
Una parte di me resta qui
Serie: Di ombre e luce
- Episodio 1: Prologo
- Episodio 2: Premonizioni
- Episodio 3: L’addio a Milano
- Episodio 4: Dall’Europa all’America
- Episodio 5: Anahí, tra sogni e tradizione
- Episodio 6: Una bambina sotto la luna
- Episodio 7: Dove finisce il mare
- Episodio 8: Straniero tra fratelli
- Episodio 9: Quando il vento cambia
- Episodio 10: Il battito della città nuova
- Episodio 1: Una parte di me resta qui
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Una mattina, Anahí si avviò come sempre verso la capanna della nonna. I suoi piedi affondavano leggeri nell’erba bagnata di rugiada. Giunta all’ingresso, chiamò: «Abuelita?» Ma non ricevette risposta. Chiamò ancora, ma percepì un silenzio insolito. Nessun rumore di ciotole o fruscii familiari. Spinta da un senso di inquietudine, entrò con passo incerto.
Trovò la nonna stesa sul giaciglio, le mani adagiate e incrociate sul petto e il viso rivolto al cielo. Sembrava in ascolto di un richiamo antico, venuto da un mondo che non le apparteneva più.
Anahí sentì il respiro fermarsi in gola. «Abuela» sussurrò a fatica. Si inginocchiò accanto a lei e le prese le mani che erano fredde come la pietra. Quel tocco la fece vacillare e un’ondata di disperazione la travolse. Le lacrime scesero quando si rese conto di non essere pronta a lasciarla andare, di avere ancora bisogno di lei, ancora tanto da imparare.
Si alzò barcollando e corse fuori dalla capanna. «Mamá!» gridò.
Quel richiamo scosse il villaggio, che si risvegliò di colpo: le tende vennero scostate e le persone uscirono alla rinfusa, confuse, cercando con lo sguardo chi avesse urlato.
Raggiunta la sua capanna, la ragazza cadde in ginocchio: «Mamá… La abuela…» La donna comprese subito. Non servirono altre parole, bastò il dolore negli occhi di sua figlia. Il viso le si contrasse e sentì un gelo raffreddarle il cuore. «No» disse incredula. Senza aggiungere altro, si avvicinò ad Anahí e la strinse. La ragazza si aggrappò a lei, singhiozzando come una bambina.
La notizia si sparse e sussurri di sgomento e dolore si diffusero tra la piccola folla. La curandera, la levatrice, la guida spirituale del villaggio se n’era andata. Fu come se gli alberi avessero smesso di mormorare e gli uccelli di cantare.
Il corpo della defunta fu adagiato su un letto di foglie, all’interno della sua capanna, tra le erbe che aveva raccolto per tutta la vita. Le donne si misero in cerchio: era loro il compito di prepararla al viaggio. Sua figlia le lavò il viso con l’acqua del ruscello, mentre le nipoti, in silenzio, intrecciavano fili di cotone e piume da deporre accanto al corpo. Anahí non pianse mai, ma cantò piano, come la nonna le aveva insegnato: un canto che parlava di ritorni e di radici.
All’alba, tutto il villaggio si raccolse. La seppellirono in piedi, rivolta a est. Era il modo in cui si salutavano le anime più forti affinché continuassero a vegliare sul villaggio anche dopo la morte. Accanto a lei misero il coltello con cui tagliava le cortecce e la pietra liscia su cui batteva le radici.

Il fumo del fuoco acceso accanto alla fossa salì lentamente nel cielo e Anahí lo seguì con lo sguardo. Poi chinò il capo e giurò: «Non ti perderò, abuelita. Ti porterò con me, ovunque.»
***
I giorni seguenti furono difficili. Senza la curandera e con molti uomini lontani, l’equilibrio della comunità era spezzato. Il consiglio degli anziani si riunì e decise che un gruppo di giovani avrebbe raggiunto i padri per informarli della situazione e preparare lo spostamento delle famiglie.
