4. Cassian

Serie: L'imperfetto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Lucian, un uomo apatico che vive una routine vuota, viene attratto in una misteriosa conferenza su Jung. In un pub con il gruppo, un enigmatico "Relatore" gli dona una chiave d'avorio e lo spinge a confrontarsi con sé stesso. La sua fragile calma viene interrotta da una chiamata.

«Hey, Cassian.»

Cercò di mascherare la curiosità con una calma studiata, consapevole di essere osservato dai presenti.

«Lucian… so che è passato del tempo, ma è importante.»

La voce dall’altra parte era tesa, trattenuta.

«Non so come dirtelo. È successo qualcosa… a Sophia.»

Un secondo di silenzio.

«Cosa è successo?»

La voce gli uscì più bassa del previsto, quasi un sussurro.

«Si è tolta la vita ieri sera. Ho pensato che dovessi saperlo.»

Le parole lo attraversarono come vetro sottile.

Il bicchiere gli tremò tra le dita: la schiuma si spaccò in superficie.

Un tonfo lontano, o forse solo il battito nelle orecchie.

Sophia. Morta.

Un vuoto improvviso, silenzioso, gli spalancò il petto.

Inspirò piano, cercando di riempire i polmoni, ma l’aria sembrava non bastare.

«Nella sua eredità c’è anche il tuo nome» aggiunse Cassian, più piano. «Il notaio ti contatterà presto. Non so altro.»

Annuì, ma non rispose. Lo sguardo fisso su di un punto indefinito. Chiuse la chiamata.

Il brusio del Green Lion gli rientrò addosso all’improvviso: risate, bicchieri, musica lontana.

Posò il telefono accanto al bicchiere e lo fissò come se non sapesse più cosa farne.

Il rumore del locale sembrava arrivare da lontano, un altro mondo.

Solo allora si accorse di Cecilia che lo osservava, incerta.

«Va tutto bene?» chiese piano.

Lui fece un cenno, più per riflesso che per convinzione.

Prese il bicchiere e bevve un sorso. Il sapore era metallico, sangue nella bocca.

Il Relatore non parlava.

Tamburellava piano con le dita, lo sguardo fisso ma non ostile.

Quando sorrise, una piccola cicatrice all’angolo della bocca si piegò con lui. Un dettaglio quasi impercettibile, ma vivo.

Lucian percepì il suo sguardo, ma non lo affrontò.

Avvertì solo un brivido. La strana sensazione che l’altro sapesse — non cosa era successo, ma quello che sarebbe accaduto di lì in avanti.

«La notte arriva sempre prima dell’alba» mormorò l’uomo, quasi tra sé.

Lui alzò appena gli occhi, incerto se avesse davvero parlato o se fosse stato solo un pensiero suo.

Poi il brusio tornò, e la frase si perse nel rumore dei bicchieri.

Sophia.

Il nome gli batteva in testa, ostinato, come un richiamo.

Restò immobile, le dita ancora intrecciate attorno al bicchiere.

Cecilia lo fissava, incerta, poi si sporse leggermente.

«Era una brutta notizia, vero?»

Lui scosse appena la testa. «Nulla di grave.»

Le parole gli uscirono piatte, vuote, eppure cercò di sorridere.

Un sorriso tirato, che durò il tempo di un respiro.

«Sicuro?» insistette lei, inclinando il capo. «Hai perso tutto il colore dal viso.»

Fece per rispondere, ma la voce non venne.

Il rumore del locale sembrava lontano, ovattato. Le risate, i bicchieri, le voci — tutto si mescolava in un unico suono sordo, come un ronzio dietro le tempie.

Inspirò.

L’aria non entrava.

Un battito accelerato, improvviso, gli riempì le orecchie.

Guardò il bicchiere, poi il tavolo, poi le mani.

«Lucian?» La voce di lei arrivò deformata, distante.

Il Relatore non disse una parola.

Lo osservava soltanto, con la stessa calma imperturbabile di prima. Il capo appena inclinato, le dita intrecciate sul tavolo.

Si alzò di scatto. La sedia raschiò il pavimento.

Qualcuno si voltò.

Lui cercò il respiro, ma il fiato gli mancava.

Attraversò la sala a passi incerti, urtò una spalla, poi un tavolo, senza voltarsi.

Quando raggiunse la porta, il freddo lo colpì come uno schiaffo.

Inspirò di nuovo, e stavolta l’aria entrò, bruciante.

Dietro di lui, le voci si erano spente.

Solo Cecilia, immobile accanto al tavolo, lo seguiva con lo sguardo.

Il Relatore, invece, non si era mosso. Un sorriso sottile, appena accennato, gli disegnava le labbra.

