Tutto questo per me?
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Morirò d’estate
- Episodio 2: Bastardo
- Episodio 3: Fame d’amore
- Episodio 4: Mind to mind
- Episodio 5: Uomo fritto
- Episodio 6: Mutande nuove
- Episodio 7: Sarai felice
- Episodio 8: In gabbia
- Episodio 9: Chiamato per nome
- Episodio 10: Campo Base
- Episodio 1: Morto e risorto
- Episodio 2: Tutto questo per me?
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Quando Marco e gli altri furono sicuri che mi fossi ripreso, mi chiesero se volevo che chiamassero Padre Andrea e se volevo andare via, ma io risposi che non era necessario e che probabilmente era il caldo che mi aveva giocato un brutto scherzo.
«Potevano almeno mettere un ventilatore» disse Marco, annuendo in segno di approvazione.
«Qui dentro si soffoca, altro che ventilatore!» aggiunse con una smorfia, Edo, un ragazzo alto, robusto e con un viso da ragazzino.
Passammo tutta la notte a parlare delle nostre vite.
Pur conoscendoci da poche ore, sembravamo già sei vecchi amici, che si erano ritrovati a parlare con sincerità, scoprendo che, al di là delle nostre diverse esperienze eravamo più simili di quanto credessimo.
Alle 7:30, eravamo tutti in refettorio, uniti da sorrisi genuini e un’aria carica di speranza.
Mi sentii sorprendentemente a mio agio, nonostante la mia diffidenza iniziale.
Era come se avessimo condiviso esperienze e emozioni per anni, eppure eravamo dei perfetti sconosciuti che si conoscevano da poco più di ventiquattr’ore.
Il secondo giorno passò tranquillamente tra condivisioni, risate e canti.
Sia a pranzo che a cena riuscii a mangiare senza quel senso di nausea che da troppi anni ormai, accompagnava i miei pasti.
La sera, quando ci ritrovammo in camera, Marco mi disse divertito: «Se vuoi svenire, stavolta avvisaci!», scatenando una risata generale.
Anche quella notte la passammo chiacchierando, e mentre ascoltavo le loro storie, non potevo fare a meno di pensare alle mie.
Avrei voluto raccontare di mio padre e della sua freddezza. Avrei voluto parlare della mia anoressia e di come il cibo fosse la mia ossessione e la mia prigione. E avrei voluto dire loro di Enza, delle sue apparizioni misteriose e delle sue enigmatiche parole, le ultime quelle dette la sera prima, in quel bagno.
Ma come avrei potuto farlo? Sicuramente mi avrebbero preso per pazzo.
Mi limitai quindi a descrivere marginalmente il rapporto burrascoso con mio padre, raccontai dei miei attacchi di panico, definendoli “piccole ansie” e di Enza mi guardai bene dal parlare.
La mattinata del terzo giorno trascorse velocemente e il pranzo assunse un sapore particolare: quello della consapevolezza che poche ore dopo saremmo tutti ritornati alle nostre vite.
Cercammo di godere al massimo degli ultimi momenti insieme, tra emozioni sopite e sorrisi. Ci sforzammo di nascondere la malinconia che già si faceva sentire, fingendo che la nostra partenza non fosse imminente. E ci scambiammo numeri di telefono e promesse di rimanere in contatto.
Quando finimmo di pranzare, Padre Andrea prese la parola: «Prima di tornare a casa, faremo una breve visita in un luogo davvero bello» lasciandoci tutti incuriositi.
Tornammo in camera per preparare le valigie, e mentre sistemavo i miei vestiti, mi scappò una risata nel vedere il mio pigiama giallo, stropicciato.
Quel pigiama mi ricordava i momenti più imbarazzanti del viaggio: l’attacco di panico e lo svenimento davanti a degli sconosciuti.
Adesso, però, guardandolo, mi sentivo affezionato a quel pezzo di stoffa gialla: era stato lì con me durante le notti insonni, le risate e le confidenze.