Una sera, la madre di Anahí chiamò le figlie maggiori, mentre le più piccole già dormivano.
«Anahí, Karai, venite. Dobbiamo parlare.» Anahí si sedette di fronte a lei, mentre Karai le si accoccolò accanto, stringendo al petto un piccolo sacchetto di semi colorati. «Mamá, cos’è successo? Perché hai quest’aria così triste?» chiese.
La donna rimase in silenzio per un lungo momento, poi disse solamente: «Domani partirete.» Le figlie la osservarono confuse. «Il villaggio ha deciso» continuò, guardando altrove.
Anahí sgranò gli occhi: «Partire? Senza di voi?»
Sua madre scosse la testa: «Non potete più rimanere. Senza la nonna, non c’è modo di andare avanti. Io non riesco a sfamare tutte e non voglio vedervi soffrire la fame. Vostro padre vi aspetta e con lui avrete una vita migliore. Lavorerete e imparerete.»
Karai si strinse alla madre, nascondendo il volto contro il suo petto. «Non voglio.» La donna le accarezzò il viso. «Lo so, piccola mia. Ma è necessario. Anahí sa quello che deve fare e si occuperà di te. Vostro padre vi darà una casa e non appena le vostre sorelline saranno cresciute, vi raggiungeremo.»
Karai provò per la prima volta la paura e un vuoto improvviso le si aprì nello stomaco. La donna continuò, risoluta: «Figlie mie, questo è l’unico modo. Io sono sopravvissuta fino a ora, e continuerò a farlo. Ma voi avete la vostra vita da vivere. Non voglio che rimaniate qui, dove non c’è più speranza.» Le ragazze le si aggrapparono in un abbraccio disperato e per un momento, rimasero tutte e tre strette.
«Karai, tu sei brava a osservare e ascoltare» disse ancora. «Anahí ti guiderà. Io vi ho insegnato tutto ciò che potevo.» Karai allora smise di piangere. Fece scivolare le dita sul sacchetto e disse: «Questi semi mi faranno compagnia quando avrò nostalgia di casa.»
La donna sorrise e le spostò i capelli. «Domani all’alba, un carrettiere verrà a prendervi. Vi porterà fino alla stazione e vi aiuterà a salire sul treno. È un amico, potete fidarvi di lui e non viaggerete sole. Altri verranno con voi.»
Anahí guardò il suo volto e si soffermò sulle rughe agli angoli degli occhi e sulle mani segnate dal lavoro. «Non so se ce la farò, mamá. Non senza di te.»
La donna le baciò la fronte: «Ce la farai. Sei forte, proprio come tua nonna.»
Quella notte, Anahí non chiuse occhio e vegliò in silenzio il sonno della sua famiglia.
All’alba, come promesso, il carrettiere giunse al villaggio. La madre le accompagnò fino al bordo del sentiero, come aveva fatto per il suo uomo. Prima che le figlie salissero sul carro, mise al collo di ciascuna un piccolo amuleto. «Questo vi guiderà nei sogni e vi ricorderà chi siete.»
«Non voltatevi» disse infine. «La vita vi aspetta oltre gli alberi.»
Il carro si allontanò con i giovani del villaggio e Anahí resistette alla tentazione di cercare ancora una volta lo sguardo di sua madre.
E così partirono, con il cuore diviso a metà: una parte di esso rimase fra le radici, l’altra si lasciò trascinare lungo il sentiero.
Serie: Di ombre e luce
- Episodio 1: Una parte di me resta qui
Ciao Cristiana! Bellissimo, come sempre👏🏻 Con questo episodio inizia anche il viaggio di Anahí. La morte della nonna traccerà il nuovo destino della ragazza. Mi piace come la tua scrittura indaga sempre il legame segreto che unisce fra loro tutte le esistenze.😊
Si tratta sempre di quella sorta di filo elastico invisibile che unisce le persone fra loro, certe persone. Quel filo che si allunga ma non si spezza. Si accorcia ma non troppo. Spesso mi ritrovo seduta a osservare le persone e a chiedermi chi sia unito a chi e perché. Una specie di ossessione:)
Mentre scrivo questa storia, mi capita la stessa cosa.
