
Il battito della città nuova
Serie: Di ombre e luce
- Episodio 1: Prologo
- Episodio 2: Premonizioni
- Episodio 3: L’addio a Milano
- Episodio 4: Dall’Europa all’America
- Episodio 5: Anahí, tra sogni e tradizione
- Episodio 6: Una bambina sotto la luna
- Episodio 7: Dove finisce il mare
- Episodio 8: Straniero tra fratelli
- Episodio 9: Quando il vento cambia
- Episodio 10: Il battito della città nuova
STAGIONE 1
Pietro trascorse il pomeriggio osservando gli operai lavorare. La giornata era soleggiata, ma fredda. Il vecchio sonnecchiava accanto a lui sulla panchina, stretto nel cappotto.
Quando la sirena del cambio turno suonò, Franco ricomparve tra i binari con la camicia fradicia di sudore e il passo affaticato. Teneva la giacca appoggiata sulla spalla e un mozzicone di sigaretta tra le labbra. Si avvicinò, rivestendosi lentamente e imprecando per un dolore al braccio.
Poi, sputò il mozzicone.
«Andiamo, milanés. Il tuo amico stanotte dovrebbe dormire a La Boca. Se abbiamo fortuna, lo troviamo prima che faccia buio.»
Il vecchio sbuffò.
«Quė no caminemos tan de prisa, che le ginocchia mi gridano». E si aggrappò a Pietro.
I tre si incamminarono. Il giorno scivolava via lungo i muri scrostati, le finestre aperte, i cortili affollati. Passarono accanto a carretti che vendevano empanadas, a bambini che si rincorrevano. Il cielo si faceva violaceo, umido del respiro del Riachuelo.

«Questo posto è più vivo di quanto mi aspettassi» disse Pietro.
«Qui si sopravvive come si può» rispose Franco e continuò comprensivo: «So come ti senti. Sono arrivato anch’io molti anni fa. Non è facile all’inizio, ma vedrai che fra qualche giorno andrà meglio.»
«Com’è vivere qui?» chiese il ragazzo, sinceramente curioso.
«Duro» rispose l’altro senza esitare. «Ma almeno c’è lavoro e anche speranza.»
Camminavano piano, Pietro in mezzo ai due uomini. Ogni tanto qualcuno li salutava.
Franco si voltò e fece un cenno. «Ce l’hai sempre con te?»
Il ragazzo sorrise. «Mia madre me l’ha messa in mano il giorno della partenza. Mi ha detto: non conosci Diego, ma lui saprà riconoscerti.»
L’uomo lo guardò per un istante, col volto improvvisamente serio. «Speriamo che in lui ci sia ancora abbastanza per ricordare.»
***
Il dormitorio era un edificio basso, nel cuore del barrio. Una lampada tremolante sopra la porta gettava ombre gialle sui gradini, dove alcuni uomini sedevano in silenzio. Altri, andavano e venivano, stanchi e sporchi.
Dall’interno saliva un vociare continuo: italiano, spagnolo, ungherese, voci rauche, canti, qualche risata ubriaca. Il suono di una chitarra.
«Eccoci» disse Franco. «Questo è il posto. Entra tu. Noi aspettiamo qui.»
Il vecchio scrollò le spalle. «Ni en pedo. Entro anche io. Quiero ver la cara del tano.»
Pietro salì i gradini con il cuore che batteva forte.

Dentro, la stanza era lunga, stretta, sovraffollata. Brande in ferro, catini colmi d’acqua, panni bagnati su corde fissate ai muri con i chiodi.
«Por el olor parece un criadero de perros viejos» borbottò il vecchio.
«Callate, brujo» ribattè prontamente Franco.
Pietro avanzò a fatica fra i corpi stesi.
Chiese a un giovane dalla pelle scura: «Por favor, busco a Diego Cattaneo.»
Quello fece un cenno del mento. «Allá al fondo.»
Il penultimo letto era occupato da un uomo robusto, sulla cinquantina, intento a piegare una camicia.
«Scusi… Sei tu Diego?»
L’uomo alzò gli occhi, scrutandolo da capo a piedi.
«¿Quién sos vos?»
«Mi chiamo Pietro» rispose con la voce che gli tremava. «Vengo da Milano. Tua cugina… Olga è mia madre.»
Il volto dell’uomo si irrigidì.
«Ho fatto un lunghissimo viaggio dall’Italia per arrivare fino a qui. Mia madre mi ha dato questa. E’ per te.»
Diego prese la lettera. Le dita ruvide si muovevano con cautela mentre apriva la busta. Lesse piano. Righe brevi. Quando ebbe finito, alzò lo sguardo.
«Olga, non la sentivo da anni. Pensavo fosse morta. E invece mi manda un figlio.»
Si avvicinò a Pietro e gli mise una mano sulla spalla.
«Vieni, stai tranquillo. Sei arrivato.»
