Un ragazzo e una ragazza

Le sue braccia minute gli stringevano la vita, aggrappata ad un salvagente nel mare in tempesta della sua adolescenza. L’aria che entrava dal casco pesante sembrava spazzarle via tutti i pensieri. I lunghi capelli scuri, che in nessun modo volevano essere contenuti, volteggiavano liberi, punte estreme del groviglio complicato che le riempiva la testa.

Successe un giorno in cui la sua classe non era entrata, così pensò fosse l’occasione buona per stare insieme a lui.

«Tu che fai, vieni con noi?» le chiese la sua compagna di banco.

«Ehm…no dai, semmai vi raggiungo dopo» rispose.

Le amiche scoppiarono a ridere guardandosi a vicenda.

«Sì, certo, ci credo! Mica puoi mollare il fidanzatino per noi!»

Anche lei rise, era vero che non le avrebbe cercate. Le lasciò fuori dai cancelli ad organizzarsi per i loro giri in villa comunale, mentre lei attraversò la strada e percorse il marciapiede fino ad arrivare al Cafè d’Èlite dall’altra parte. Sapeva bene che lì avrebbe trovato un telefono a gettoni, era lo stesso che usava di solito per avvisare il papà quando c’era sciopero. Tuttavia, in questo periodo a casa erano tutti un po’ distratti e non considerò importante chiamarli subito, gliel’avrebbe detto a pranzo che non erano entrati. Compose il numero di casa sua. 

«Pronto?» 

La voce dall’altra parte era assonnata e quel tono glielo faceva apparire ancora più tenero. «Ciao! Non siamo entrati, ti va se ci vediamo o stavi già studiando?»

«Macché figurati, non ho neanche fatto colazione ancora. Aspetta che passo a prenderti.» 

Mentre lo aspettava, comprò un cornetto al cioccolato da portar via, uno solo perché per due non le bastavano i soldi che aveva in tasca. Lui arrivò, irriverente e scanzonato come sempre, coi suoi jeans larghi e il pizzetto che gli spuntava fuori dal casco legato largo sotto al mento. Si salutarono con un bacio sulle labbra, leggeri come la gioventù richiede. Lei salì un po’ impacciata sulla Vespa bianca sistemandosi lo zaino portato su una sola spalla, chiuse il cinturino del casco e partirono. Non era la prima volta che andavano da lui. I suoi genitori erano separati, per cui avevano sempre una tana libera in cui trovare rifugio. Le sarebbe piaciuto che quel giro in Vespa non fosse mai finito, si sentiva al riparo da tutto. Purtroppo, la casa materna di lui non era distante, abitava sul corso principale, a pochi minuti dalla scuola di lei, in un condominio discreto e ben tenuto. Non come casa sua, alla periferia delle periferie, dove per arrivarci ci volevano due treni locali e diverse fermate nel nulla. 

Giunti a destinazione, entrarono nel cortile del palazzo e dopo due rampe di scale furono davanti alla porta d’entrata. Il piccolo ingresso che li accolse profumava ancora di caffè, in giro c’erano i segni di chi aveva già lasciato la casa in fretta. Si sedettero al tavolo della cucina adiacente, calda e disordinata come sempre – la mamma del suo ragazzo non era esattamente il prototipo di “donna di casa” che aveva lei in mente – e divisero il cornetto a metà accompagnandolo con latte freddo e un po’ di chiacchiere.

 «E’ difficile l’esame che stai preparando?» chiese lei guardando i fogli degli appunti sparsi in giro perfino sul tavolo della cucina. 

Avere il fidanzato che va già all’università era proprio una figata per una di terza, si sentiva grande anche lei a raccontarlo alle amiche. Lui rispose senza pensarci troppo: 

«Non lo so ancora se è difficile, gli esami del primo anno dovrebbero essere quelli più generici, ma devo ancora prendere bene le misure. Per il momento mi sembra tutto difficile!»

Fecero colazione vicini, lei aveva il labbro inferiore sporco di cioccolato, lui la guardò ridendo indicando il pasticcio che aveva in viso. Lei si finse offesa, così lui si affrettò a pulirle la bocca con un bacio a stampo, vincendo la finta resistenza divertita di lei. Dopo andarono in camera. 

«Ti prometto che ti faccio studiare» gli disse lei incrociando le dita davanti alle labbra in segno di giuramento solenne. 

Lui le sorrise scettico e divertito al tempo stesso. Attraverso la libreria che faceva da divisorio si vedeva già il letto ancora sfatto e il libro di economia poggiato su un ripiano. 

