I resti di un amore
Serie: Uomini
- Episodio 1: 1. La Zona Grigia
- Episodio 2: 2. L’uomo che non piange mai
- Episodio 3: Di ciò che resta
- Episodio 4: Venerdì
- Episodio 5: Goodbye Stranger
- Episodio 6: La crisalide
- Episodio 7: I miei difetti mi servono
- Episodio 8: Quell’anno prima
- Episodio 9: Il pollo ruspante
- Episodio 10: Spaccherò il mondo
- Episodio 1: I resti di un amore
STAGIONE 1
STAGIONE 2
Non tornavo in quella casa da due mesi. Il giorno dopo saremmo andati dal notaio, e avevo detto che sarei passato solo per prendere le mie cose, ma in realtà volevo capire se fosse rimasto qualcosa di me, se quell’aria immobile avesse ancora la mia impronta. La chiave girò nella serratura con un suono secco, quasi infastidito, e appena entrai sentii l’odore del detersivo mescolato al silenzio: era l’odore di una cancellazione. Lei era stata brava, metodica. Nessuna foto, nessuna tazza, nemmeno quel poster stropicciato che odiava e che avevo appeso nel corridoio. Solo muri bianchi, lucidi come un referto medico.
Camminai piano, come se stessi entrando in un luogo sacro. O forse in una scena del crimine. Forse entrambe le cose. La finestra del soggiorno era aperta e il vento muoveva le tende leggere che avevamo comprato a una svendita: lei le amava, io le trovavo inutili. Ora oscillavano come fantasmi. Mi sedetti sul divano, lo stesso su cui avevamo fatto l’amore, litigato, dormito; lo stesso su cui, forse, aveva baciato lui. Non servivano prove: le storie finiscono molto prima di quando ce ne accorgiamo, e la differenza sta solo nel fatto che uno dei due resta a fissare la crepa finché non crolla tutto.
Non odiavo lei. Odiavo la parte di me che non aveva voluto vedere: le sere in cui rientrava distratta, le risposte corte, le carezze che non atterravano più da nessuna parte. I segnali erano tutti lì, come briciole che portavano a un altro letto. Presi la giacca che avevo lasciato appesa all’ingresso e, nella tasca, trovai un vecchio biglietto della metropolitana con la data dell’ultimo giorno insieme. Lo rigirai tra le dita: non valeva più niente, come me.
In cucina, il rubinetto perdeva ancora, ostinato. Quel tic-tic regolare mi entrava nel cervello come un metronomo di tortura. Aprii il frigorifero: vuoto, tranne una bottiglia d’acqua mezza piena e un barattolo di senape scaduto. Mi venne da ridere. Quando se ne va, una persona non porta via solo sé stessa: porta via la gravità, e tutto il resto rimane a galleggiare, inutile. Appoggiato al lavandino, mi accesi una sigaretta. Lei diceva che il fumo le dava nausea. Adesso potevo riempire la casa quanto volevo. Mi chiesi se fosse con lui, in quel momento, se rideva come faceva con me all’inizio. Poi capii che non volevo davvero saperlo: la curiosità è solo una forma di autolesionismo.
Attraversai il corridoio. Ogni passo scricchiolava, e sulle pareti si vedevano ancora i segni dei chiodi che avevano sorretto le nostre fotografie. Aveva tolto le cornici, ma non le impronte. Nemmeno lei poteva cancellare tutto. Entrai nella camera da letto: il letto era nudo. Mi fermai sulla soglia, come se oltre ci fosse un confine che non potevo più attraversare. Immaginai lui lì dentro, le sue mani, la sua voce. Non provai rabbia, solo un senso di estraneità, come se fossi un intruso nella mia stessa vita. Mi sedetti sul bordo del materasso, e sul comodino trovai un libro lasciato aperto: L’amore ai tempi del colera. Ironico. Lei non lo aveva mai finito. Io, invece, avevo capito da tempo che la mia parte nel romanzo era chiusa, e che la sua storia aveva già trovato un altro capitolo.
Fuori cominciò a piovere. La pioggia tamburellava sui vetri, precisa, come se volesse ricordarmi che tutto scorre. Presi una scatola e ci misi dentro poche cose: una camicia dimenticata, due libri miei, una fotografia di quando ancora sorridevamo. Era tutto ciò che restava di tre anni. Pensai che forse il tradimento non era stato quel corpo accanto al suo, ma la distanza che lo aveva preceduto: le settimane in cui parlavamo di niente, le risate forzate, gli abbracci tiepidi. Forse il vero addio era cominciato allora, e io non avevo avuto il coraggio di leggerlo.