Si fermò un istante sulla soglia, respirando a fondo.

Le strade brulicavano ancora di vita, ma i suoni gli arrivavano ovattati, lontani.

Camminò senza meta, le mani in tasca, lo sguardo fisso davanti a sé.

La mente continuava a rimbalzare tra pensieri disordinati.

Aveva bisogno di silenzio. Di fermarsi.

Si diresse verso casa, lasciandosi dietro il brusio della città.

Le luci dei negozi gli scorrevano accanto sfocate, riflettendosi sui marciapiedi bagnati.

Il vento gli portava addosso frammenti di conversazioni, risate lontane, suoni di una vita che in quel momento non gli apparteneva.

Avrebbe voluto fermarsi, ma non c’era davvero un posto dove andare.

Solo il bisogno di chiudere una porta alle spalle.

Quando arrivò davanti al portone, restò un attimo fermo.

Guardò il citofono, gli parve la prima volta che lo vedeva davvero.

Poi infilò la chiave, la serratura scattò. Un odore familiare gli venne incontro: legno, carta, pioggia portata dai vestiti.

La quiete del suo appartamento lo accolse senza calore, ma con una specie di sollievo muto.

Appese il cappotto accanto a un gancio rimasto vuoto. Lo guardò per un attimo, poi spense la luce.

Il telefono squillò, ancora.

Il suono lo fece sobbalzare.

Non conosceva quel numero.

Esitò, poi rispose.

«Sì?»

«Buonasera, il signor Lucian, presumo.»

La voce era profonda, calma. Ma quel tono misurato, quasi cerimonioso, lo mise subito a disagio.

«Sono io. Chi parla?»

«Sono il notaio che si occupa del lascito della signora Sophia.»

Una pausa.

«Capisco che la notizia possa essere difficile da affrontare, ma è urgente incontrarsi per discutere delle sue disposizioni. C’è un oggetto che le è stato lasciato.»

«Un oggetto?»

«Non posso dirle di più per telefono. Deve vederlo con i suoi occhi.»

Il tono gli parve familiare, un’eco lontana che non riusciva a collocare.

«D’accordo,» disse infine, cercando di suonare fermo. «Quando e dove?»

«Domani, a mezzogiorno in punto. Via Mozart, numero 3. Non sarà un incontro lungo, ma è essenziale che lei sia puntuale.»

Via Mozart. Conosceva quella strada: elegante, silenziosa, piena di palazzi d’altri tempi. Ma il numero 3 non gli diceva nulla.

«Va bene. Sarò lì.»

«Perfetto.»

La voce si abbassò quasi a un sussurro.

«Non dimentichi: mezzogiorno in punto.»

La chiamata si chiuse.

Restò immobile, il telefono in mano, a fissare il riflesso della finestra scura.

C’era qualcosa di strano in quella voce. L’aveva già sentita da qualche parte, ne era certo.

Scosse la testa, si alzò e tornò in cucina.

Prese la chiave d’avorio tra le dita: il freddo dell’oggetto gli attraversò la pelle.

Per un istante gli parve quasi viva.

«Mezzogiorno in punto…» mormorò.

Fuori, la notte aveva inghiottito la città.

Solo poche luci lontane punteggiavano il cielo come ferite.

Andò a letto.

Appena chiuse gli occhi, ebbe la sensazione di precipitare in un buio profondo, un abisso che lo risucchiava intero.

Non era la prima volta.

Aveva già visto quel buio — un corridoio senza porte, passi che non facevano rumore.

Ma quella volta, qualcosa era diverso.

In fondo al buio, qualcosa brillava.

Serie: L'imperfetto


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. La narrazione così articolata rende la vicenda interessante e il mix fra realtà e magia ti viene davvero bene. L’oggetto magico, l’amuleto, se ne resta lì, prepotente, annunciando qualcosa che sta per accadere, ma che noi non sappiamo ancora e la telefonata misteriosa aggiunge la giusta dose di suspense.
    Mi piace molto l’atmosfera che si respira e sono curiosa di leggere il resto.

    1. Grazie Cristiana! Mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta l’atmosfera e che il mix tra realtà e magia funzioni. Quella chiave avrà ancora un ruolo importante… e presto si capirà cosa sta per succedere.

    1. @Tiziana.M
      Ciao Tiziana,
      mi fa davvero piacere sapere che la storia ti abbia coinvolta fino alla fine! Il fatto che ti sia venuta voglia di leggere ancora è il miglior complimento che potessi ricevere. In realtà la storia è già tutta scritta, quindi non dovrai aspettare troppo per leggere il resto.