Poi lo tirò a sé e lo abbracciò con forza, come se volesse tenerselo stretto, non lasciarlo più. Pietro chiuse gli occhi e finalmente pianse.
«Non ti ho trovato ieri. Ho avuto paura» mormorò tra le lacrime.
«Mi dispiace. Questo non è un posto facile da trovare.» Diego si sciolse dall’abbraccio. «Ora sei qui. Vieni, ti sistemo un letto vicino al mio.»
Gli indicò uno spazio vuoto.
«E’ tutto quello che posso offrirti. Non è molto, ma sarà casa tua finché non troverai la tua strada.»
«Grazie» rispose Pietro, la voce ancora rotta dall’emozione.
«Olga mi scrive che sei qui per lavorare. Bene. Ho tanti amici nelle ferrovie. Domani ti ci porto. Adesso sistema le tue cose e poi vieni con me.»
Pietro si sedette sul letto, i muscoli dolenti e il cuore finalmente più leggero. «Non so come ringraziarti.»
Diego lo guardò e sorrise. «Siamo parenti, ragazzo. Nessun bisogno di ringraziamenti.»
Poi, si rivolse a Franco, che, in disparte aveva osservato la scena.
«Vi porto a bere una birra. Dobbiamo festeggiare!»
Franco rise. «Solo se paghi tu.»
«Pago io» disse Diego. «Ma guai se mi fate compagnia da sobri ¡Vamos, abuelo!»
Uscirono nel crepuscolo di Buenos Aires. Uomini stanchi e diversi, legati da qualcosa di più forte del sangue.
Quella sera, sotto una luce fioca e con in mano un bicchiere freddo, Pietro capì che forse quella terra poteva davvero diventare casa.
***
Milano, 10 agosto 1921
Caro Diego,
non so da dove cominciare. Sono passati così tanti anni che scriverti mi sembra come parlare a un fantasma della mia infanzia. E invece sei lì, dall’altra parte del mare, in una città che posso solo immaginare.
È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho avuto tue notizie e adesso ti scrivo per una ragione che mi stringe il cuore. Ho bisogno del tuo aiuto.
Ti mando mio figlio Pietro. È il mio ragazzo, l’unico che ho. È serio, educato, abituato al lavoro. È sempre stato pieno di idee, di coraggio, di giustizia. E questo, in tempi come i nostri, non gli ha portato fortuna. L’Italia sta cambiando e adesso, ho paura per lui.
Sei l’unico a cui posso affidarlo. Lui non voleva partire. Diceva che ce la saremmo cavata. Ma ho insistito. Gli ho detto: vai da Diego, lui ti accoglierà.
Non vi siete mai conosciuti, ma siete parenti. E in questi tempi incerti, la famiglia è tutto quello che ci resta. Non ha niente, solo questa lettera e una valigia. Ma ha le mani buone e il cuore sincero. Ha bisogno di un tetto, di una possibilità. Guardalo come se fossi io a bussare alla tua porta. Fidati di lui. È giovane ma ha la testa sulle spalle.
Con lui ti mando anche un pezzo del mio cuore. Abbine cura.
Non ho altro da offrirti che la mia gratitudine,
tua cugina Olga
Serie: Di ombre e luce
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Ok, buttare lì, a fine episodio, così a sorpresa, la lettera di Olga è stata un colpo basso. L’ho letta con gli occhi di Diego, l’ho ascoltata col cuore di Diego. Ho sentito la voce di Olga, anche se non la conosco, anche se non esiste, perchè esistono cento, mille Olga.
Ho proprio voluto immaginare la voce di quelle ‘mille Olga’ e magari sentire la mia, se fosse la mia storia. Grazie Sergio.
Che sollievo! Concordo con @Dea , per un attimo ho temuto addirittura che quell’uomo non fosse Diego o che, per qualche ragione, avrebbe respinto Pietro! Finalmente ha trovato l’uomo che cercava, ha un tetto sopra la testa, un probabile posto di lavoro e dei conoscenti con cui bersi una birra. Sì, potrebbe aver trovato una seconda casa.
Sin dai primi episodi mi sono domandata cosa ci fosse scritto in quella lettera: non sono rimasta affatto delusa dalle parole di Olga, una madre che ha dovuto lasciar andare suo figlio per proteggerlo, che a primo impatto potrebbe sembrare una contraddizione, ma in realtà è un coraggioso gesto d’amore.
Mi auguro che Diego abbia cura di Pietro e, di conseguenza, di sua cugina Olga.
