Diventare grandi

Serie: Il secondo bacio


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Fu un amore lunghissimo silenzioso e devoto, e come tutti gli amori credevo davvero sarebbe durato per sempre. Invece, qualche mese dopo l'arrivo di Patrizio, Algida morì.

La trovò Pietro, uno dei grandi. Era di turno nell’orto per la raccolta della lattuga. La prima volta le passò accanto senza fare nulla.

«Pensavo dormisse» ci avrebbe confessato poi. «O qualcosa del genere.»

L’aveva provata a chiamare, le aveva scosso le spalle, ma soltanto un pochino, per paura che s’agitasse o sentisse male.

«Non rispondeva.» Lo avrebbe ripetuto spesso, per l’intera notte e nei giorni a venire, reo confesso di una colpa che forse nemmeno esisteva. «Io non sapevo che fare.»

Sparsi dentro la sala gande aspettavamo indicazioni per la cena da più di un’ora. Fingevamo di goderci quella libertà inaspettata, non riuscivamo a togliere gli occhi dall’orologio.

Diciotto. Diciotto e trenta. Diciannove. Lei non veniva. Era già capitato tardasse. In altre occasioni ci saremmo dati alla pazza gioia approfittando di quell’assenza per rubare biscotti e saltare a piedi nudi sopra il divano. Quella sera invece ci muovevamo cauti, a bassa voce, rondinini nel nido vuoto ad annusare l’aria di piombo.

«Ma.»

Fu Giuliano, uno dei piccoli, ad agitarsi per primo.

«Algida?»

«Boh.»

«Perché non viene?»

Giorgia e Arianna lo seguirono.

«È successo qualcosa.»

«L’avranno trattenuta di nuovo al paese.»

«Il Fiorino è qui.»

«Saranno scappati di nuovo i polli.»

«Sono dentro.»

«Buoni, che adesso viene. Vi siete lavati le mani?»

Provavamo a calmarli, stavamo peggio di loro.

«Giù all’aia non la vedo, non c’è nessuno.»

«Non ha mai fatto così tardi.»

«Sì, invece. State calmi.»

«Ha ragione lui, lei non ha mai fatto cosi tardi.»

«Io vado a vedere.»

«Buoni.»

«Ma è tardi! Lei non fa mai così tardi!»

«Sarà rimasta all’orto. L’ho sentita dire che andava nell’orto.»

«Allora andiamo.»

«Fermi.»

Sulla porta, era Pietro a parlare. Stava a ridosso dello stipite, con il braccio teso sbarrava ai piccoli la strada.

«Nell’orto no.»

«Perché?»

Calò il silenzio.

Se è vero che nella vita di ognuno esiste un momento esatto nel quale si è per forza di cose costretti a crescere, quello fu il nostro.

Pietro prese i piccoli, se li nascose dietro la schiena nel gesto di una mamma chioccia e per dirlo guardò noi.

«Algida è morta.»

Fece un passo indietro in attesa di una nostra reazione, l’aria di chi scaccia un insetto ripugnante. Il suo sguardo implorava una sfida. Quella parola era orribile e lui l’aveva appena toccata con mano, s’era inquinato col suo veleno, ora che finalmente l’aveva sputata fuori non la rivoleva indietro. Che andasse a infettare qualcun altro. Che venisse a torturare noi.

«Scherzi.»

Lo dissi come chi spera una grazia dal cielo. La voce usciva ma non era la mia. La testa girava e le orecchie fischiavano di una paura sconosciuta e sorda.

«Dì che non è vero.»

Pietro non reagì. Chi degli altri non si era già alzato ci raggiunse in quel momento. Ci stringemmo intorno a lui senza espressione, né parole. Soltanto Patrizio non venne, con la coda dell’occhio lo vidi uscire dalla stanza.

«Cos’è successo?»

Giuliano aveva le guance gonfie di lacrime e paura.

«Niente. Scherza.»

