Tawergha

Serie: Diversamente sole


La solitudine genera violenza e la violenza è solitudine. Violenza e solitudine usano annidarsi nelle famiglie. Questa serie di compone di storie indipendenti e connesse.

Il giorno in cui fu violentata, e poi uccisa e poi pianta e infine dimenticata come tutte, quel giorno Afra Shahryar era uscita di casa correndo e cercando di sistemarsi con la mano destra l’hejab mentre nella mano sinistra stringeva due metà di una pagnotta arrangiate intorno a un pezzo di frittata, malamente incartato con un foglio che probabilmente era il compito di inglese che avrebbe dovuto consegnare quella stessa mattina, se fosse riuscita ad arrivare a lezione.

Era terribilmente in ritardo. Era sempre in ritardo. All’ora in cui lei usciva da casa, al mattino, tutti gli altri componenti della sua famiglia avevano probabilmente già raggiunto i vari luoghi di studio e di lavoro. Quando rientrava, la sera, avevano tutti terminato la cena, erano abituati a non aspettarla.

La sera in cui fu violentata, e poi uccisa, nessuno fece caso al fatto che fosse così in ritardo. Le volevano bene ma si erano abituati a lei, così ognuno di loro si dedicò alle proprie occupazioni serali, senza chiedersi perché Afra non fosse ancora tornata.

La madre di Afra era ingegnere – nella Libia di Gheddafi ingegneria e medicina erano studi ritenuti particolarmente indicati per le ragazze. Era una donna di etnia amazigh che in gioventù era stata molto bella: fino a che le era stato possibile aveva rifiutato di coprire i lunghi capelli ramati che, insieme agli occhi verdi come sono verdi le foglie di palma subito dopo la pioggia, avevano fatto di lei una delle ragazze più corteggiate del villaggio. Allora, prima di trasferirsi a Tripoli per frequentare l’Università, vivere in un villaggio del Jebel Nafus poteva significare non avere il coraggio di uscire di casa da sola, non avere il coraggio di uscire dalla propria stanza, non avere il coraggio di guardare in faccia gli uomini della famiglia. Se.

Se la prima notte in cui non eri più una bambina tuo padre e tuo fratello erano entrati nella stanza che dividevi con tua sorella, facendoti segno di tacere per non svegliarla e facendoti segno di scostare le coperte e facendoti segno di toglierti la camicia. Capita.

Se l’ultima mattina in cui sei uscita tranquilla di casa, felice del vento e del sole e di te e dei tuoi capelli e dei tuoi occhi verdi, felice di portare i secchi al pozzo e di riempirli pensando a quante ragazze come te nella storia di quel tuo villaggio si erano specchiate in quell’acqua millenaria ma nessuna bella come te.

«Nessuna bella come, Jamīla.»

Sussurra troppo vicino e troppo acido l’alito di uno dei tuoi tanti zii.

Se tutto accade in fretta, una mano ti tappa la bocca e la pietra del pozzo ti tortura la schiena, non basterà la vita a darti il coraggio di sciogliere i capelli al sole, di lasciare che il vento ti accarezzi il viso.

Da quando esiste l’Università in Libia molte studentesse si presentano a lezione con il volto coperto. La maggior parte di loro ha il viso sfigurato, un padre o un fratello o un marito hanno provveduto a proteggerle dall’eccessiva bellezza.

Serie: Diversamente sole


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Discussioni

  1. Le labbra si atteggiano a dire no….
    Un no che è un inutile negarsi, un no che non produce scintille….un no che non è parola possibile…..un no che è solo sussurro di un fiore…..ma nella tua opera è il canto del silenzio che fa udire il grido dell’anima e fa tremare tutto l’universo…..

  2. Ricordo il tuo commento in merito ad un mio scritto, in cui dicevi di essere rimasta turbata.
    Ora, sono io ad essere rimasta turbata, oltretutto sapendo che questo genere di avvenimenti accadono veramente e non sono solo frutto di immaginazione.
    Le parole che usi sono in grado di creare delle immagini potentissime nella mente.

  3. due volti “familiari” (per così dire) e un terzo invisibile: ma non li percepiti come altrettanti episodi, piuttosto come tre colpi inferti dalla stessa mano sebbene i volti fossero diversi. L’oppressione nella forma in cui la descrivi è quasi impersonale, oggettiva come la schiavitù: non importa chi sia il padrone.

  4. Vorresti che questo orrore fosse racchiuso solo in questo racconto, che fosse una testimonianza di cose che succedevano anni fa, ma succedono ancora. E monta la rabbia, tanta.

  5. non lo so, ma se ti dici che è così sono disposta a crederti. Gheddafi, un laico in fondo. Ma insomma, non se so abbastanza, forse. Ma sono sicura che dopo il suo assassinio le cose siano andate peggio.

  6. Cara Francesca, spesso nei commenti che tu fai ai miei testi, scrivi ‘io non so parlare di questo genere di argomento’. Ecco che invece lo fai e lo sai fare alla maniera tua, come se il dolore e l’orrore fossero una lunga poesia permeata d’amore. Perché forse noi donne abbiamo questa capacità, come se il nostro stare male non facesse male a noi, ma a coloro cui vogliamo bene e proteggiamo. Ecco che allora il nostro dolore lo nascondiamo sotto allo zerbino come il granello di polvere indesiderata che noti quando oramai l’ospite è alla porta. Ti faccio i miei complimento per ciò di cui hai scritto e per come lo hai fatto. In altro modo non si poteva.

  7. Credo che le definizioni date da Tiziano, ovvero “agghiacciante” e “toccante”, siano assolutamente perfette per descrivere questo racconto, che, tra l’altro, non descrive una storia frutto della tua invenzione, bensì un evento realmente accaduto o una serie di eventi realmente accaduti e che accadono tuttora.
    Veramente incredibile!

  8. Non un semplice racconto ma una narrazione nuda e cruda di una realtà terribile che non può non turbare leggendo, anche se possiamo sapere che queste cose accadono.
    Complimenti Francesca, il tuo racconto più forte, mi pare, nella sua drammaticità; molto toccante e ben scritto.

      1. Oggi se ne parla tanto, spesso con parole brutte e a sproposito. Il tuo approccio, letterario ed elegante nella sua crudezza, si discosta quanto più possibile da tutto quel rumore, e va dritto dentro come un coltello nel burro. Così fa chi sa scrivere davvero.

  9. “Ai tempi di Gheddafi solo poche studentesse dell’Università di Tripoli si presentavano a lezione con il volto coperto. La maggior parte di loro aveva il viso sfigurato, un padre o un fratello o un marito avevano provveduto a metterle al sicuro.”
    Magistrale👏

  10. Credo tu abbia superato te stessa Francesca, con questo pezzo. Non so bene come spiegarmi, ma è la sensazione che ho avuto leggendo. Eri – sei – già brava, e i tuoi scritti notevoli, ma qui ho sentito un’esigenza di andare ancora un poco più in la’. Una specie di urgenza di spingersi altrove. Mi sei piaciuta tantissimo. Asciutta, precisa, dritta al punto. Uno scritto che tocca nel profondo, lascia il segno e fa il suo dovere. Bravissima.

    1. Hai ragione, sei molto acuta. Mi stavo ponendo, tra i molti altri, il problema di non essere capace di introdurre l’elemento erotico in quello che scrivo come fate tu e Cristiana e molte altre scrittrici. Poi ho capito che non mi interessa farlo mentre voglio riuscire a descrivere i vari tipi di orrore che abbiamo dietro casa. Grazie per la tua profondità.