
UNA SERATA DI PURA FOLLIA
Serie: UNA SERATA DI PURA FOLLIA
- Episodio 1: UNA SERATA DI PURA FOLLIA
- Episodio 2: LA FOLLIA
- Episodio 3: La fine
STAGIONE 1
1990
Non era un mercoledì come gli altri. Quella sera Valter se la sarebbe ricordata per tutta la vita. L’autunno particolarmente freddo gelava la notte delle campagne dove era cresciuto, i campi intorno alla casa dove viveva con i genitori erano grigi e sembravano risucchiati dalla nebbia che oscurava anche la luna.
Erano passati sette mesi dal primo giorno di servizio militare e gliene mancavano ancora cinque. Da quando era stato assegnato agli Alpini erano rare le volte che aveva lasciato le montagne, ma la tanto ambita licenza arrivò per quella settimana di novembre. Quella del suo compleanno.
Nella serata fredda, si godeva il tepore del camino e un goccio di vino rosso insieme a suo padre, un contadino alla vecchia maniera che gli aveva insegnato il mestiere, così un giorno avrebbe preso il suo posto nell’azienda agricola di famiglia.
Raccontò ai genitori la vita di caserma, la voce del televisore nel sottofondo sembrava un piacevole brusio, loro ascoltavano interessati il figlio, fino a che sentirono due colpi di clacson. Si affacciò alla finestra, era la panda bianca di Armando che stava aspettando. Indossò una giacca. Salutò con un sorriso i genitori. Inconsapevole della serata che lo stava aspettando.
Sul sedile dietro c’era seduto Ferruccio che lo salutò energicamente.
“Da mesi che non ti si vede in giro e come sei cambiato. Ti sei rasato i capelli e sembra anche che ti siano cresciuti i muscoli.”
Armando era seduto al lato guida, aveva sorriso alla vista dei capelli rasati di Valter e prima di partire gli aveva dato una pacca sulla spalla.
Valter si accese una sigaretta dopo due curve. La fiamma dell’accendino aveva illuminato per pochi attimi il suo viso sbarbato e una piccola cicatrice sullo zigomo.
“Da militare hai iniziato pure a fumare?” Si scandalizzò Ferruccio a vederlo con la sigaretta in bocca. Si conoscevano fin da piccoli, sapeva bene che Valter non era un tipo che cedeva ai vizi, lo stesso che a scuola non aveva mai eccelso ma che passava le giornate correndo tra i campi e le stalle dell’azienda agricola.
Valter non aveva molte conoscenze e nemmeno tanti amici, oltre quelli delle scuole, Ferruccio e Armando erano quelli più stretti che conosceva fin da bambino e proprio loro avevano organizzato una serata per il suo compleanno. Nulla di particolare, solo qualcosa per stare insieme. Pizza, giro di bar e giretto in città. Avevano in programma di rincasare presto perchè l’indomani si sarebbero dovuti alzare all’alba per andare a lavorare.
Qualcosa scombussolò i loro piani.
Non era proprio cambiato nulla. La solita pizzeria dalle pareti invecchiate dove spiccava una foto dei proprietari scattata almeno vent’anni prima e i trofei impolverati sopra gli scaffali in legno. La solita nebbiolina di fumo mischiata all’odore del forno a legna. Guardando la pizza poteva sembrare la stessa di sempre ma per Valter quella era la più buona. Era frutto della nostalgia? Forse. Visto che da quando aveva iniziato la naja mangiava sempre le solite cose nella mensa della caserma. Pasta o riso, scaloppina, pollo e le insostituibili patate.
Nel parcheggio Valter, si accese una sigaretta, fumarono anche Armando e Ferruccio mentre la panda camminava rumorosa sull’unica strada alberata da platani, buia e dissestata che portava in città. La macchina frenò all’improvviso quando sotto un platano sul ciglio della strada c’era una donna che agitava le braccia. Quando si fermarono, Valter abbassò il finestrino preoccupato. “Cosa è successo?” Disse guardando negli occhi la donna che aveva davanti. Aveva i capelli biondi e indossava una costosa pelliccia marrone. Emanava un buon profumo dolce. La guardò bene in faccia e percepì che c’era qualcosa di strano ma non riuscì sul momento a realizzare che gli mancava un orecchio.
“Sono rimasta a piedi con la macchina. Mi date un passaggio fino alla città?”
Intorno a loro c’erano solo campagne divorate dalla nebbia che talmente era fitta oscurava anche i pochi lampioni, deboli, lungo la strada, l’unica via che portava alla città seguita dolcemente da alti platani rinsecchiti. Titubanti e malfidati accettarono di farla salire in macchina. Erano consapevoli e speranzosi che se ne sarebbero liberati soltanto dopo quattro chilometri.
Sarebbe stato bello fosse stata la realtà.
