
Finta borghesia
Serie: Nel nome del padre
- Episodio 1: Finta borghesia
- Episodio 2: Lamento
STAGIONE 1
Io poi sono morta cadendo da cavallo e questo ha messo fine alla questione.
Al momento, comunque, sono ricoverata in una elegante casa di cura, una villetta in stile floreale o liberty che dir si voglia: edificata ai margini della fascia pedemontana lombarda, è circondata da pascoli e boschi di latifoglie, rosseggianti nell’azzurro di un ottobre che sa d’estate.
Il regno del professor Luca Vignali: psichiatra, esteta, scacchista, apprezzato gourmet e noto tombeur des femmes. Marito di una sorella di mio padre – bellezza felliniana di pelle candida e labbra vermiglie, lei – e quindi, a me, zio.
Rampollo della ricca borghesia meneghina, precoce frequentatore di spiagge esotiche e fumetti americani, si esprime con le calde tonalità di Marlon Brando e il lessico paranoico di Paperino. Squeack. Sbam. Gulp. Slurp. Basta poco per guadagnare la fiducia dei cognati e la confidenza di una nipote.
Nella famiglia di mio padre si prestava poca attenzione a bambini e bambine di famiglia, a meno che non fossero dotati di significativa bellezza: in questo caso si prendeva atto del loro valore come merce di scambio e li/le si utilizzava.
Bionde, flessuose, sguardo da granduchesse, ammalianti nell’incedere e nel canto: merce per grandi matrimoni o, alla peggio, per eterne passioni tanto segrete quanto redditizie. Merce di scambio, femmine e maschi, senza differenza.
Nel nostro caso, intendo la coppia da cui fui generata, galeotta fu la futura Signora Vignali, compagna di liceo di una brunetta sorridente e timida ereditiera che, in odore di santità, si stava coltivando per il giardino di Gesù. Ovvero, voleva farsi suora. Che spreco!
Detto, fatto. In quattro e quattr’otto.
Il giovane ingegnere, fratello biondo, fu presentato alla bruna santarellina e tutto si svolse come da progetto. Fruttifera fu la prima notte e in nove mesi il mio patrimonio genetico diede origine a una bambocciona che al momento del parto avrebbe squartato la sua piccola e fragile madre, se tutti i cattedratici che le stavano intorno non avessero rapidamente predisposto un intervento risolutivo. Io, sia detto per inciso, ancora sogno una volta all’anno di volere dolorosamente uscire da un camino che rimane ostinatamente chiuso.
Tagliamo corto: a una famiglia così composta la vita avrebbe anche potuto arridere, se solo le condizioni di base non fossero mutate, e invece tutto passa e tutto si trasforma e le fortune sfumano e il fascino si attenua. Chissà come, chissà perché, la cosa mi coinvolge.
Io di certo non capisco cosa sta accadendo, devono trascorrere anni perché me ne renda conto: l’eccessiva freddezza di mia madre, l’eccessivo calore di mio padre.
L’eccessivo bisogno di un certo tipo di uomo. Quanti chilometri dovrò mettere, tra me e loro, per smettere di ricordare, per smettere di sognare, per dimenticare.
E loro come se niente fosse: vivono la loro vita, si separano, invecchiano.
Io ho paura. Ho sempre dieci anni, è sempre la stessa notte, non c’è mai stato un uomo a cui sia stata capace di dire:«No!».
Per tutti mia madre è una santa ma bene o male adesso sono arrivata a capire che io i santi non li sopporto e glielo vado a dire: di domenica, appeso al dito un vassoietto di paste e la voce che vorrebbe tremare ma resiste.
Si parla del più e del meno, la domanda gliela sbatto in faccia all’improvviso: ho fretta, non vorrei che arrivasse gente, com’è d’uso, in questa provincia.
«Tu lo sapevi cosa faceva il papà quando veniva in camera a salutarmi, la sera?»
Mi guarda con gli occhi imbottiti di nicotina: non c’è più niente di leggiadro, in questa donna.
Sostituire un uomo allo sposo divino presenta molteplici inconvenienti. Si tende, come dire, a idealizzare lo Sposo.
Chiaramente, la sua risposta è un si.
«E non hai detto niente? Non hai fatto niente?»
«Luca aveva detto che bisognava lasciarlo fare.»
Naturalmente. Lo zio Luca, naturalmente. C’è chi sostiene che di psichiatri fosse piena Dachau.
Lo zio Luca interviene, non è la prima volta: lei lo chiama, lui arriva e mi porta via. Qualche giorno, qualche mese e poi esco. Questa volta no.
Questa volta sono morta, cadendo da cavallo, e tutti sono più tranquilli.
Luca, mi dicono, continua a mietere successi.
