
“Adrianaaaaa!”
La nostra storia inizia in un piccolo monolocale, scavato nel sottotetto di un anonimo stabile in provincia di Campobasso; di preciso nella stanza adibita all’espulsione delle funzioni corporee. Eugenio, una volta svuotatosi dalle sue indigenze, azionò la catenella. Una voce gorgogliante si alzò dallo scarico; una voce che borbottò: “tu fare pruopio skifo!”.
Solo allora si osservò allo specchio. Eugenio era un venerabile signore dal volto magro ed il buzzo prominente. Quella canotta lercia e bucata non faceva che confermare le sue accettazioni circa il suo aspetto. In effetti, l’unica cosa che il nostro inconsueto eroe importava, era sua moglie: Adriana.
Ah! La sua cara Adriana: una donna stroncata da un sfortunato popcorn, che serrò le vie respiratorie decretando il mortal sospiro sotto gli occhi del suo disperato coniuge; il quale sgolò in concomitanza con la scena di Rocky 3: “Adrianaaaa!”; ricevendo ovazioni da tutta la platea del cinema per la sua struggente interpretazione.
Ogni qual volta si rimirava nella sua immagine riflessa e osservava in quale stato si era ridotto lui e la sua “casa”, saliva la pulsione di gridare il nome di sua moglie: come se invocando tale nome avrebbe riportato il calore della sua Trippa Molisana. Povero, oh povero Eugenio. Uscendo dal bagno sospirando, venne accolto dalle entusiaste attenzioni di un piccolo carlino: unico dono di sua moglie ed unico motore della sua vita sociale. Il piccolo Kadmon. Lo sguardo dello sventurato anziano divenne tenero. Quante avventure aveva condiviso insieme ad esso.
Nonostante ciò, andò a versare nella sua ciotola una confezione di pollo e verdure; mentre Eugenio trovò conforto in una calda tazza di caffè nero nerissimo, non facendo caso a come una colonna di caffè uscisse dalla sua Old Classic come il fumo di una ciminiera. Interponendo una tazzina capovolta, come uno stoppino, si sedette poi al tavolo lasciando che il resto del liquido continuasse la sua ascesa attraverso i filtri della ventola. Il televisore ebbe uno scossone e si accese sulle note di “You are not alone” di Michael Jackson.
Eugenio cominciò a fissare con esasperazione il televisore.
Eugenio non ricordava un giorno in cui quel maledetto televisore non aveva dato problemi di ricezione, gli unici canali visibili erano: Mtv per Michael Jackson, Tutto su Michael Jackson, M.J. grandi successi 24 ore su 24; e quando, miracolosamente, riceveva segnali per altri canali, si udiva un grido sfrigolato per poi spegnersi all’improvviso. Tant’è vero che, pur di non vederlo trovava molto più interessante fissare il suo rassegnato volto sullo schermo sfarfallante.
Dopo un flemmatico quarto d’ora, udì l’unico suono che troncava la quiete del suo ozio: il gracchiare dei corvi. Eugenio della Morte rassegnato e rasserenato, afferrò il suo fucile con compostezza. Quindi aprì la finestra e, dopo tre colpi alquanto imprecisi, i messaggeri dell’aldilà esplosero in una nuvola gracchiante. Ma il grilletto venne premuto una quarta volta, il fucile si inceppò all’ennesima pressione e, provocando una portentosa deflagrazione che gli bruciò via metà della sua barba. Oh povero, povero Eugenio.
La suprema regina dello stabile, Maria Mastro**a, esclamò con voce leggiadra:
— Hai rotto i co***ni vecchia groviera! —
— Sono a casa mia, faccio il ca*zo che mi pare! —
— Vorrai scherzare! Mi devi ancora trentasei mesi di affitto! — rispose la signora con tono educatamente alterato.
Il “venerabile” Eugenio, decise di non incidere nella pietra un’altra discussione con l’autorevole padrona dello stabile. Chiuse la finestra e si concesse di coricarsi dopo appena quindici minuti che si era alzato. Dopo poco, sentì altro gracchiare arrivare addirittura fino in camera sua. Le sue iridi iniettate di sangue di corvo fluttuavano in tutte le mura.
Kadmon partì scodinzolando e abbaiando nella cappa del piccolo caminetto spoglio. Il saggio padrone, lo arraffò per il collare e lo estrasse dalla cappa.
— Zitto! Per Adriana! — esclamò.
Il gracchiare dei corvi rimbombava in quel condotto.
— Aspetta qui! — ordinò rialzandosi con foga, diretto verso il balcone. O, in questo caso, “reparto oggetti smarriti”; in quanto Eugenio aveva approfittato di esso per ciò che era declinato a rimanere soltanto in disuso.
Il più alto gradino della sua evoluzione si vide in quel momento, quando frugò in quel mare di cianfrusaglie allo scopo di trovare la scala per accedere alla parte superiore della sua abitazione e aggrapparsi alla grondaia. La sua schiena gli ricordò i suoi ottant’anni suonati. Si issò e fu allora che vide il caminetto tappato da un nido di corvi, fatto di cannucce, cartine, fil di ferro ed ogni genere di sporca cianfrusaglia.
Il suo ghigno rugoso trionfò sui piccoli volatili, ma quando prese quel leggero nido tra le dita, nel suo cuore si aprì una crepa: ebbene, Eugenio, al loro posto, vide il figlio che Adriana avrebbe tanto desiderato. Allora decise che sarebbe diventato la loro mamma e si legò il piccolo nido sopra la sua testa come una corona di spine. Si aggrappò alla grondaia atterrando sul parapetto del balcone. Quindi li snodò dalla loro pericolante disposizione, tenendoli in mano davanti a sé. Ma il cagnolino, vedendo il nido, ci vide una ciotola e si fiondò su di lui latrando con la melodia di un vuvuzela; addentò il nido con un sol balzo travolgendo il malcapitato padrone.
Eugenio vide il cielo azzurro aprirsi davanti ai suoi occhi come i cancelli dell’aldilà. Difficile dire quale sentimento solcò la mente del nostro iellato protagonista in tale circostanza; mentre il peso della propria ingordigia e la stoltezza del suo cane lo facevano precipitare verso il suolo.
Era davvero ironico che un centauro della strada, reduce da mille battaglie a colpi di bottiglia di birra in sella al suo destriero a locomozione, fosse destinato a morire per zampa del carlino della sua cara Adriana, quasi fosse scritto nel destino il suo ricongiungimento con l’amata perduta.
E quindi, eccoci qua: nel salto nel vuoto, nel balzo famelico nell’occhio del ciclone esistenziale; nel nirvana della trascendenza; NELL’APOTEOSI QUANTICA DELLA DIVINA PROVVIDENZA DI MANZONI! […]
Eugenio, nonostante la sua figura fosse particolarmente affine al dugongo, riuscì nel trasmettere eleganza in quella caduta, compiendo delle piroette così aggraziate che finanche Bolle sarebbe riuscito a compiere. È proprio vero che le persone danno il meglio di loro stesse in punto di morte.
Dopo questo insospettabile sfoggio di abilità, e successivamente al suo meteorico impatto, colpevole del terremoto che provocò (mediante l’effetto farfalla) il crollo di alcuni paesini circostanti tranne il proprio. Infine, precipitò sull’asfalto dell’incoscienza.
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