva in questo modo. La preghiera, esclusiva femminile, metteva fine alle ansie e ai dubbi. Ricordo che si faceva ovunque, non solamente durante una veglia o in chiesa prima della messa. Si faceva anche nelle case quando le famiglie venivano scosse e messe alla prova da problemi che sembravano irrisolvibili. Mi è piaciuto allora cogliere questa proposta e, ‘sentirla, in dialetto l’ha resa più efficace.

  13. La tua bella scrittura cattura sempre l’attenzione, accompagnandoti per mano fino alla fine. L’uso del dialetto conferisce spessore e modula il ritmo al racconto.
    Complimenti per il passaggio “raccontarsi storie che riuscivano a ingannare la fame e la solitudine”.
    Che altro? Brava e basta!

    1. Grazie Nicola, che bel commento che mi hai lasciato. Diciamo che ci ho voluto provare anche io, naturalmente con l’aiuto di un esperto. Se ci fosse stata ancora la mia nonna, ci avrebbe pensato lei 🙂

  14. “Il vecchio sollevò il capo e i suoi occhi piccoli come spilli brillarono nel buio.”
    Bellissima descrizione!!! L’uso del dialetto rende molto realistica la finzione letteraria!!! Ottima scelta!!!👏 👏 👏

  15. Che bravina ‘sta ragazza!!!😜 Per essere un’esordio nell’horror direi che te sei cavata più che bene! La stalla con le luci tremolanti, la naturale paura dei bambini (e di qualche adulto), la figura del vecchio che nessuno conosce… ingredienti vincenti e risultato perfetto… poi l’uso di un dialetto datato (un bresciano verso zone bergamasche?)… brava, brava, brava! 🌹🌹🌹🌹❤️

    1. Ma, grazie Giuseppe 🙂
      Un esperimento che forse terminerà qui. Molti anni fa mi cimentai in un horror alla King, tutto nella testa del protagonista, di cui persi il file nei vari trasferimenti da un pc all’altro. Ogni tanto mi viene in mente. Vedremo… Il dialetto è bresciano della Franciacorta e il mio ‘consulente’ è un compaesano bravissimo traduttore e catalogatore. Da sola non ce l’avrei fatta.

    1. Hai ragione, Roberto, certe storie, o storielle, oramai non spaventerebbero più nessuno, nemmeno i bambini. Se però diamo loro una contestualizzazione efficace, riescono ad avere ancora quel certo gusto. Il dialetto era necessario. Grazie!

  16. Le descrizioni iniziali creano immagini molto nitide e suggestive. Il linguaggio dialettale ha sempre un suo fascino. La storia raccontata dal vecchio prima incuriosisce e poi colpisce. Mi ricorda, vagamente, alcune vecchie storie narrate molto tempo fa, dagli anziani dei nostri paesi, quando non c’ era ancora la tv in tutte e le case.

    1. Ammetto che tutti voi scrittori, particolarmente legati al territorio e che spesso usate dialetto o termini strettamente ‘vostri’ nei racconti, mi avete ispirata e spinta a mettermi in gioco. Pertanto, sono io a ringraziare volentieri te 🙂

  17. Hai fatto bene, Cristiana. Bisogna assecondare l’impulso del volersi cimentare in qualcosa di diverso. Poi, quando si sa scrivere bene, la storia difficilmente viene male. Per esempio qui hai inserito degli elementi che ci mostrano la povertà dei primi del novecento e che l’italiano fosse ancora una lingua straniera per molta gente.

    1. È proprio vero e dici giusto quando affermi che l’italiano era, agli inizi del ‘900, ancora una lingua straniera. I ‘nuovi vecchi’ oggi, sono più moderni di noi. Navigano in internet senza problemi e il dialetto non lo parlano quasi più. Ne conserveremo certamente la forma scritta in quanto la produzione letteraria di genere è ancora particolarmente ricca. Grazie Francesco.