Serie: Nel nome del padre
- Episodio 1: Finta borghesia
- Episodio 2: Lamento
Un inizio serie con un linguaggio di grande ricercatezza ed eleganza. Il piano introspettivo è avvolgente, non lascia scampo né aria. Diventa una tonalità e insieme una sorta di totalità, dove costruisci e impianti un universo interiore che si districa tra ricordi, sogni, riverberi, dimenticanze in una singolare convalescenza dello spirito delle origini, spiccatamente sensibile a ogni vibrazione o ultrasuono del resoconto. Avvolgente e profondo nel suo taglio netto, inesorabile.
Grazie Luigi: apprezzo tutto quello che hai scritto, e ti ringrazio. Mi fa felice l’uso dell’aggettivo ‘inesorabile’.
“Mi guarda con gli occhi imbottiti di nicotina: non c’è più niente di leggiadro, in questa donna. “
Il tuo stile mi fa pensare a quando ero piccolo e chiedevo la mano a qualcuno perché avevo paura di andare dove dovevo andare… Allo stesso modo, fai tu con le parole. Mi prendi per mano e mi porti dove io non vorrei mai andare! Grazie!!! Bravissima!!!
Scusa Alberto, ho visto che non ti ho risposto e ringraziato. Me ne vergogno, per educazione ma soprattutto perché hai colto un punto fondamentale: quello che voglio è proprio portare chi legge dove non vorrebbe andare. Così, egoisticamente, posso sperare di liberarmene io.
“Io poi sono morta cadendo da cavallo e questo ha messo fine alla questione.”
L’attacco di questo racconto è bellissimo! Così come avvincente l’intera storia!!! Complimenti veri!!! 👏👏👏
Ciao Francesca, ho la sensazione che il tuo stile si trasformi e si adatti molto bene in base al tipo di narrazione. Sempre, in tutti i casi, uno stile originale e raffinato. In questo episodio ho notato un tono leggero, un ritmo che dá brio e crea un contrasto interessante con il senso amaro del racconto, prima sottinteso e poi svelato. Andrò subito al secondo episodio.
Grazie cara, hai colto perfettamente. Certe tragedie vanno raccontate danzando.
Francesca hai uno stile sorprendente, tieni davvero il lettore incollato al monitor. Vado al secondo episodio.
Grazie, grazie, grazie.
” si esprime con le calde tonalità di Marlon Brando e il lessico paranoico di Paperino. Squeack. Sbam. Gulp. Slurp”
Mi ha fatto ridere 😂
Mi piace come hai scritto un ritratto feroce di una famiglia borghese e delle sue dinamiche disfunzionali. Esplori l’intreccio tra amore, potere e abuso con un’onestà brutale, sfidando il lettore a confrontarsi con l’indicibile. Il risultato è un testo che lascia il segno e costringe a riflettere, anche a costo di un forte disagio emotivo. Bello davvero
Grazie Rocco: la via dove abita quella famiglia non è il Vicolo della Felicità.
Wow! Che scrittura! Ho amato l’ampiezza del vocabolario e lo stile, ricco ma non ampolloso. Sei riuscita a presentare benissimo questa famiglia con pochi dettagli scelti alla perfezione👌
Sani, Anastasia😊. Grazie per la tua lettura. In cambio una confessione: mi commuovo sempre quando vedo il tuo nome perché dall’età di 11 a quella di 15 anni sonoi stata invaghita di un Andrich di Vallada. Lui naturalmente non ne sapeva nulla. E con ciò confermo ciò che si dice degli scrittori, che sono degli esibizionisti.
Che bella confessione🤗 è proprio vero che i primi amori non si scordano mai. Sono contenta che tu abbia un bel ricordo di Vallada.
Di persona mi sarei limitato a un applauso silenzioso, ma qui, non posso che rispondere scrivendo 👏
Grazie mille Giuseppe.
Francesca! 😻
Sono entusiasta di questo nuovo inizio: ti ho conosciuta leggendo i racconti sull’Eritrea e di persone appartenenti a quei mondi (che ho adorato), ora cambi completamente tema, luoghi e personaggi!
È un inizio carico, non c’è che dire, e non vedo l’ora di leggere ancora, ancora e ancora per scendere nelle profondità di questa nuova gente. 😸
Grazie mille Mary. Sta continuando anche l’Eritrea ma in incognito com’è regola per i libri che dovranno vedere la luce. Anch’io ho adorato quei racconti, questi nuovi sono molto piu difficili da scrivere.
Eccomi qui, immersa in uno stile retrò che adoro, fatto di pizzi, merletti e palazzi con balconi che assomigliano a terrazze su cui stendere i panni o prendere il sole. Una storia di famiglia, di quelle che mi piacciono perché sembrano la mia. Gente strana, strana gente. Un po’ per tutti i gusti. E poi ci siamo noi, i bambini, cui non pensano perché non abbiamo alcun valore se non l’esatto contrario, o almeno fino a quando diventiamo ‘produttivi’. Una storia di abusi, forse, ma scritta con il ricamo su quelle tele bianche che assomigliano alle lenzuola che si asciugano al sole. Bentornata Francesca.