Grazie Nicholas e un abbraccio.
Bello davvero. Ti direi letto con piacere, nonostante il soggetto della perdita e del distacco. Ti riferisci a un tempo e un luogo che non conosco, eppure ci ho rivisto degli elementi che, non troppo tempo fa, erano parte anche della nostra cultura. Ricordo quanto la mia bisnonna, nata alla fine dell’800 e conosciuta che ero bambino, diceva che: in ona ca, ghe semper ona quai donna che la sa vestii i mort (in ogni famiglia c’è sempre una donna che sa vestire i defunti). Grazie per la lettura
La storia è ambientata nei primissimi decenni del XX secolo ed è una storia di immigrazione. L’Italia è da sempre Paese di migranti e una delle mete favorite è stata l’Argentina. Quasi tutti, laggiù, possono vantare un parente italiano e non mancano mai di fartelo notare 🙂
Ho letto il tuo dialetto e mi sa che non siamo poi tanto distanti. Come già dicevo in un altro commento, la mia nonna paterna era addetta a questo compito. Ricordo con lucidità la vestizione che fece di mio nonno materno, come fosse non un corpo morto, ma un bambino da lavare e vestire.
Grazie Paolo per la tua lettura 🙂
Mi ha colpita una riflessione che mi è venuta spontanea, sul finale, quando le figlie sono costrette a separarsi dalla madre. Mi sono detta: ora inizia la storia di Anahi. Dovrà crescere. La sua vita di ragazza e di donna è davanti, l’attende. E perchè questo sia possibile, il destino l’ha messa di fronte ad un doppio distacco, la nonna e la madre. Ora, non dico che perchè una vita inizi un’altra deve finire, che razza di pensiero, ma dico che perchè una vita inizi e un destino si compia, il distacco è necessario. E qui avviene con la morte e la partenza. Il cerchio della vita si compie, in modo atroce, che non vorremmo. Esiste un modo indolore per crescere?
Mi è venuto da pensare che tutti nel villaggio sanno cosa fare, come affrontare la morte di Abuela, perchè sanno la risposta. Dolorosa ma necessaria. (com’è che noi sembriamo saperla un pò meno? Almeno, io…)
‘Esiste un modo indolore per crescere?’
Indolore no di certo, incosciente purtroppo sì. Temo che le persone più sensibili, attente, coscienti appunto, siano quelle che maggiormente soffrono le più svariate svolte che la vita riserva e forse, crescere, è proprio questo.
Per quanto riguarda la ‘risposta’ di cui parli tu, io credo che ciascuno in cuor suo, la conosca, magari semplicemente non lo sa. Quando però arriva il momento giusto, il modo lo si trova e la risposta anche.
E sai una cosa? Quando dici che ‘perché una vita inizi un’altra deve finire’, non sei lontana dalla verità. Chi decide di restare, la maggior parte delle volte, lo fa per gli altri, non per una propria libera scelta. Direi, una bella fregatura.
Grazie Irene e un abbraccio 🙂
Ieri ho ricevuto la notifica “Cristiana ha appena pubblicato un librick” e non vedevo l’ora di leggerlo. Finalmente, eccomi qui 😊 Allora, devo dirti che la cosa che più mi ha colpito è il rapporto che queste persone hanno con la morte. Io, in 43 anni, non ho mai toccato un morto! Invece Anahí si è avvicinata alla nonna morta e le ha preso la mano con disinvoltura. Poi tutta la comunità sapeva benissimo cosa fare (lavarla, prepararla e celebrare il funerale). Anche i bambini sapevano come comportarsi, davvero bello.