Era un ricordo tangibile di quelle due notti incredibili.
Salimmo tutti sull’autobus emozionati e in silenzio, per non rompere l’incantesimo di quella breve ma intensa familiarità.
Mi sedetti di nuovo vicino a Marco e sottovoce gli dissi: «Avevi ragione! Eravamo tutti nella stessa situazione», cercando di trattenere l’emozione.
Dopo neanche quindici minuti di viaggio, l’autobus si fermò davanti a un imponente edificio antico con finestre grandi e un enorme portone verde.
Un prete anziano ma dalla voce vivace e squillante ci accolse: «Benvenuti ragazzi! Seguitemi, ci stanno aspettando», disse, incamminandosi in un lungo corridoio.
Entrammo in una grande stanza ampia e luminosa, con pareti bianche adornate da quadri di opere d’arte rappresentanti figure religiose e grandi tende di velluto verde.
Ci distribuimmo nella stanza, chi sulle poche sedie, chi a terra e chi in piedi poggiati sulle pareti.
Di fronte a noi, una grande finestra con grate di ferro: «La Madonna in gabbia!» pensai.
Guardando oltre le sbarre, vidi tante sagome: erano delle suore.
«Benvenuti, io sono Suor Anna, una suora di clausura e insieme alle mie sorelle in questi giorni abbiamo pregato per voi». La sua voce risuonò chiara e presente, amplificata nel silenzio.
Ci parlò delle loro giornate trascorse tra preghiera e silenzio e poi ci invitò a fare domande, se volevamo.
Mentre Suor Anna parlava, notai una suora giovane dietro le sbarre, minuta e molto esile, ma furono i suoi occhi piccoli e azzurri a colpirmi di più.
Erano gli occhi di Enza, non avevo dubbi.
«Mi sembri giovanissima, cosa ti ha spinto ad una scelta così radicale?» dissi, prendendo la parola.
Lei mi guardò negli occhi, illuminati da una luce interna, e sorridendo dolcemente mi rispose: «Sono Suor Emma, ho 26 anni e fino a pochi anni fa ero una giovane musicista, innamorata della musica e del mio fidanzato». Poi alzò il tono di voce e aggiunse: «Sentivo però che qualcosa in me mancava, come se fossi un uccello con un’ala soltanto».
Sorrisi dinanzi a quell’affermazione.
Raccontò del suo cammino tortuoso, fatto di dubbi e di ricerche, che l’aveva portata a quella scelta radicale. E poi, con un sorriso, mi disse: «Ogni volta che ho dei dubbi, mi ripeto i versi del libro di Isaia: “Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo”. Pensalo anche tu, ogni volta che non trovi la tua strada e vedrai che improvvisamente tutto ti sarà più chiaro».
Mi commossi, e la ringraziai con un senso di sgomento e di gratitudine.
Sapevo che era Enza quella giovane suora e sapevo che non l’avrei più rivista né sentita.
Sull’autobus, verso il ritorno, rimasi in silenzio per tutto il viaggio.
Quando arrivammo in chiesa, il mio sguardo andò subito verso la Madonna in gabbia, poi entrammo: la chiesa era illuminata, stracolma di gente che ci accoglieva cantando e applaudendo, e poi c’era quel Gesù Cristo, in quella croce che sapeva di vita.
Piansi.
Piansi tantissimo.
«Tutto questo per me?» pensai.
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Morto e risorto
- Episodio 2: Tutto questo per me?
Ops! Enza e non Elsa. Sbaglio puntualmente i nomi, anche dopo averli appena letti.
Un altro episodio interessante. Ho sentito l’ intensità dell’ incontro con suor Emma/Elsa e del finale, con il pianto che scioglie il groppo, in un momento che appare mistico.
Un percorso interiore di cui riesci a comunicare l’intensità
Molto bello trovare la fede.
Mi ha fatto piacere leggerti