Un bel guaio

Serie: Adiacentia


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mentre la mamma saliva in auto per tornare a casa, le Ombre stavano arrivando per recuperare i due nuovi membri.

In quell’occasione, mi accorsi per la prima volta di un fatto strano: la sfera aveva una consistenza simile a quella del vetro, solo finché non appariva qualcosa al suo interno. Dopodiché, avveniva un cambiamento quasi impercettibile: la superficie diventava più morbida, simile a gelatina appiccicosa. Era da un po’ ormai che stavo lì ad osservare la mamma e mi sembrava che la mia mano si fosse come incollata alla sfera, quindi la ritrassi, disgustata da quella sensazione. Sulla mano non avevo nulla (ovviamente, non si trattava di vera gelatina) e la sfera tornò subito come prima, simile a vetro trasparente. Sparì immediatamente anche ciò che stavo guardando, così capii un’altra cosa: probabilmente il passaggio rimaneva aperto soltanto durante i prelievi. La toccai di nuovo e comparve l’abitacolo dell’auto guidata dalla mamma. Vedevo ogni cosa, proprio come se fossi stata seduta sul sedile posteriore: alla mia destra c’era il finestrino, attraverso il quale vedevo scorrere il paesaggio. Però non riuscivo a capire dove la mamma volesse andare, dato che quella non era la strada di casa. Sembrava che stesse andando fuori città.

D’un tratto, riconobbi la zona: era nei pressi dell’ospedale.

Come mai stava andando in ospedale subito dopo il lavoro? Mi allarmai. Si presentarono alla mia mente tutte le possibili circostanze che l’avrebbero portata lì: Niko aveva forse avuto un incidente? Papà stava male? Oppure la mamma aveva una visita? Cominciavo ad innervosirmi.

Nel frattempo, le persone continuavano ad arrivare, accompagnate dai Beati attraverso i passaggi. L’accoglienza calorosa di tutti, al loro arrivo, sembrava una festa solenne: applausi, inni e abbracci.

Le Ombre, invece, dopo aver raccolto i due scellerati, rimasero alle mie spalle come se volessero spiarmi. Li ignorai e continuai a seguire ciò che stava facendo la mamma.

Parcheggiò l’auto e si diresse all’entrata dell’ospedale. Parlò con qualcuno alla reception, poi proseguì verso le scale. Salì al piano superiore. Si fermò davanti a una porta, la aprì ed entrò.

A quel punto, riconobbi la nonna, stesa su un letto accanto alla finestra. Ecco perché la mamma si era precipitata lì subito dopo il lavoro: l’orario delle visite! La nonna era ricoverata e la mamma stava andando a trovarla. Poi, d’improvviso, il panico: come si chiamava la nonna? Avevo completamente dimenticato, non solo il suo nome ma ogni altra cosa che la riguardasse. Ricordavo solo il suo viso. E, probabilmente, presto avrei dimenticato anche quello. Mi venne voglia di piangere, stava già accadendo: stavo iniziando a perdere tutti i miei ricordi.

Sarà stata la paura di dimenticare, oppure un attacco di pazzia improvvisa, non saprei dirlo. Fatto sta che, quasi senza rendermene conto, mentre osservavo la mamma seduta su una sedia accanto al letto, intenta a parlare con la nonna, avevo infilato tutto il mio braccio destro all’interno della sfera. La sensazione era strana, ma gradevole: sentivo quella specie di gelatina come risucchiarmi delicatamente al suo interno. Così, senza pensarci troppo, giocherellavo facendo roteare la mano, proprio come quando, nei fine settimana, papà ci portava fuori città e io aprivo il finestrino della macchina e mettevo fuori il braccio. Venivo subito rimproverata (in effetti, era pericoloso). Eppure, la tentazione di tagliare il vento con la mano era troppo forte, irresistibile. Quindi, nonostante i rimproveri, lo facevo sempre.

Se adesso ci fossero stati dei Beati lì, accanto a me, anche loro mi avrebbero subito intimato di ritirare il braccio. Ma erano tutti occupati altrove. Così, d’un tratto, realizzai: non si sarebbe mai più presentata un’occasione simile.

Mi guardai intorno e infilai lentamente anche la gamba destra nella sfera e la strana sostanza gelatinosa sembrava risucchiare il mio corpo con una forza leggermente maggiore.

Cominciai a rendermi conto del guaio in cui mi stavo cacciando, quando vidi arrivare Clara, a tutta velocità, mentre urlava: «No, Arja, fermati subito!»

Ero stata colta in flagrate.

Che disastro! Anche se avessi detto a Clara la verità, cioè che stavo solo dando una sbirciatina giocherellando un po’, senza cattive intenzioni, non mi avrebbe creduto. Da quel momento nessuno si sarebbe più fidato di me e, certamente, non avrei mai più avuto il permesso nemmeno di vedere la mamma. Il danno ormai era fatto.

Io ho sempre avuto una mia filosofia: in certe situazioni disperate (e quella lo era di sicuro), quando ormai sembra non esserci più alcun rimedio e si capisce di essere spacciati, magari l’unica cosa da fare è completare l’opera.

Le Ombre erano sempre dietro di me a godersi la scena e il più basso, quello che in precedenza mi aveva rivolto la parola, ora mi guardava sorridendo: un sorriso inquietante che non avrei mai più dimenticato.

Clara era ormai quasi arrivata e in un attimo avrebbe potuto afferrarmi e tirarmi fuori, ma fruttai quel breve momento per lasciarmi risucchiare completamente dalla sfera. Sapevo che, probabilmente, lei mi avrebbe seguita e riportata subito lì, però ormai avevo deciso di farlo.

Ora o mai più, pensai.

Il mio corpo attraversò velocemente quella strana sostanza che mi inghiottì, per poi espellermi subito dopo.

Appena arrivata dall’altra parte, mi voltai e vidi Clara con gli occhi sbarrati e le mani sulla solida superficie del passaggio che, immediatamente, si era chiuso dietro di me.

Sembrava davvero arrabbiata. Ma non mi importava, perché io invece provavo una gioia incontenibile: ce l’avevo fatta! Ero tornata dalla mia famiglia.

La sfera sparì e mi ritrovai nella camera d’ospedale in cui era ricoverata la nonna.

Il televisore era acceso e trasmetteva le ultime notizie.

La mamma era ancora lì, seduta accanto al letto.

Serie: Adiacentia


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Fantasy

Discussioni

  1. Mi piace questo colpo di scena, non mi sarei aspettata di vederla finire di nuovo nel mondo reale…corro al prossimo episodio a vedere che succede!

  2. Ciao Arianna, sei veramente brava anche nel finire ogni episodio proprio sul piú bello, suscitando una forte curiosità su ció che accadrà dopo. Mi pare, inoltre, che questa serie racchiuda diversi generi narrativi che possono soddisfare il gusto di tanti lettori molto diversi tra loro.

  3. Caspita! Un bel guaio sì. E adesso? Se devo immaginare me stessa, sotto forma di anima, vagare nel mondo dei vivi, magari senza sapere o riuscire a comunicare con loro, questo mi terrorizza! Lei, invece, sembra molto sicura del fatto suo. Brava Arianna per questa serie, in un certo senso, pioniera del genere. Sono curiosa di vedere cosa succede in quella stanza d’ospedale.

  4. Il brano che hai scritto è estremamente evocativo e ben costruito, con un equilibrio riuscito tra introspezione, tensione narrativa e un tocco surreale con un’impronta del tutto personale.