  18. “Ardóm chi che i starà ché a scultàla fina ’n fónd. I g’ha de ‘’mparà a mìga pissàs adòs de la póra! (2)»”
    Fino a qui è andato tutto molto bene. 👏

  19. Ciao Cristiana, ho dovuto rileggere la storia per capire i dialoghi, credo di aver compreso quasi tutto e, di sicuro, l’uso del dialetto ha reso questa storia molto più vera. Bello come hai descritto l’ambientazione e brava per come hai condotto questa storia. I brividi sono arrivati tutti.

  20. Un altro racconto pieno di mistero.. questa volta lontano dalla giungla lussureggiante, ma sempre vicino alla paura del non conosciuto.. il dialetto carica le parole e le rende più temibili..

  21. Ho sentito la tensione e respirato la paura, oltre che l’odore della stalla e delle persone attorno a fuoco. Un’incursione riuscitissima in un genere che dici non essere il tuo. Ma chi è bravo a generare emozioni e sensazioni in chi legge, lo sa fare sempre. E tu. Beh. Lo sappiamo.

    1. Grazie Giancarlo, volevo provarci anche io a sperimentare qualcosa nel mio dialetto. Mi è venuta in mente una storia di paura, una di quelle che mia nonna mi raccontava, rigorosamente nella lingua madre 🙂

  22. Ciao Cristiana.
    Beh… direi che sei entrata bene nel genere! Assolutamente non banali l’ambientazione e i personaggi. Si percepiscono il freddo e gli odori. L’immagine finale è notevole, non tanto per gli occhi, ma per la mano fredda che stringe forte…
    Quindi: horror, certo, ma con classe!

    1. Grazie Antonio, ci ho provato. L’ambientazione della pianura e dei racconti nella stalla mi piaceva. Il nostro dialetto però è molto duro e poco comprensibile e quindi mi serviva aggiungere la traduzione.

  23. Vi lascio la bonus track…Buona lettura 🙂

    ‘(1) «Cosa fai li, vecchio? Perché fai quella faccia? Dai, vieni a raccontarci una storia che spaventi questi bambini!»

    ‘(2) «Vediamo chi resta ad ascoltare fino alla fine. Devono imparare a non farsela sotto dalla paura!»

    ‘(3) «Questa è la notte in cui i morti ritornano a camminare. Escono dal cimitero e se ne vanno per le strade.»

    ‘(4) «Ma voi lo sapete, vero? I morti non sono mai in pace.»

    ‘(5) «Chi è?»

    ‘(6) «Mah, io non l’ho mai visto.»

    ‘(7) «Era il 1890…Quando Pietro è sparito…La sua mamma lo cercò per giorni senza trovarlo…Ma una sera lo sentì piangere, proprio in questa stalla, laggiù, nascosto dietro al fieno.»

    ‘(8) «La sua mamma allungò la mano per afferrarlo, ma il bambino la prese per primo, stringendola con una forza, una forza che non sembrava umana…»

    ‘(9) «La sua pelle era fredda, come se avesse le formiche nelle ossa. E i suoi occhi…Erano come due enormi buchi che fissavano l’oscurità.»

    ‘(10) «E poi…E’ corso via, ma i suoi passi non risuonavano sul pavimento, no…Erano leggeri, come i passi degli spiriti. Da quella sera, la sua mamma non l’ha più rivisto.»

    ‘(11) «E dopo…Alcune volte, di notte, la mamma sentiva dei passi che si avvicinavano alla porta della sua camera…E un vento freddo attraversava il suo letto.»

    ‘(12) «Forse, stanotte, Pietro è tornato da noi.»

    ‘(13) «Non voglio che mio figlio senta queste sciocchezze!»

    ‘(14) «Dai, recitiamo il rosario tutti insieme.»

    ‘(15) «Oh, cara…Ma tuo figlio questa storia la conosce già…»