«Per forza studi male, non lo sai che studiare a letto fa venire sonno?» lo prese in giro lei, ma lui aveva sempre la risposta pronta. 

«Poi vediamo quando ci arrivi tu che combini…se ci arrivi!» 

Scoppiarono a ridere entrambi, mentre lui le solleticava la pancia. Si ritrovarono abbracciati e cominciarono a baciarsi, lentamente i loro corpi si spingevano l’uno verso l’altro. Lui si fermò per mettere su un cd, tornò da lei tirandola dolcemente a sé. Lei si lasciava andare con un brivido nello stomaco, anche se non sapeva bene se fosse l’emozione o il latte freddo appena ingurgitato. Mentre la voce di Dolores O’Riordan risuonava nella camera, i due si adagiarono sul letto muovendosi all’unisono. Le mani di lui la cercavano con desiderio misto a riverenza, come si fa con una reliquia sacra, mentre le mani di lei scorrevano fra i suoi capelli spettinati. Rimasero entrambi senza pantaloni. La testa di lei era agitata da mille pensieri, pensava a quale fosse il momento giusto in cui fermarsi – giusto per chi poi? – pensava che stavano insieme da pochi mesi, pensava che era sbagliato essere lì, ma sentiva anche un disperato bisogno di consolazione. E mentre lui scendeva sul suo collo, davanti agli occhi di lei tornava l’immagine di pochi giorni prima, quando la sua amata nonna era venuta a mancare, in casa davanti a lei, dopo una lunga sofferenza. Oddio, che brutta persona sono, sto qui a fare queste cose proprio adesso che te ne sei andata. Disapproveresti di sicuro, pensava. Lui era dolce e delicato, sapeva che lei non si sentiva ancora pronta, ne avevano parlato. Già in precedenza, lui si era mostrato comprensivo rispetto alle sue riluttanze essendo più piccola, però al tempo stesso i desideri e i bisogni da “ragazzo più grande” premevano per essere ascoltati. In quel momento lei non diceva sì e non diceva no, era sospesa in una dimensione che non c’è. I pensieri e i desideri di ciascuno presero il sopravvento, tanto da trasportarli in un luogo remoto, ognuno per sé. Così, da che erano vicinissimi, bastò un attimo per ritrovarsi lontanissimi. 

La sua mano scendeva vogliosa sul corpo di lei fino a cercare il suo sesso, il desiderio cresceva e il suo pensiero non era più lucido. Sapeva che lei non l’aveva mai fatto. Faccio piano, non succederà niente, pensò lui. Attraversò deciso il calore della ragazza e il respiro gli rimase sospeso, fino a quando qualcosa sembrò spezzarsi, forse era l’innocenza di lei, forse la buona fede di lui. La sentì ritrarsi di colpo con un piccolo gemito di dolore. Rimasero pietrificati, lei non capì subito, lui forse sì ma sperava di sbagliarsi. Il candore del lenzuolo bianco svanì improvvisamente, la mano colpevole di lui tremò e si ritirò con meno spavalderia di quando si era fatta avanti. Lei non poteva crederci che fosse successo così, non si può perdere la verginità per caso, in questa via di mezzo tra il fare l’amore e il volersi esplorare. L’amore lo devi volere, aveva sempre pensato. Il primo amore è quello che ricorderai per sempre, non può essere questo, osservò tra sé in quel preciso istante. Si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi guardarono in basso. C’era tanto sangue ed erano entrambi spaventati e confusi. Lei aveva letto che la prima volta era possibile perdere un rivolo di sangue, a volte neanche succedeva, eppure lì sotto ce n’era tanto di sangue, troppo. Un fiume, come le lacrime versate nelle ultime settimane. E si sentì dannatamente sbagliata, come se anche nella cosa più naturale del mondo lei non fosse uguale agli altri. Lui si alzò, corse a prendere un asciugamano. Appariva attonito anche lui e probabilmente il senso di colpa che mostrava era sincero. 

«Scusami, io non volevo, lo sai, ne abbiamo parlato. Te l’ho detto che ti avrei aspettato, ma non so cos’è successo. Pensavo di esser stato delicato» disse sedendosi sul bordo del letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e con la testa tra le mani. 