Io sono più grande di te e da bambina ho spesso assistito a questa sorta di rituale, spaventoso e affascinante allo stesso tempo. La mia nonna paterna ha lavato e vestito mio nonno materno, da sola lo tirava su e giù, con una capacità quasi innata. Come se lo avesse sempre fatto. Oggi capita sempre meno e soprattutto è sempre più difficile che un defunto venga vegliato in casa, per motivi che sono anche legati a questioni contingentali o d’igiene. Grazie Arianna per aver colto questo spunto!
Ho l’ impressione che ad ogni episodio tu vada sempre un po’ oltre, non solo nel raccontare i fatti della storia ma anche nell’evoluzione dello stile e nel riuscire a trasmettere sentimenti ed emozioni, attraverso i personaggi, come se leggessimo nei loro occhi.
Il punto piú toccante, per me, il distacco, dopo la morte della nonna, anche dalla madre e dalla loro terra. Una donna che trova la forza di separarsi dalle figlie per il loro bene, é sicuramente una madre che merita ammirazione.
Il finale, poi, sarebbe da incorniciare.
Le donne sono forti e sanno scegliere ciò che è giusto, spesso lo sentono. La madre di Anahi capisce che è il momento di lasciarla andare, assecondando anche quel desiderio forte che la ragazza sentiva dentro. Forse è anche giunto il momento in cui Anahi sia liberata da quel vincolo che sentiva quasi imposto, nonostante fosse comunque pronta a rispettarlo. La madre, se ne assume personalmente la responsabilità. Grazie Maria Luisa per i tuoi preziosi commenti.
Questo episodio è un calderone di emozioni. Anahí incarna la lotta tra il desiderio di aggrapparsi al passato e la necessità di andare avanti. La sua promessa alla nonna (“Ti porterò con me, ovunque”) e le parole della madre (“La vita vi aspetta oltre gli alberi”) rivelano un dolore trasformato in forza, un tema che tocca chiunque abbia affrontato un distacco. L’addio finale è straziante, ma anche carico di speranza. La scelta di non voltarsi è un atto di coraggio, un accettare che la vita, anche quando strappa via le persone amate, impone di camminare avanti. Una parola per la madre di Anahi: solo una madre ha la forza di prendere decisioni tanto difficili come necessarie. Dal dialogo con le figlie ci coglie la sua oppressione e la sua forza.
Anche questa volta non ho avuto problemi a immaginarmi la scena. Le descrizioni sono immersive ed evocative. Bravissima!☺
Credo che Anahi avesse bisogno di una spinta, un incoraggiamento. Forse, la sua devozione alla famiglia e alla comunità, l’avrebbero portata a fare una scelta che non prevedeva la felicità personale, quanto piuttosto il sacrificio. Ecco che allora è la madre che prende per lei la decisione e se ne assume la responsabilità. Ho pensato, mentre scrivevo, che questo fosse un vero e proprio atto d’amore, incondizionato. Mi sono anche chiesta se ne sarei capace…
Il ‘non voltarsi’ è la svolta, l’inizio del viaggio.
Grazie Tiziana per questi tuoi commenti così forti e, per me, davvero graditi. Un abbraccio.
“Non voglio.» La donna le accarezzò il viso. «Lo so, piccola mia. Ma è necessario. Anahí sa quello che deve fare e si occuperà di te. Vostro padre vi darà una casa e non appena le vostre sorelline saranno cresciute, vi raggiungeremo.»”