Valter lasciò il posto davanti alla donna e si mise dietro con Ferruccio. Lei guardava la nebbia fuori dal finestrino, assorta in un silenzio quasi irreale. Chissà a cosa pensava? Se lo chiesero tutti in macchina ma nessuno ebbe il coraggio di chiederglielo. Era una donna piacente, il suo viso leggermente truccato illuminato a sprazzi dalla luce, dimostrava molti anni meno di quelli che avrebbe avuto, aveva la pelle stranamente liscia e senza una ruga. Indossava abiti fuori moda e poteva sembrare una donna di sessant’anni anche se dal viso ne dimostrava almeno la metà. Fumava sigarette slim, ad ogni tiro avvicinava lentamente il filtro bianco alle sue labbra e aspettava qualche secondo prima di soffiare il fumo fuori dalla bocca.
Nebbia. Campi. Una casa. Ancora nebbia e campi. Armando aveva una guida lenta ma sicura, per rompere il ghiaccio accese l’autoradio, canticchiava una canzone da discoteca degli anni ottanta.
La donna iniziò a parlare solo quando raggiunsero la città. Poche parole solo per indicare la strada da seguire.
Aveva una voce forte, rauca che fluttuava nell’aria con frasi secche e decise.
“Destra. Al semaforo a sinistra e sempre dritto per un chilometro.”
La macchina si fermò davanti ad un palazzo signorile dai muri scalcinati e circondato da un cancello. Era una struttura tipica degli anni settanta. La donna scese di macchina, chiuse lo sportello con forza e se ne andò senza nemmeno salutare lasciando sbalorditi i tre ragazzi che si aspettavano almeno un grazie.
“Dopo questa pazza ci vuole una birra.” Disse Valter appena riprese posizione al posto del passeggero davanti.
Si conoscevano bene tutti e tre fin dall’infanzia. Avevano fatto asilo, elementari e medie insieme e Ferruccio forse era quello più esuberante che cercava una discoteca anche il mercoledì di una fredda serata autunnale, sapendo benissimo che in una città come quelle non ce ne erano. Proseguirono lungo la stessa strada alberata, sapevano di un locale che aveva aperto da poco. Si chiamava il Gringo. Era piccolo e condivideva il piazzale con un distributore di benzina e l’ingresso era illuminato da una luce opaca e l’insegna poco leggibile. Nel parcheggio c’erano solo loro appoggiati alla panda di Armando. C’era silenzio, non era ancora passata nessuna macchina e quel locale sembrava chiuso. Non si sarebbero mai aspettati quello che avrebbero trovato dentro.
Vociare di persone, risate di donne, una di loro ballava disinvolta e mezza nuda sopra un tavolino con una maschera sul viso. Seduto, appoggiato al bancone c’era un uomo, aveva gli occhi lucidi e un viso magro e pallido. Era travestito da coniglio con un costume da carnevale. Sembrava disperato, forse aveva pianto, e si consolava davanti ad un boccale vuoto.
Le tre birre vennero servite al tavolo da un uomo dall’aspetto tetro con un vassoio in mano. Sulla testa aveva pochi capelli ed era molto magro. Aveva il viso senza espressione e a Valter aveva dato l’impressione che non fossero i benvenuti. Indossava una giacca nera di una taglia più grande e sembrava fare uno sforzo enorme a portare il vassoio. Loro erano seduti in un tavolo al centro della sala, l’unico, visto che gli altri erano tutti occupati. Brindarono alla salute di Valter e ai suoi diciannove anni. Dopo aver tirato giù il primo sorso c’era stato un momento di silenzio e si accorsero che i volti muti e senza espressione dei presenti dentro il locale erano rivolti verso di loro e sembravano ipnotizzati.
“Beh? Che volete?” disse Valter con tono da duro.
Quando qualcuno aveva battuto le mani tutti ripresero a ridere e a parlare come prima. Come se nulla fosse successo.
Avevano bevuto la birra molto veloce, non vedevano l’ora di lasciare quel posto e di ritornare in macchina ma Armando si accorse che la sua panda stava entrando in riserva, quindi prima di partire si fermò al distributore di benzina accanto al locale. Aveva in tasca solo diecimila lire e li mise nella colonnina dell’automatico mentre Valter e Ferruccio rimasero dentro la macchina esterrefatti per le strane cose accadute durante la serata.
In un angolo al buio Valter notò un uomo basso e tozzo con il viso nascosto da un cappellino rosso. Lo colpì perchè rimaneva fermo al freddo. Non indossava nemmeno la giacca sopra la salopette di jeans ma vestiva un maglione in lana marrone. La cosa più strana era che nonostante il freddo, ai piedi calzava un paio di sandali. A quell’uomo non gli fu data importanza e ripartirono. Forse sarebbe stato meglio se lo avessero considerato di più.
Serie: UNA SERATA DI PURA FOLLIA
- Episodio 1: UNA SERATA DI PURA FOLLIA
- Episodio 2: LA FOLLIA
- Episodio 3: La fine
Ciao Giglio, buon inizio! Ho apprezzato soprattutto l’atmosfera di provincia che permea il racconto. Sono curioso di scoprire come evolve la vicenda.