«Dillo, che scherzi. Non vedi che lo spaventi?»

«Non scherzo.»

«Andiamola a chiamare, andiamoglielo a dire!»

«Quado torna, tu vedi.»

«Non torna.»

Pietro ostentava la fermezza di una roccia ma era terrorizzato quanto noi.

«Perché fai così?»

«Andiamola a chiamare.»

«Ma cosa non avete capito? Vi sto dicendo che—»

«Scansati.»

Gli montai contro, lo spinsi. Sentii il suo petto duro e un profumo acre di menta e sudore giovane.

«Smettila.» Avrei voluto abbracciarlo, lo spinsi più forte. «Perché ti inventi le cose?»

«Non sto inventando.»

«Ma lascialo perdere, andiamola a chiamare.»

Le altre ragazze mi seguirono, i maschi invece ci guardavano muti.

Pietro incassava senza reagire.

«E come la chiamo se è-»

«Zitto.»

«Devi smetterla.»

«Smettila tu.»

«Cosa vuol dire morta?»

«Vuol dire che non torna.»

I piccoli scoppiarono a piangere.

«Lo vedi che hai fatto? Sei contento adesso?»

«Ma che c’entro io?»

«La devi smettere!»

«Ma cosa non avete capito?»

«Cosa non hai capito tu.»

Scoppiò una zuffa. Ci tiravamo graffi, spinte, parole malvagie, e ci saremmo probabilmente ammazzati senza sapere come, ne quando fermarci, se sopra le nostre teste non fosse volato qualcosa di simile allo zoccolo che conoscevamo bene. Una scarpa da tennis. La sentii sbattere contro il muro, cadere a terra in un tonfo sordo.

«Adesso basta.»

Patrizio, immobile nel centro della stanza, ci fissava scuro.

«Smettetela.»

Reggeva il manico della scopa, ce lo puntava contro nell’unico gesto in grado di calmarci. Lo usò per dividerci e guidarci in una fila ordinata contro il muro della cucina.

«Siete ridicoli. Lei non avrebbe voluto così.»

Si era procurato dei fazzoletti puliti, li usò per asciugare le guance dei piccoli.

«Voi rimanete qui. E voi» ci indicò la porta «mettetevi le scarpe. Scendiamo.»

Senza sapere che altro fare obbedimmo a quel biondino arruffato proprio come avremmo obbedito a lei.

***

In mezzo all’orto Algida giaceva. Prona, il viso ficcato dentro terra le scura tra i resti dei pomodori e le prime zucchine. Cadendo aveva perso uno zoccolo, la caviglia si era lievemente torta in una posizione irreale che ricordava i manichini. Non avevamo mai visto un corpo morto che non fosse per gioco – le lucertole tranciate a metà, le rane finite sotto le suole dei sandali la sera in giardino, non conoscevamo altro. 

Non riuscivamo a staccarle gli occhi di dosso. 

«Dov’è Algida?»

«Algida non c’è più.»

L’avremmo spiegato così, più tardi, ai piccoli. Ma lei era lì. Sotto i nostri occhi, tale e quale per come l’avevamo sempre conosciuta. Soltanto, ferma. Di una fermezza atroce, inconcepibile, ma a suo modo sacra.

Il sole di fine aprile calava e l’aria si fece umida. Le nostre ombre si allungarono piano sul corpo di lei. Restammo, fino al buio, fino a che Algida non fu più cosa distinta dal resto, ma prese parte allo scuro della terra che aveva dintorno. Qualcuno corse a prenderle una coperta, che sennò sente freddo. Gliela posammo sopra a memoria, poi tornammo a guardare. 

Eravamo soli. Intorno a noi soltanto campi e in lontananza le sagome indistinte delle prime case.

Dal casolare si accesero le luci, le sagome dei piccoli si muovevano dentro la cucina. Avevano rimediato pane e formaggio, condito l’insalata raccolta da Pietro poco prima. Al nostro ritorno li avremmo trovato attorno alla tavola già imbandita. 

