
Gli esploratori della fossa delle Marianne
«Ricordami quanto siamo in profondità, qua sotto».
«Circa undicimila metri, Enrico».
«No, di preciso».
«Diecimilanovecentoventi metri». Il collega non parve offeso da quell’insistenza.
«Capisco». Enrico intrecciò le dita dietro la nuca poi cercò di rilassarsi, ma era un po’ difficile al ricordarsi quante tonnellate di acqua c’erano sopra di lui.
Il sottomarino continuò a muoversi nelle profondità della fossa delle Marianne, allora Michele manovrò i bracci meccanici e rovistò fra la sabbia e le rocce, i fasci di luce gli erano di aiuto.
«Ah, ecco». Enrico vide che poco lontano c’era il sottomarino con a bordo Rachele.
«Quando torniamo in superficie glielo chiederai?». Michele si distrasse un attimo.
«Sì, le farò la proposta. Non vedo l’ora…».
«Hai paura?».
«Che dica di no? Che sia umiliante? Che… che… Sì, ho molta paura, ma è più l’emozione. Non vorrei mai che tutto si rovini per una stupidaggine».
«Ma dai, la conosci da anni».
«Certo. Solo che non si finisce mai di conoscere una persona. E se è cambiata? E se finora l’ho conosciuta in superficie?».
«Non ti preoccupare. Sai cosa penso?».
«Non lo so. Dimmelo».
«Che…». Ma poi Michele si interruppe: qualcosa era brillato, sia nei suoi occhi che nei fondali marini.
Avidità.
Cristalli preziosi.
Enrico vide le due cose in quella successione e anche lui si crogiolò al pensiero di fare un diadema con i cristalli preziosi che aveva davanti per Rachele. Se non altro, si sarebbe arricchito.
«Avverto gli altri». Enrico si mise alla radio. «Trieste due, qua Trieste uno, abbiamo trovato i cristalli preziosi».
«Trieste due, ricevuto. Ci avviciniamo» giunse la voce di Rachele.
I bracci meccanici incominciarono a prendere i cristalli preziosi: li strappavano dal fondale, poi li gettavano nelle sacche. A Enrico venne in mente zio Paperone nel Klondike.
«Oh, e quello?». Michele orientò i fasci di luce in quella direzione.
«Non so cosa sia». Enrico cercò di guardare meglio, e vide delle chele, degli occhi, delle zampette mostruose e corazze grosse quanto automobili.
Dei granchi mostruosi!
«Scappiamo» urlò Enrico.
«No!». Michele non era d’accordo. «Devo prendere altri cristalli…».
I granchi li assalirono e dopo che alcune chele ebbero picchiato sullo scafo del Trieste uno, lì dentro ci furono scintille poi Michele batté la testa e si rovesciò in terra esanime.
Enrico corse ai comandi e manovrò il sottomarino. Si allontanò da quell’orda di chele minacciose.
Tirò un sospiro di sollievo, ma con orrore vide che i granchi avevano catturato il Trieste due e pensò subito a lei. «Rachele, no!».
Enrico intervenne. Con il sottomarino si gettò addosso ai granchi e a uno lo schiacciò sotto il peso del battello, gli altri si divincolarono e presero a picchiare le chele sullo scafo del Trieste uno dentro il quale ci furono nuove scintille.
Il Trieste due riuscì a scappare e Enrico volle sentire la voce di Rachele. Raggiunse la radio e la chiamò.
«Sono salva, grazie a te».
«Benissimo».
Poi, Enrico si accorse con orrore che andando alla radio aveva abbandonato i comandi del battello e questo stava dirigendosi verso una roccia.
Corse ai comandi per sistemare la rotta, ma fu troppo tardi: il sottomarino picchiò contro la roccia e con nuove scintille ci furono delle crepe da cui entrò l’acqua, poi il sottomarino iniziò a essere stritolato.
Con le lacrime agli occhi, Enrico contattò via radio Rachele. «Ti amo…».
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi
L’avidità fa brutti scherzi, ma alla fine è prevalso il sentimento
Già! Grazie per il tuo commento =)
Che storia struggente! povero Enrico
Già! Grazie del tuo commento