Clock, Gatto Vittoriano

Mi chiamo Clock e sono un felino Vittoriano. Il mio servitore umano, James, è un inventore fermamente convinto di poter creare macchinari rivoluzionari per cambiare il mondo. Un progetto ambizioso per i tempi Ottocenteschi che corrono.

Dato che l’umano mi ha lasciato di nuovo a casa da solo, per non annoiarmi, vorrei raccontarvi qualcosa di più riguardo la mia Londra Vittoriana.

Tutto comincia all’alba, quando le prime macchine a vapore percorrono rumorosamente le strade del centro e il Big Ben ricorda, con i suoi rintocchi, l’inizio di un nuovo giorno. Il mio stato di dormiveglia è interrotto ogni mattina da James che inciampa ovunque. Per fortuna dormo su un mobile e non rischio di ritrovarmi qualche strambo soprammobile sulla coda a darmi il buongiorno!

L’umano corre per tutta casa con una tazza di the in mano, tentando contemporaneamente di vestirsi e raccattare le carte da portare al lavoro. Non sa cucinarsi una frittata, figuriamoci fare tre cose nello stesso momento. Per questo lo osservo sempre con aria sufficiente.

“Ciao Clock, ci vediamo questa sera. Se vuoi passa a trovarmi al lavoro” dice James.

Lo guardo e spero che capisca che lo farò solo se non avrò nient’altro di meglio da fare.

La porta d’ingresso si chiude e io resto solo. Finalmente un po’ di relax. Scendo dal mobile e mi dirigo verso la finestra: in cielo i dirigibili a vapore si muovono lenti tanto quanto le lancette dei minuti del grande orologio, davanti a esso il treno passa fischiando sulle rotaie rialzate da una struttura metallica. Dentro le automobili i signori baffuti accompagnano le dame a fare colazione. Gli edifici, con ingranaggi in movimento in bella vista, brulicano di gente. Resto tutta la mattina a scuriosare la vita degli umani, trovo che sia un passatempo appagante.

Arriva l’ora di pranzo e a ricordarmelo c’è il Big Ben con i suoi meccanici Dong. Scendo in strada e mi dirigo verso il negozio del macellaio. Tutti i giorni tiene da parte i migliori tagli di pollo appositamente per me. È sicuramente rimasto incantato dalla mia bellezza la prima volta che mi ha visto.

“Buongiorno Clock! Come stai?” chiede mentre mi accarezza il manto nero con le enormi mani sudice.

Sinceramente sono ancora un po’ arrabbiato con lui: una volta ha osato dirmi che sono talmente pieno autostima che prima o poi sarei scoppiato. Guardasse la sua pancia!

Una volta terminato il pasto decido di andare a trovare il mio bipede al lavoro, quindi esco dal negozio salutando il macellaio con una rapida vibrata di coda. Percorro le strade osservando gli umani: i signori sono vestiti eleganti con giacca e tuba, mentre le signore indossano corsetti stretti e ricamati e ampie gonne a balze. Ciò che rende alquanto bizzarro il loro abbigliamento sono gli occhiali con le lenti tonde e la miriade di cinghie e ingranaggi ornamentali su varie parti degli indumenti.

Eccomi dinnanzi allo stabile dove lavora il mio umano: dalle ciminiere esce moltissimo vapore e di tanto in tanto qualche strano meccanismo si muove vicino alle porte. Resisto a stento alla tentazione di aggrapparmi a quei luccicanti ingranaggi.

Entro con decisione e subito gli sporchi operai mi accolgono spettinandomi con le loro manacce nere. Mi innervosisco e inizio a soffiare per cacciarli, ma di tutta risposta vengo preso in braccio e baciato! Come se non bastasse l’ultimo a compiere questo scempio è quello con la bocca messa peggio di tutta Londra! L’alitata che ricevo in pieno muso mi fa passare da sette a sei vite.

In lontananza intravedo il mio bipede alle prese con delle carte. Miagolo disperato e lui corre a prendermi. Non ho mai amato così tanto James.

“Clock, ho una sorpresa per te! Vieni che te la mostro” dice poggiandomi a terra.

Lo seguo domandandomi cosa potesse essere questa, a suo dire, “sorpresa”. Mi vengono in mente scatole di cartone, topini di pezza mossi dalla spinta del vapore, salmone o tonno di alta qualità appena pescato o cose simili.

“Ecco qui! Cosa ne dici?”

Piego la testa confuso: in un angolo c’è una cesta con sotto delle eliche e un piccolo tubo di scarico a lato. Cosa sarebbe quel rifiuto da discarica?

James mi invita a salire e io lo osservo con sospetto. L’ultima volta che sono salito sopra una sua strana invenzione è scoppiata e mi sono bruciato il pelo. Che vergogna!

Dato che non voglio fare brutta figura in presenza di esseri inferiori come gli umani, salgo. James aziona un pulsante dietro la cesta e si allontana. La sua espressione da ebete si fa seria quando la cuccia resta totalmente immobile. Lo osservo con aria beffarda. Cosa credeva di ottenere con un quoziente intellettivo pari a quello di un cane?

