
Un pianerottolo a Marsiglia
Battì stava salendo le scale della palazzina in cui viveva a Marsiglia. Sulle spalle portava il peso di una lunga giornata di lavoro e, in mano, il sellino della sua bicicletta: fedele compagna e unico suo mezzo di locomozione.
Giunto al pianerottolo, si imbatté in una scena scioccante: un tentativo di stupro. Due ragazzotti, non più grandi di quindici anni, erano addosso a Marlena, la professoressa che abitava nell’appartamento sotto il suo.
Preso da un impeto di furia, Battì si scagliò contro di loro, brandendo il sellino come fosse una mazza ferrata, menando fendenti a destra e a manca, accompagnandoli con urla e improperi. Nel frattempo, la donna, rannicchiata a terra, cercava di ricomporsi.
Il novello cavaliere ebbe la meglio: i due aggressori fuggirono giù per le scale, inciampando e cadendo l’uno sull’altro, imprecando. Battì li seguì con lo sguardo, ancora con il sellino alzato, pronto a colpire.
Solo quando fu certo della loro fuga, si rivolse verso la professoressa. Marlena si era rialzata e, con fatica, cercava di raccogliere la sua borsa, i libri e, insieme ad essi, la propria dignità.
Di fronte a certe situazioni si è disarmati. Un senso di vergogna per il proprio sesso e per il proprio ruolo sociale ti avvolge, e non sai che fare, se non abbassare gli occhi e cercare, con goffaggine, parole di conforto e gesti di aiuto che un uomo possa offrire.
Passata la scarica di adrenalina, la donna, barcollando, cadde tra le braccia di Battì. Lui la sollevò e la accompagnò nel suo appartamento. Cercò alla meglio di sistemarla sul divano e le offrì qualcosa da bere, pescando nella dispensa della cucina. Ma trovò ben poca cosa, se paragonata all’arsenale etilico custodito nel proprio appartamento. Così decise di lasciarla riposare e tornare su a prendere qualcosa di più forte e qualche benda.
Così fece. Ma quando tornò, con l’occorrente, trovò la porta chiusa. Bussò. Nessuna risposta. Solo il suono secco del chiavistello che si chiudeva dall’interno.
Capì allora che, per lei, ora era “una cosa da donne”. Lui, da eroe, era tornato a essere – nella percezione della vittima – un potenziale aggressore. Così, silenzioso, tornò nel suo appartamento.
La cosa che scoprì l’indomani fu che il suo sellino era rimasto nella casa della donna.
Il sabato era giorno di festa, e così poteva dormire fino a tardi, gustandosi ogni attimo di sonno extra, pregustando i cannelloni alla bolognese della rosticceria all’angolo, pronti per mezzogiorno.
La notte sembrava essersela scrollata di dosso appena fatta la doccia e bevuto un caffè nero all’italiana. Ma, quando aprì la porta sullo zerbino liso, ecco lì il suo sellino, accompagnato da un biglietto di ringraziamento. Non fece altro che prenderlo e appoggiarlo dentro casa.
Quando scese le scale, si accorse che qualcuno lo stava spiando dalla porta socchiusa della professoressa. Si voltò, e guardando verso quell’angolo in penombra, fece un cenno.
Doveva essere un tipo abitudinario, perché al ritorno dalla rosticceria trovò la professoressa ad attenderlo sul pianerottolo, avvolta in una vestaglia così stretta che sembrava non lasciarle respiro. I due quasi non parlarono. Divisero il pranzo e una bottiglia di vino rosso, seduti al tavolo della cucina della donna.
Fu lei a rompere il silenzio, dicendo che conosceva i due aggressori, e che li avrebbe denunciati. Erano due teppistelli che seguivano le sue lezioni, “dei senza palle verginelli, come li definì, “non capaci nemmeno di fottermi, ma solo di rovinarmi un buon paio di mutande nuove.”
Lui restava in silenzio, seduto in un angolo, ad ascoltarla mentre minimizzava l’accaduto, lasciandosi andare a sproloqui e sentenze di morte per quei due. Osservava i suoi occhi stanchi e arrossati, i segni dei lividi sui polsi e sul collo, il labbro spaccato, e quel tremolio del sopracciglio destro, tipico della tensione repressa.
Lui non fece altro che posare il bicchiere e, avvicinandosi, l’abbracciò più forte che poté.
Ed ecco che cessò tutto: gli sproloqui, le minacce, la tensione. Lasciando il posto a un lungo pianto.
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Racconto estremamente interessante di una realtà metropolitana appena sopra la soglia della marginalità che può svilupparsi solo all’interno dei macrocosmi delle grandi città, in cui è così facile, specie se provenienti da altrove, mimetizzarsi e riciclarsi ritagliandosi piccoli spicchi di solitudine. Sicuramente urticante l’irrazionale pandemica paura della professoressa che chiude il chiavistello in faccia a colui che ha rischiato la propria incolumità per salvarla, sintomatica di un’ingratitudine che, quando sale la marea dell’irrazionalità, porta troppo spesso rapidamente a chiudere le porte in faccia, senza remore pentimenti e sensi di colpa, magari a chi ci ha fatto anche del bene, il quale, in un attimo, diventa un nessuno qualsiasi. Mi permetto solo di rappresentare che trovo il topos finale della comprensione politicamente troppo corretto. anche se emotivamente coinvolgente. Non è una critica ma una devianza personale che mi porta a ritenere stucchevoli e non veritieri i puri alla Capitan America. Fortunatamente non la pensi come me. Complimenti ancora
Una storia toccante che invita alla riflessione. Non potrebbe essere altrimenti. Hai mostrato le due facce della medaglia: l’uomo che prevarica, che approfitta della sua forza e quello che protegge, che si trasforma in eroe senza dare sfoggia del suo coraggio o del suo ruolo. Un uomo genuino, empatico, che sa ascoltare. Hai mostrato un personaggio dalle innumerevoli sfaccettature. Bravo 👏
Ho apprezzato la descrizione dei teppistelli, la forza reattiva della donna e la capacitâ del suo soccorritore di intervenire e di confortare. Un racconto realistico. Un esempio molto attuale sulla varietâ dei tipi umani. C’é sempre qualcuno che riesce ad esprimere al meglio il suo lato buono, mentre altri sono capaci di distinguersi soltanto per mediocrità priva di scrupoli.
Bene, mi è parecchio piaciuto!
Mi è piaciuto. Alcuni passaggi sono suggestivi “cercava di raccogliere la sua borsa, i libri e, insieme ad essi, la propria dignità”. Credo che esprimere in modo più diretto il pensiero del protagonista (ad esempio “Di fronte a certe situazioni si è disarmati…”), piuttosto che sotto forma di commento della voce narrante, possa generare maggiore empatia col personaggio, ma è solo il mio punto di vista… Grazie molte per la lettura
Prendo sempre spunto dalle osservazioni la narrativa è una spirale in divenire della comunicazione tra umani …grazie
Leggo questo tuo bellissimo racconto di prima mattina e mi commuove. Trovo in esso una storia di amara quotidianità fatta di solitudine e mancata condivisione. Penso alle persone ‘sole’ dentro e esposte al dolore o forse rassegnate a esso.
La caratterizzazione dei personaggi è ottima e in poche, scelte e misurate parole ce li hai mostrati, così come sono, senza lode. Allo stesso modo ci hai mostrato la rabbia e ci hai fatto sentire il silenzio.
Un racconto misurato, che non scade negli eccessi e si scioglie in un abbraccio finale che fa compagnia. Molto bello
Ho cercato di trovare un equilibrio nella narrativa e sono grato che tu l’abbia visto