È morto Alfredo. Detto Freddie.

Squillò il telefono. Francesco con la solita calma rispose. Dall’altra parte una voce triste esordì: “Caro Francesco, come stai? Sono Alberto”.

Alberto era un amico d’infanzia. Francesco non lo sentiva per lunghi periodi ma ogni volta che parlava con lui, nulla sembrava cambiato. Era sempre allegro ed ironico, Alberto.

“Grande Alberto, quanto tempo?”.

“Scusami Fra’ se ci sentiamo poco e purtroppo stavolta non ti chiamo per ridere insieme. È morto Alfredo”.

Francesco rimase in silenzio per un attimo. “Ma chi è Alfredo?” pensò tra sé.

Alberto, avvertito il peso di quel silenzio telefonico, riprese la parola.

“Povero Alfredo, nel pieno della sua giovane età. Quante ne abbiamo passate insieme, ti ricordi?”.

Francesco proprio non aveva idea di chi si parlasse, ma non se la sentiva di svelare le sue mancanze. Lui, proprio di quell’Alfredo, non si ricordava.

“Certo che mi ricordo. Scusami ma sono rimasto senza parole”.

“Dillo a me, mi ha chiamato Alessandro e mi ha detto che domani, alle ore 18:00, ci saranno i suoi funerali. Non mancherà nessuno del vecchio gruppo. Tu verrai?”.

Francesco era ancora perplesso ma certamente si ricordava di Alessandro; giocava spesso a rugby con lui, nei giardini di fronte a casa, quando erano bambini. Alfredo doveva essere quindi uno dei ragazzi che frequentava da bambino nel quartiere, magari quello un po’ timido che stava sempre in disparte, pessimo giocatore di calcio ma eccezionale tiratore di bocce. Si, doveva essere lui. Gli era sempre stato simpatico; da bambini, lo aveva sempre trovato interessante.

“Certo che verrò, povero Alfredo” rispose stavolta con un po’ di commozione Francesco.

Alberto riprese: “Ti ricordi quel ragazzo un po’ timido che stava sempre in disparte, pessimo giocatore di calcio ma eccezionale tiratore di bocce? E’ stato lui, Mattia credo che si chiami, ad informare Alessandro”.

“Mattia! ecco come si chiamava” pensò Francesco. Di Alfredo, però, nessuna traccia.

“E come è successo?” rilanciò Francesco alla ricerca di indizi.

“Lascia stare, è una brutta storia che non riesco neanche a raccontare”.

“Una malattia?”

“No.”

“Un incidente in macchina?”

“No.”

“Era forse entrato in brutti giri? droga, malaffare?”

“No.”

“Non mi dire che si è suicidato? La depressione è terribile.”

“Ma che dici? Non lo avrebbe mai fatto, sai quanto amava la vita; poi dice Mattia che si era sposato da poco; erano tanto felici insieme gli sposini, dicono”.

“Allora com’è successo?”

“Alessandro mi ha parlato di un’indigestione correlata ad una lisca di pesce conficcata nell’esofago! Incredibile a dirsi quanto era ghiotto di spigole.”

Francesco pensò dunque che doveva essere l’amico pescatore, quello che girava sempre in quel modo buffo, con il retino sulle spalle e passava ore sugli scogli di fronte alla spiaggia senza prendere nulla se non pesci immangiabili e, di per sé, moribondi.

“Sai” riprese Alberto, “Antonio andava sempre a pesca con lui.”

“Antonio!, il pescatore era Antonio.” Rimaneva il solito problema: “Chi era Alfredo?”.

Francesco decise che non poteva andare avanti così e ruppe gli indugi: “Albè, mi devi scusare ma forse a causa del tempo che purtroppo è passato così velocemente (pensò per un attimo ai suoi capelli bianchi), io non mi ricordo proprio del caro Alfredo. Mi vergogno un po’, ma proprio non riesco a ricordare. Se poi mi dici, che amava la pesca e andava frequentemente a pescare con Antonio, tutto si fa ancora più oscuro”.

Un silenzio irruppe nella telefonata, per un attimo Francesco pensò che Alberto si fosse offeso, ma poi…

“Ma allora se non lo sai neanche tu chi cavolo è questo Alfredo?” disse ora smagliante Alberto. “E’ la quinta telefonata che ricevo oggi per comunicarmi che è morto Alfredo. Sono tutti tristi e piagnucolosi ma da nessuno sono riuscito ad avere informazioni su questo Alfredo. Ogni volta che chiedo, solo risposte generiche. Neanche Alessandro ha idea di chi possa essere”.

“Aveva figli?”

“Poverini” mi rispondono.

“Era sposato da poco?”

“Amore travagliato” mi dicono.

“Lavorava?”

“Pare avesse un’attività commerciale secondo alcuni, che facesse il parcheggiatore abusivo secondo altri, che fosse emigrato al Sud secondo altri ancora; infine la più plausibile è che fosse diventato un assaggiatore professionista di pesce con lische.”

“Ero convinto che tu lo sapessi chi era; ci dobbiamo essere persi qualcuno della vecchia comitiva.”

Francesco era ora più sollevato. Non aveva avuto un’amnesia. Per un attimo, una parte di lui sembrava persa, il passato superato e cancellato dalle mille cose fatte negli anni e dalle mille vite – così gli sembravano – chiuse e riaperte ma Alberto era una costante, sempre una forza insuperabile. Dalla tristezza al sorriso in un attimo e non finiva di stupire.