«E ora?»

Patrizio teneva ancora il manico della scopa, rivolgermi a lui venne cosa naturale.

«Che facciamo?»

«Nulla.»

Si avvicinò, ci guardò tutti. Quando mise una mano sopra la mia spalla, sentii ancora quella di lei. 

«Non facciamo nulla. O ci divideranno.» 

Continua...

Serie: Il secondo bacio


Avete messo Mi Piace12 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Irene, sono passate settimane e sembra che ti ho detto tutto e invece non ti ho ancora detto niente. O meglio, niente di ‘ufficiale’, per quello che conta fra noi.
    Però conta ed è giusto che io esprima anche qui il mio parere.
    Inizialmente pensavo di aver notato una sorta di ‘cambio di registro’ nella tua maniera di scrivere e ci siamo dette che forse, sotto sotto, c’era lo zampino del tuo editor.
    E invece no. Arrivata fino a qui, so che in questa bellissima storia c’è semplicemente Irene, quella che conosco. Con le sue frasi dette a metà, con le rivelazioni che ti spaccano il cuore, con i suoi personaggi eternamente bambini ed eternamente irrisolti. Con la bellezza delle parole che sembrano gettate lì e invece, chi lo sa?
    L’immagine che più mi colpisce in questo episodio è la premura dimostrata dai bambini nel gesto di coprire Algida affinché non prenda freddo. Li ho visti in quell’orto, forse li ho immaginati in bianco e nero, come in una vecchia fotografia. Il potere delle tue parole resta una prerogativa che ti contraddistingue e che ti fa riconoscere fra tanti.
    Trovo giusto che tu ti prenda una pausa da questa storia, nata in un modo e poi continuata in un altro. Spetta alla storia stessa, adesso, dirti cosa vuole fare e in che direzione vuole andare. Un abbraccio.

    1. Carissima Cristiana, sono davvero felice che tu mi abbia ritrovata anche qui, dove inizialmente sembravo nascosta…e invece. Gira che ti rigira, cambia stile o almeno provaci, la Dea che c’è in me alla fine ritorna. Non posso fare a meno di lei e lei dove se ne va, sola soletta, senza di me?
      Credo di star cercando, e spero di trovarlo, il giusto equilibrio e la giusta misura, ma quelle di chi gli equilibri e le misure non sa nemmeno dove stanno di casa e, a conti fatti, degli equilibri e delle mezze misure se ne infischia. (Sembrano parole a vanvera, ma tu mi capisci, io lo so 😊)
      Algida e i suoi bimbetti sono sempre con me. Mi accompagnano, giorno e notte, qualsiasi cosa faccia. Mi seguono al bagno, mi fissano, chiedono cosa c’è per cena. Lavorano nella mia testolina e premono per uscire. Ve lo prometto, torneranno presto. Un abbraccio e grazie per esserci sempre ❤️

  2. Cara Irene, leggendo questo capitolo, che se ho capito bene sarà l’ultimo, mi sono sentita in colpa per non averlo letto dall’inizio, troppo presa come sono da troppe urgenze. Magari non reali, magari dovuti agli anni che corrono. Non voglio perdere i tuoi piccoli, mi leggerò un capitolo al giorno e alla fine ho già capito che ti renderò onore.

    1. Carissima Francesca, che piacere vederti qui. Non devi assolutamente sentirti in colpa! I racconti non scappano, anzi. Questo episodio avrebbe dovuto essere l’ultimo. Scrivendo e ricevendo commenti e consigli positivi, mi sono resa conto che questa serie può trasformarsi in un progetto più ampio. Non so bene come continuerò, ma lo farò. Nel frattempo, puoi recuperare con calma, quando e come vorrai. Un abbraccio. A presto.