Mi sdraio accoccolandomi tra le pezze. Devo però ammettere che è molto comoda. Chiudo gli occhi e ascolto i rumori della fabbrica mentre cado tra le braccia di Morfeo.

Senza alcun preavviso sento la cesta tremare e fare uno strano suono: mi sveglio di soprassalto e constato che sto volando! James, insieme ai suoi poco evoluti amici, festeggiano guardandomi schizzare da una parte all’altra dello stabile. Maledetti bipedi!

Salto giù e corro fuori soffiando a pieni polmoni e con il pelo ritto sulla schiena. Mi fiondo a casa sfrecciando tra le strade e in mezzo ai passanti. Finalmente imbocco la gattaiola e termino la mia disperata fuga sotto il letto.

Dopo essermi tranquillizzato, esco allo scoperto e guardo la mia immagine allo specchio: quasi infarto notando quanto divento brutto nei momenti di stress. Resto sotto la cuccia di James fino alla sera tardi.

Apro gli occhi udendo la porta di casa aprirsi. Esco piano piano dal rifugio con la coda in mezzo alle gambe. Nella stanza affianco James mi cerca piangendo. Miagolo richiamando la sua attenzione e lui si gira correndomi incontro.

“Oh Clock, non sai quanto mi dispiace. Pensavo che la cuccia si alzasse solo di qualche metro e non che volasse per tutta la fabbrica senza controllo. Ho capito cosa non ha funzionato nel meccanismo e ora l’ho aggiustata. Puoi perdonarmi comunque?”

Gli occhi dell’umano sono rossi e gonfi. Ammettendo le sue colpe mi rendo conto che anche io ho sbagliato correndo via soffiando come un pazzo. Neanche un canide si abbasserebbe a quel livello.

Un luccichio a lato della porta d’ingresso attira la mia attenzione: zampetto in quella direzione e marchio con il collo l’interruttore di accensione della cesta. Entro e l’umano mette in moto l’oggetto, quindi le eliche iniziano a girare e il vapore a uscire dal tubo. La cuccia si alza da terra e in poco tempo mi ritrovo faccia a muso con James. Sfrego mio il naso contro il suo facendogli capire che lo perdono e che mi spiace per essermi comportato male. Facendo un esame di coscienza so benissimo che senza di lui non sarei il felino che sono ora. James mi deve delle scuse, ma io gli devo la vita che mi ha permesso di avere.

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Discussioni

  1. Meraviglioso, mi ha conquistato dalla prima lettura. Ieri non sono riuscita a finirlo e, appena ho trovato un momento, l’ho ripreso in mano. Scritto molto bene e la storia è esilarante

  2. Ciao Mary! È vero: questo tuo racconto mette di buon umore😊 Bello come hai lasciato trasparire il fondale steampunk pur restando focalizzata sulla prospettiva a noi molto più familiare (e umana) del gatto👏🏻

  3. Hai già raccolto complimenti sul contenuto, più che meritati. Io voglio sottolineare la precisione e l’accuratezza con cui hai scritto questo racconto, con scelte particolarmente felici. L’utilizzo del verbo fiondarsi, ad esempio, secondo me appropriatissimo per un gatto, i commenti sugli odori, il fastidio per la sporcizia, la vibrata di coda per salutare. Ore passate a osservarli, immagino.

    1. Io e i miei genitori abbiamo adottato la prima gatta quando ero quattordicenne e da quel momento i felini hanno sempre ricoperto un ruolo importantissimo nella mia vita (ora ho ventotto anni). Posso dire di avere avuto veri e propri amici gatti che mi hanno tenuto tanta compagnia. ❤️
      E anche oggi se vedo un gatto per strada non posso fare a meno di accarezzarlo.

      1. Pensa che qui a Syros, l’isola, il comune ha istituito una specie di borsa di studio per gatto/sitteraggio. Vengono da tutto il mondo. Sempre il comune distribuisce gratis crocchette alle gattare e ai gattari. Dino e io siamo contrari alle crocchette per cui abbiamo fatto su un nostro gruppo di gatti (greco=gattakia) e li nutriamo come nutriamo noi stessi, non in casa però.

  4. Quando si parla di Londra Vittoriana mi si prende per la gola. Se poi ci mettiamo un felino, allora il mix giusto è compiuto. Complimenti Mary. Un racconto molto gradevole che si lascia leggere bene. Un gatto che se la tira, ma quando mai? 🙂 🙂 🙂

    1. Ciao Cristiana, prima di tutto ti ringrazio per il commento!
      L’Epoca Vittoriana mi ha da sempre affascinata e gattara quale sono non potevo non creare una storia a tema! 😸😸

  5. Anche in una Londra vittoriana e steampunk, un gatto è sempre un gatto! Mi piace come hai tratteggiato Clock, con un atteggiamento altezzoso (come si addice ad un signor gatto), ma anche comprensivo nei confronti del suo umano 🙂