La sua voce era rotta e non aveva il coraggio di guardarla negli occhi, consapevole di averle rubato, seppur involontariamente, la possibilità di dirgli di sì. Nel frattempo, lei, imbarazzata, si tamponava con l’asciugamano, nascondendo le parti intime con pudore, non tanto per la vergogna di mostrarsi, quanto per la sensazione di inadeguatezza che sentiva sulla pelle. I suoi pensieri erano fuori contesto, la sua anima non era presente e il suo corpo in quell’attimo non le era appartenuto. Per tutti questi motivi si sentì in dovere di consolarlo. Si rivestì e poi si sedette sulle sue gambe. 

«Non devi sentirti in colpa, c’ero anch’io con te, non ti ho fermato, ero stesa accanto a te e ti ho lasciato fare. Le cose si fanno in due». 

“Le cose si fanno in due”, l’aveva sentita tante volte quella frase da chi crede di saper già tutto della vita. Gli spostò le mani dalla fronte, lo tirò al suo petto e strinse la sua testa tra le braccia, come farebbe una mamma per consolare il suo bambino triste. O come sicuramente avrà fatto anche lei da piccola nei sui giochi d’infanzia con le bambole di pezza. Stettero così abbracciati per un tempo infinito, lui con la testa bassa e lei sempre più apparentemente forte nella sua corazza di cristallo. 

“You revealed a world to me and I would never be

Dwelling in such happiness, your gift of purity

You and me

It will always be you and me”*

Si fece ora di tornare a casa, lei riprese il suo zaino carico di libri fingendo che non fosse successo nulla. Lui aveva ancora l’aria sommessa. Rimontarono in sella, a lei sembrò che il casco fosse diventato ancora più grande e pesante. Si strinse a lui, come sempre, ma purtroppo questa volta correre abbracciati sulla Vespa non pareva darle sollievo. Stavolta sì che la corsa le sembrò troppo lunga.

Fu così che lei quel giorno imparò e mise in pratica ciò che infinite generazioni di donne le avevano silenziosamente tramandato, la femminea arte della cura, intrisa di sacrificio di sé e di antichi retaggi.

Fu così che lui quel giorno perse una buona occasione per dimostrare a se stesso che poteva farcela, che poteva fronteggiare l’imprevisto e l’errore senza necessariamente sentirsi né un bambino da proteggere né un uomo fallito.

Ovviamente non sono rimasti “sempre” lui e lei, giusto il tempo di percorrere un pezzo di strada insieme e di dare un senso a quello che era successo, per essere poi pronti a trovare ognuno il proprio cammino. Eppure, a modo loro, si son voluti bene.

*Tratto da “You and me” dei Cranberries

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Discussioni

  1. Un racconto molto vero, senza maschere, che abbatte le false immagini, troppe, che circolano riguardo il sesso e l’amore. Lei è preda di una colpa antica che neppure tutte le modernità del mondo potrebbero cacciare, perchè fa parte della nostra di donne, ce la tramandiamo quasi come un’eredità.

    1. La tenerezza è un’emozione che mi piace molto, perchè non ha mai un solo colore, quindi mi fa piacere che ti abbia fatto venire alla mente questa parola.

  2. Ho trovato il tuo racconto molto fresco e spontaneo nello stile, adatto ai giovani protagonisti. Niente paroloni, niente banalità, solamente sincerità fra i due e soprattutto rispetto.
    Il senso di colpa di lei è davvero un retaggio d’altri tempi, tipico dell’universo femminile e del suo rapportarsi a quello maschile.
    Il finale è molto vero e dolce. Mi è piaciuto quando hai detto che non rimasero sempre lui e lei, tuttavia, dopo la lettura, rimane il sapore dolce della giovinezza.

    1. Sì, penso davvero che la mente il cuore delle donne si debbano liberare di tanti, troppi pesi. Accanto a questo pensiero più greve, nel racconto c’è effettivamente la dolcezza di un’età che dovrebbe sempre essere la più bella per chiunque, anche se purtroppo non sempre è così. Grazie per le tue osservazioni.

  3. Un racconto che lascia un senso di tristezza e di amarezza, per il senso di colpa e per la delusione provata da entrambi, come spesso succede con il primo rapporto che va oltre le carezze e i baci piú teneri. Il tipo di educazione familiare: genitori o nonni, condiziona sempre questa prima delicata esperienza. Difficile lasciarsi andare al piacere del rapporto fisico quando le vocine interiorizzate tormentano i pensieri.
    La tua narrazione rende tutto molto vero e suscita tenerezza.

    1. Grazie per la riflessione vera e personale che hai lasciato. Credo che sia davvero un lavoro costante nella vita di ciascuno capire quanto di quello che viviamo (e in che modo) sia condizionato da ciò che ci portiamo dietro.