  3. “Ma lei era lì. Sotto i nostri occhi, tale e quale per come l’avevamo sempre conosciuta. Soltanto, ferma. Di una fermezza atroce, inconcepibile, ma a suo modo sacra.”
    ❤️ Atroce eppure bellissimo.

  4. Non ci sono parole per descrivere questo capitolo… che dolore!
    Quanto puoi essere abile e sensibile per ricreare quella sensazione di irrealtà, disorientamento, smarrimento e terrore che provano i bambini? Quel negare l’evidenza, non accettare la realtà.
    Hai descritto la morte in modo crudo, senza però mancare di eleganza; come quella coperta che i bambini stendono su Algida per coprirla, altrimenti “sente freddo”.
    Hai fatto arrivare al cuore del lettore tutte le emozioni del caso, proprio come riesce ai bravi scrittori. Non smettere mai! ❤️‍🔥

    1. Ciao Mary! Grazie per queste bellissime parole. Come sempre hai colto elementi chiave, come la coperta e il disorientamento…ho cercato di entrare nel punto di vista dei bambini, sprovvisti degli strumenti per affrontare la morte eppure costretti a fronteggiarla. Ora non so bene come continuerò, ma sicuramente questa storia marita di continuare soprattutto grazie al vostro sostegno! Un abbraccio grande.

  5. Ciao Irene! Come al solito hai saputo creare una montagna russa di emozioni👏🏻 L’incredulità rabbiosa dei ragazzini genera una tensione pazzesca; poi il corpo di Algida con la faccia nella terra: un’immagine capace di rendere lo straniamento che la morte può evocare, soprattutto in dei bambini che si affacciano per la prima volta, increduli, alla fine di un’esistenza.

    1. Grazie Nicholas! Non è stato per nulla facile mettermi dalla parte dei ragazzini e cercare di trasmettere le loro emozioni…una bella sfida. Confesso di aver faticato non poco,ma ha dato i suoi frutti.

  6. Un racconto intenso e doloroso, che cattura con realismo lo smarrimento e l’incredulità di fronte alla morte. Le immagini sono forti e restano addosso, specialmente il silenzio finale attorno a lei, fusa con la terra.

  7. Letto tutto d’un fiato. Ti ho già detto che amo questa storia? Ogni episodio è più bello del precedente. Il biondino col manico della scopa in mano mi ha commosso: sicuramente aveva paura anche lui, ma ha sentito di dover fare l’adulto. Bellissimo.

  8. Oh beh, c’è poco da dire o da scrivere. Mi hai portato in questa casa famiglia, comunità, casa degli esposti… non credo abbia molta importanza l’etichetta per indicare un simile luogo, ma mi hai fatto sentire parte di quella famiglia sgangherata. Mi hai fatto odiare e amare la multinazionale dei gelati e mi fai commuovere per ciò che provano i miei compagnetti, i miei amici di sventura. Devo aggiungere altro? No, sarebbe solo ridondante… L’unica cosa sensata da fare è quella di dirti grazie di cuore. ♥

    1. Grazie a te Emi per questa bellissima lettura ❤️
      Stavo pensando di prendere come sponsor la famosa multinazionale, con tanto di promo in bianco e nero e musichetta commovente…i miei orfanelli ci starebbero benissimo!
      Scherzi a parte,mi fa sempre piacere quando vi suscito emozioni ❤️❤️❤️

  9. Mi hai fatto provare lo sgomento dei bambini. Un fatto tanto grande che attendo con curiosità di sapere come reagiranno o cosa dovranno subire. Quel: “Non facciamo nulla. O ci divideranno.” carica il racconto di pathos tangibile. Bravissima Irene, nel condurre con tanta maestria atmosfere e dialoghi.🌹

    1. Grazie mille Giuseppe. In realtà non so amvora bene come proseguirà, ti confesso che sono curiosa anche io di sapere dove mi porterà la scrittura di questa storia. Grazie per la lettura, a presto!