Grazie Cristiana, le tue parole danzano come merletti stesi al sole😍
Una storia narrata con uno stile d’altri tempi, ma più che mai attuale.
Il finale è molto potente e le immagini che evoca sono assolutamente vivide.
Davvero bello!
Grazie Giuseppe per il tuo giudizio e la tua costante presenza.
La musica delle feste e il silenzio dell’incensto…..
Una casa luminosa e allegra sepolta in un silenzio fitto……
Un male che si consuma quotidianamente in una famiglia felice e perfetta.
Una vittima ferita tre volte: dalla fragilità della propria infanzia, dal trauma che l’accompagna per tutta la vita, dalla violenza perpretata in un ambiente intimo, quello che dovrebbe essere il nido protetto.
Esplori con grande maestria la discrepanza tra un mondo familiare apparentemente tranquillo, che scorre come un lungo fiume, il male consumato quotidianamente dal patriarca, e la passività della madre che guarda con occhi velati l’infanzia lentamente assassinata.
Un racconto che scoperchia i rigidi tombini della borghesia e mostra l’Alcheronte dell’inconscio: incesto, perversione…….
Ogni parola che esce dalla tua penna è un sussurro che esplode come un urlo nella nostra anima……….
Brava, brava, brava…..
Mi rendi davvero orgogliosa con il tuo giudizio, così analitico e così appassionato: non so se ne sono degna ma te ne sono molto molto grata.
Ne sei più che degna…..anzi, non abbandonare questi personaggi così delineati e vivi….con loro puoi dare vita a un grande romanzo, a una grande saga…..puoi farli vivere, amare e soffrire.
Puoi, con la potenza della tua penna, affrontare temi importanti e scomodi…..puoi far scorrere dolore, amore, morte, incesto, dignità, speranza e rassegnazione nelle tue pagine asciutte, schiette e incisive con la delicata forza delle tue parole…..
Non sai quanto il mio grazie sia sincero! Li ho da anni, questi personaggi, ma fino a che non sono arrivata tra voi non sono venuti fuori. Ora ci provo.
Questo racconto è lo specchio di una cultura ed intelligenza sopraffina, complimenti.
Il mio specchio fiammeggia, per quanto sono arrossita!
L’ho letto stamattina, appena sveglio, e ho fatto male. Stavo per commentare sulla condizione delle donne, sull’usanza di nascondere le persone scomode in manicomio, di farle apparire pazze quando pazze decisamente non erano. Sulla condizione delle figlie e delle nipoti. Ma mi sono trattenuto, perché volevo commentare sul racconto e non sul suo argomento.
Allora l’ho riletto tre volte, e MI ha fatto male. Perché la qualità della tua scrittura, il tuo stile, sono una lama affilata, che taglia la pelle e fa entrare il veleno più in profondità, dove fa più male, appunto.
E poi ho capito. Che il veleno è un vaccino, che non si muore né ci si ammala, e invece si impara a vedere il male dove ce n’è tanto e anche dove si nasconde in mezzo alla finta normalità.
Complimenti.
Grazie per la lama che mi hai regalato. Immagine cui non ho fatto cenno, tanto importante è.
E per le tue letture fin dall’ inizio, fin dai miei primi giorni in Open.
Il dramma non arriva improvviso, ed è questo il bello della storia. Fin dal titolo si annuncia qualcosa di distorto e tra le righe del racconto la considerazione della donna a livello di merce si palesa. Nonostante l’argomento la narrazione scorre con calma, il racconto si assapora lentamente.
Grazie Francesco, perché mi leggi e perché mi scrivi. L’avverbio lentamente è quello che forse più mi gratifica, considerata la fatica che faccio spesso nella ricerca di non affastellare contenuti.
Ipnotico, con un inizio che confonde e sembra più la continuazione di una storia. A ogni nuova frase mi è sembrato di trattenere un po’ il respiro e devo aver pensato “wow” varie volte.
Tantissimi complimenti!!
Come infatti è, inserita in quella famiglia. Grazie per la tua acutezza e la tua lettura.
Più che un racconto sembra una vivisezione.. le frasi taglienti come bisturi.. e il sangue trattenuto dalla vergogna, perché a volte la vita è così impietosa! Il tutto sul filo di una narrazione tesa e lucida.. complimenti
Grazie Furio: come ho scritto a Dea, il vostro giudizio su questo racconto è molto importante.
Che ritorno Francesca, che bomba!
Avrei voluto sottolineare l’intero racconto, aprire un commento per ogni spunto e rimando, ma sarebbe stato ancora poco…tra tutto, mi si sono impresse le pastarelle appese al dito, unica etichetta rimasta a smascherare i panni sporchi, ahimè, sempre lavati in famiglia, e a scapito degli innocenti. Fossi io il signore della foto, scenderei dalla cattedra a farti un inchino 😊
Prima lettura del mattino, con un poca di ansia perché i vostri giudizi sono molto importanti per me. Grazie Dea per la franchezza, la spontaneità e l’eleganza di ciò che scrivi. Grazie davvero.