Che tristezza! ti si spezza il cuore quando sei costretta ad andare via dal posto che ami
Proprio per questo, hai bisogno di qualcuno che ti dica che è la scelta giusta e condivida con te la felicità di poterlo fare 🙂
Sempre triste lo smembramento di una famiglia, di una comunità, ma resta la speranza di potersi riunire quando le circostanze lo permetteranno. Anche il tuo racconto è un viaggio, come la vita, e attendo l’intreccio con il viaggio di Pietro. Vite faticose e dolorose che troveranno amore e pace incontrandosi e dando inizio ad altra vita che, forse, avrà uno scorrere meno sofferente. Il tuo scrivere è una brezza leggera che ristora nelle giornate afose. Un abbraccio. 🌹
Purtroppo lo scioglimento e annullamento delle comunità autoctone rurali, avviene in moltissime zone del mondo per i motivi più disparati. Quelli che fanno intristire e arrabbiare solamente chi ha l’animo buono. Diversamente, ci si passa sopra come si fa attraversando un ruscello: ogni tanto si presenta un sassolino davanti, lo guardiamo per un attimo, poi lo scostiamo e proseguiamo tranquilli per la nostra strada, come se nulla fosse.
Le vite di Pietro e Anahi si intrecceranno per un tratto del cammino, ma bisogna aspettare ancora un po’ 🙂
Caro Giuseppe, non lo so se il mio scrivere è proprio così, ma quando lo dici tu, fa proprio piacere ascoltarlo. Grazie di cuore.
È reso ben chiaro in questo capitolo come la tristezza nella morte, alla fine, appartenga solo a chi rimane. Molto bello.
Credo che sia veramente così. Non importa cosa c’è dall’altra parte, o meglio, importa solamente a chi resta. O meglio ancora, a chi resta in attesa. Grazie Roberto per la tua lettura.
Quanta tristezza.. ma pure una leggera ombra di speranza.. quasi di rinascita.. la scrittura è molto coinvolgente, sembra un film a tinte delicate
È vero, c’è tanta tristezza e credo che essa si riveli dietro a ogni distacco. Voglio però che sia la speranza a fare da filo conduttore alla storia e sono molto felice che si senta.
Grazie Furio e un abbraccio.
E’ sempre piacevole leggerti ed entrare nel tuo mondo.
Grazie Rocco ed è bello per me riuscire a coinvolgere lettori/scrittori che sanno dare valore alle parole.
Entro nel mezzo di questo mondo che non conosco, con molto rispetto ma anche con il timore di chi non si trova tra volti conosciuti. Grande errore, me ne accorgo subito. Sarà perché il tema è tra quelli che mi sono più dolorosamente cari; sarà perché la scrittura di Cristiana, apparentemente piana, è in realtà un ruscello che scorre vivace ed entra in ogni corrugamento della terra come una lacrima in ogni piega del volto. Scava, quest’acqua che corre, e mette alla luce l’universale dolore che accomuna ogni vita.
A volte succede veramente che si entri a metà di un qualcosa, che sia una conversazione oppure, come in questo caso, una lettura, scoprendo di trovarsi a proprio agio. La storia che sto narrando è una storia di migrazione e quindi universale, nel senso che ha toccato o tocca molti di noi, direttamente o perché vediamo e sentiamo. Sono storie, come le tue, in cui ci si riconosce.
L’apprezzamento per la scrittura, è uno dei più belli che io abbia ricevuto. Pertanto, mi levo dai piedi la modestia e lo indosso come fosse un cappello nuovo. Giallo e a tesa larga.
Grazie Francesca e che laggiù ti arrivi il mio abbraccio.
Aspettavo con ansia il nuovo episodio e trovo che tu ti sia superata. È un capitolo meraviglioso, non c’è una sola frase che non mi sia piaciuta e che non mi abbia emozionato. Sei riuscita a farmi sentire il dolore e lo smarrimento non solo di Anahí, anche di sua madre, sua sorella, l’intero villaggio. E questo significa che i tuoi personaggi respirano. Per me questo episodio è un piccolo capolavoro. Davvero tantissimi complimenti, Cristiana, non ho pianto, ma è come se lo avessi fatto.
Forse sarà che i miei personaggi respirano o forse sarà per la tua bellissima sensibilità. Spesso le motivazioni si intrecciano, così come le sensazioni. E piangere, fa sempre tanto bene.
Grazie Melania e un abbraccio forte.