  10. Ciao Irene, la lettura di questo episodio ti lascia addosso un senso di profondo smarrimento e ti fa entrare in empatia con i bambini.
    La perdita di Algida è raccontata con una delicatezza feroce: la confusione dei ragazzi, il bisogno di negare l’evidenza, i piccoli gesti per proteggersi a vicenda, e poi quella scena finale nell’orto, dove il tempo sembra fermarsi e la terra la accoglie come parte di sé, è impattante.
    Dolore e tenerezza intrecciati in un modo che resta negli occhi a lungo.👏👏👏

    1. Ciao Tiziana, grazie di cuore. Non è stato per nulla facile descrivere queste scene, soprattutto perché sono bambini….il particolare della terra, che si riprende in qualche modo il corpo, mi stava molto a cuore. Grazie per averlo notato ❤️

  11. Ciao Irene. È un momento carico di tensione che sfocia in una conseguenza, una ineludibile svolta della storia e delle vite di chi l’avrà percorsa. Come scrivi, giustamente: c’e sempre un momento. Raccogliendo lo spunto di Concetta, Patrizio si rivela un personaggio di spicco; non credo però il suo sia un cambiamento del carattere, ma piuttosto una emancipazione: occorsa nella circostanza… Sono davvero curioso di vedere cosa s’inventeranno i giovani intrepidi eroi per guadagnare tempo o almeno provarci. Giacché temo che la la morte di Algida non potrà restare nascosta troppo a lungo. Grazie molte per questa nuova emozione

    1. Ciao Paolo, hai avuto un’intuizione esatta: Patrizio agisce per forza di cose, non credo neppure sia completamente consapevole di ciò che sta facendo. Ma sente di doverli fare. Per quanto riguarda la mossa successiva, non so bene neppure io quale sarà…un cadavere nell’orto è un bell’impiccio da sbrogilare, amche quando la storia è di pura invenzione. Credo lascerò fare a questi piccoli eroi, chissà che non mi diano la soluzione migliore…grazie per la tua lettura!

  12. Dopo un mese ecco che ritorna un episodio di questa bellissima serie. E in questi giorni di tranquillità la lettura è ancora più piacevole. Mi piacciono moltissimo i dialoghi, veloci, concitati, da leggere senza prendere fiato. Difficile utilizzare il pensiero di un bambino per spiegare il concetto di morte, e secondo me tu sei riuscita farlo.

    1. Ciao Antonio, hai sottolineato un particolare fondamentale (che poi è il motivo per il quale sono latitata per un mese 😅) …il punto di vista dei bambini. Non è stato affatto semplice mettermi nei loro panni e provare a narrare un qualcosa che risultasse credibile. Spero di avercela fatta😊

    1. Grazie Luisa, soprattutto per la passione con la quale segui questa serie e per il calore che mi stai dimostrando. Per me sono energia pura, il carburante per continuare ❤️

  13. “Avevano rimediato pane e formaggio, condito l’insalata raccolta da Pietro poco prima. Al nostro ritorno li avremmo trovato attorno alla tavola già imbandita. ”
    👏 👏 👏 👏

  14. “Lo avrebbe ripetuto spesso, per l’intera notte e nei giorni a venire, reo confesso di una colpa che forse nemmeno esisteva.” Molto intenso questo passo. Chissà perché, quando muore qualcuno, ci sentiamo sempre un po’ colpevoli: forse è per quelle volte che non abbiamo dato abbastanza? Mi è piaciuta molto, anche, la svolta di carattere di Patrizio: ha paura di dormire da solo, ma è determinato più di un adulto. Molto bello questo racconto. Brava, Irene.👏👏👏

    1. Grazie Concetta. In effetti è proprio vero, quando non diamo abbastanza, quando ci sentiamo impotenti, parte la colpa…e Patrizio a quanto pare è cresciuto tutto in un colpo, per forza di cose. Grazie per il tuo commento!