“Senti Fra” riprese solenne ” a questo punto io al funerale ci vado! Devo capire chi è questo cavolo di Alfredo. Vieni anche tu che magari ci facciamo due risate”.

“Alberto, porca miseria, sii rispettoso! Non sappiamo chi è ma è pur sempre morto un uomo”. Tuttavia Francesco non riusciva a trattenersi e, contagiato dall’amico, disse: “Va bene, ci vengo ma non mi far fare brutte figure. Vestito scuro, occhiali da sole e per carità non ridere”.

Il giorno dopo, si ritrovarono insieme dopo anni Francesco, Alberto e Alessandro. Tutti vestiti di scuro, occhiali da sole, sguardo triste e aria da funerale; non si erano fatti mancare nulla, neanche un cuscino di crisantemi con, in bella vista, un nastro con l’accorata dedica: “Alfredo, non ci dimenticheremo mai di te! I tuoi vecchi amici”.

Per la strada era tutto un pellegrinaggio verso il Teatro Comunale, perché pare che Alfredo non fosse credente ed i parenti avevano provveduto ad organizzare lì l’ultimo saluto.

“Quante persone” disse Francesco. Ed effettivamente erano moltissime. C’era la fila per accedere in sala. Al di fuori della struttura campeggiavano dei cartelloni, come quelli che si usano al cinema, con la sola scritta, viola e in diagonale, “è morto Alfredo”. All’interno, il sipario era aperto e il feretro privo di ornamenti era al centro del palco, già chiuso. Non una foto del defunto.

“Però, una foto questi parenti potevano pure metterla! Capisco chiudere la bara, ma almeno una foto. E ora come lo riconosciamo?” Disse scocciato Alberto.

Pare tuttavia che fossero previsti dei saluti da parte degli amici più stretti e le persone prendevano posto nella sala dopo aver gettato qualche offerta nel cestino posto all’ingresso ove si leggeva un cartello, evidentemente predisposto dalle pompe funebri: “Non fiori, ma opere di bene”.

I tre amici si sedettero aspettando il decorso degli eventi. C’erano mille volti noti ma forse sconosciuti in quella sala; era gremita fino all’inverosimile. Non una parola fuori posto, i partecipanti parlavano a voce bassa ed era tutto un dire: “Come era bravo Alfredo! Che gran lavoratore Alfredo! Che gentilezza Alfredo! Che cittadino modello! Tanto di cappello ad Alfredo! Ha costruito tanto Alfredo! Trattava la cosa pubblica come la sua, Alfredo!”

Improvvisamente, le luci si abbassarono; il faro di scena puntò la propria luce diretta sul feretro.

“Che bell’effetto!” disse Francesco rivolto agli amici. Era innegabilmente un bell’effetto, a tratti commovente.

Fu allora che successe l’inverosimile. Dalle quinte venne fuori quel ragazzo timido che stava sempre in disparte, pessimo giocatore di calcio ma eccezionale tiratore di bocce ma era vestito di paillettes color oro e fucsia e pattinava per tutto il palco non lesinando figure acrobatiche e piroette sulla musica di Freddie Mercury.

I tre amici, in uno con tutti i presenti della sala, all’unisono dissero: “Mattia?”. Ancora la cosa non era chiara.

Dopo trenta secondi di esibizione la musica sfumò e Mattia prese la parola: “Benvenuti a tutti e grazie per essere accorsi così numerosi al mio spettacolo di pattinaggio e musica in tre atti dal titolo «è morto Alfredo!» Sciarada musicale sulla note di cantanti prematuramente scomparsi. È incredibile che siate tutti qui così numerosi solo grazie al passaparola telefonico. Le offerte saranno devolute alla «Fondazione nazionale di chirurgia esofago gastrica»; come sapete, mi hanno in passato salvato la vita evitando che una lisca mi trafiggesse l’esofago. E ora auguro a tutti un buono spettacolo!”

Francesco non credeva ai suoi occhi. Lo spettacolo andò avanti per due ore e mezzo; nessuno ebbe il coraggio di dire nulla.

All’uscita, però, piangevano tutti.

Non avevano mai visto uno spettacolo più brutto di quello. 

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Discussioni

  1. Ciao Davide, ho letto il tuo racconto sulla rivista letteraria e ho deciso di passare a lasciarti un commento. Bella storia, divertente e spiazzante al punto giusto. Il mistero e la simpatia dei personaggi mi hanno coinvolta e tenuta incollata dalla prima all’ultima parola. Alla prossima 🙂

  2. Buona leggibilità si legge senza fatica. La trama sostiene bene il soggetto. Il soggetto è, da solo, l’ 80% del racconto. Il pensato non andrebbe virgolettato (piuttosto il corsivo) se no sembra che parli. Il tempo imperfetto provoca squilibrio, meglio usare il presente gestito dai personaggi in terza persona, così il lettore si identifica meglio nel personaggio che gli aggrada di più.

  3. Ciao Davide, un racconto che sotto l’umorismo nasconde un retrogusto amaro. A volte risultiamo invisibili agli altri. Mi è piaciuto il finale, una sorta di “riscatto” ingegnato da Mattia per tutti i “fantasmi” la cui vita scivola dimenticata dai più.

  4. ““Alessandro mi ha parlato di un’indigestione correlata ad una lisca di pesce conficcata nell’esofago! Incredibile a dirsi quanto era ghiotto di spigole.”” Questo passaggio mi è piaciuto, m ha fatto ridere ?