Chiusi la scatola e la portai verso la porta. Prima di uscire, mi voltai: non per nostalgia, ma per vedere quanto spazio può lasciare una persona quando se ne va. Era molto. Un tuono scosse l’aria. Mi accesi un’altra sigaretta e pensai che, alla fine, la dignità non è stare in piedi: è non chiedere più spiegazioni. Quando uscii, la pioggia era diventata sottile, quasi gentile. Mi parve che lavasse via l’odore della casa, della paura, del passato. Camminai fino alla macchina. Nel sedile accanto, la scatola ballava con le curve. Dentro c’erano i resti di un amore. Fuori, tutto il resto.
Serie: Uomini
- Episodio 1: I resti di un amore
I tuoi racconti hanno sempre qualcosa di unico, anche quando descrivi situazioni normali della nostra vita, come gli amori che finiscono, piú spesso di quanto non si veda o non si riesca a mettere, nella testa, la parola fine.
“In cucina, il rubinetto perdeva ancora, ostinato. Quel tic-tic regolare mi entrava nel cervello come un metronomo di tortura.”
Mi ricorda “Scene da un matrimonio” di Bergman.
“Non odiavo lei. Odiavo la parte di me che non aveva voluto vedere: le sere in cui rientrava distratta, le risposte corte, le carezze che non atterravano più da nessuna parte.”
👏 👏 👏
Ciao Rocco, un’altra storia che lascia il segno.
“Non servivano prove: le storie finiscono molto prima di quando ce ne accorgiamo, e la differenza sta solo nel fatto che uno dei due resta a fissare la crepa finché non crolla tutto.”
Questo passaggio e da incorniciare👏
Mi piace molto questo episodio. Ha un buon ritmo narrativo. Mi sembra un monologo interiore maturo con una buona dose di auto analisi del personaggio. È ben alternato con riflesioni, dettagli sensoriali e le metafore che usi sono eccellenti, tipo “Porta via la gravità”. Ho fatto bene a seguiti.
Grazie Gianluca per aver letto e commentato. Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto.
Mi chiamo Gabriele 🤣
Ops!
Ritmo cadenzato e concentrico funzionale al velo di nostalgica tristezza che ammanta la narrazione
Grazie Gabriele.
Mi è molto piaciuto, bene!
Grazie
Io credo che sia uno stile che si adatta bene in particolari parti della narrazione, magari dove lasci presagire un qualcosa o appena prima di un colpo di scena. Non cambierei stile, anche perché il tuo è davvero peculiare e lo padroneggia molto bene. Potrebbe essere un’alternanza fra le frasi sincopate e momenti narrativi più estesi. Altro effetto, ad esempio, si potrebbe ottenere mantenendo frasi brevi o brevissime, ma in continuazione, ossia senza portare il testo a capo.
Poi, è assolutamente chiaro il fatto che ciascuno di noi debba scrivere nella sua zona di conforto. Perché scrivere significa stare bene e quando si ottiene quel risultato, non si ha più bisogno di nulla.
Ciao ho modificato il testo. Mi dici cosa ne pensi?
“Fuori, tutto il resto.” Questa frase suggerisce che quel “resto” sia una nuova vita da affrontare. Se sarà bella o no dipende da quanto aperta resterà la scatola che il protagonista ha portato con sé. Bravo, Rocco!
Ciao Rocco e ben tornato. Trovo che il tuo racconto si regga su uno stile intimo e riflessivo, ben calibrato tra descrizione e introspezione. Il tema della fine di una relazione viene affrontato con profondità emotiva e la narrazione è scandita da immagini potenti alternate a dettagli ordinari che, nel contesto, diventano metafore della vita di coppia quando la noia e l’indifferenza sostituiscono l’amore. Mi è piaciuta la citazione del testo di Garcia Marquez che chiude con ‘per tutta la vita’ e, forse, si accompagna alla vicenda del tuo protagonista per quell’ostinazione a volersi portare via nella scatola qualcosa che possa confermare la memoria di una storia che non c’è più. Una mancanza di rassegnazione?
Per quanto riguarda lo stile, l’uso delle frasi brevi e talvolta troncate crea certamente un ritmo spezzato, quasi sincopato, buono per accompagnare lo stato emotivo del protagonista. Tuttavia, in alcuni passaggi, a mio avviso, questo stile rischia di non accompagnare pienamente la narrazione, perché interrompe la fluidità e forza un tono poco organico. Penso che le frasi brevi funzionino bene quando creano tensione o sottolineano un momento, ma se usate sistematicamente, possono dare una sensazione di forzatura o di “frasi ad effetto”, soprattutto quando il contenuto è già forte di suo. Naturalmente, si tratta di gusto personale di una lettrice, nulla di più 🙂
Grazie Cristiana per aver commentato. In effetti anche a me il suono delle frasi così frammentate lasciava perplesso, ma trattandosi di un esercizio di stile ho volutamente lasciato il testo come l’ho scritto in origine per avere un feedback dai lettori. Il tuo commento mi dice che devo valutare se proseguire con questo stile. Grazie ancora