Ciao Mary 🙂
Non volevo che le parole della lettera fossero eclatanti. Volevo semplicemente che apparissero come vere. Pietro ha trovato una nuova casa, ma è uno spirito inquieto e, come tale, non soffre le gabbie. Vedremo… Grazie
wow Cris.. esto es una maravilla.. quedo con ganas de seguir leyendo.. soy un privilegiado y estoy completamente fascinado con tu forma de contar esta historia.. imaginar esto en una película es tan fácil.. haces que todo sea tan claro, los lugares, los acontecimientos.. las emociones.. es fantástico.. todo los comentarios aquí, son maravillosos tambien.. tienen una sensibilidad que logro notar en su manera de describir lo que han leído.. habra q juntar paciencia y esperar los próximos capítulos y ver que pasa, como se desenvuelven Pietro y la bella Anahí.. dos grandes personas, destinadas a fusionarse en los misterios de la vida..
GRACIAS!!!!
Creo que la persona realmente privilegiada soy yo. Yo soy la persona a la que estás contando esa historia, la que se ocupa de escribirla y que trata hacerlo de la manera mejor. Imaginar todo esto hacerse película es un sueño para mi. Miles de veces gracias 🫂
In tutto il brano, salvo miei errori, ci sono solo tre riferimenti cromatici (il cielo violaceo, le ombre gialle, la pelle scura). Insomma, è una sequenza in bianco e nero. E mi pare una scelta coerente, molto.
È vero. Una sequenza paricamente in bianco e nero. Un mondo fatto di polvere, fatica, lavoro e sudore. Un mondo che, all’epoca, era prettamente maschile. Ho voluto che il mondo di Anahi avesse i colori della foresta, mentre quello di Pietro avesse i colori della nostalgia. Grazie per la lettura e per il commento interessante
Questo episodio credo dimostri non solo la tua bravura come autrice che continua ad affinare il suo stile, ma anche, come ha già scritto Furio, la tua grande sensibilità umana. Mi chiedevo se la lettera fosse in parte autentica, oppure inventata del tutto. Ho già trovato la risposta leggendo i commenti. Nel testo della lettera ho percepito qualcosa di tuo, unito alla capacità di calarti nella figura di madre dell’epoca, che rende la lettera credibile.
Ciao Maria Luisa. La lettera, in effetti, l’ho immaginata io, più o me come vorrei scriverla se capitasse a noi. Sembra tanto distante, ma lo sarà davvero?
Io desidero ringraziarti di cuore perché è proprio con quello che tu leggi le mie storie 🫂
Brava Cristiana.. serve una grande sensibilità per raccontare una storia come questa.. bisogna entrare nell’anima dei personaggi.. e non è così facile.. ecco, però aspetto con curiosità “l’altro” incontro…
Grazie caro Furio e, in effetti, non è semplicissimo seguire il filo di questa storia, cucire tutto e stare attenta che rispecchi la realtà di quanto accaduto. Per quanto riguarda l’incontro, bisognerà aspettare ancora un po’. I due protagonisti hanno bisogno di camminare ancora prima di conoscersi esattamente come erano al momento dell’incontro.
C’è stato un attimo in cui ho temuto che Pietro venisse rifiutato, o non riconosciuto dal cugino. Forse perché hai usato l’espressione “il volto dell’uomo si irrigidi” ed io l’ho intesa, non so bene perche, come un segno negativo. Questo ha reso la scena successiva ancora più intensa e carica di significato. Il pianto è stata una liberazione e una vera sorpresa. Pietro è stato bravissimo a partire, fare il suo dovere, ambientarsi in terra straniera, dissimulare. Ci ha ingannati, nel senso buono. Lo credevamo sul pezzo, pronto a tutto, e in un certo senso lo era
Ma era anche spaventato a morte e per sopravvivere l9 ha nascosto non soltanto a noi ma ancje a se stesso. Per tutto il tempo ha vissuto in apnea, soffocando la nostalgia di casa, il bisogno disperato di trovare qualcuno da poter chiamare famiglia. Aveva bisogno di crollare e finalmente lo ha fatto. Quante volte è successo anche a noi? Sono i pianti migliori, quelli in cui ti dici che è stata dura, ma finalmente tutto è finito. E ora inizia la sua nuova vita oltreoceano.
Ps. Ho usato l’espressione “Pietro è stato bravo…” ma anche e soprattutto tu, Cristiana, sei stata bravissima nel raccontarcelo ❤️
Pietro ha cercato di ‘fare il duro’ fino a quando ha potuto. Ha cercato di fare finta di avere tutto sotto controllo. Forse lo doveva a sua madre (un cliché, ma non troppo) o forse a se stesso. Quell’abbraccio liberatorio se lo meritava. E hai ragione tu quando sottolinei il fatto che si tratta di un bisogno, di una necessità che abbiamo tutti noi ‘duri’, vero? 🙂
Adesso comincia finalmente a sentirsi a casa, una seconda opportunità e deve rimboccarsi le maniche e ricominciare. È molto giovane e dovrà ancora sbagliare tante volte fino ad approdare al suo ‘porto sicuro’. Sembra che abbia fatto molta strada, ma ha davanti a sé un cammino ancora lungo da percorrere. E io al fianco ad arrancare! Vediamo come va. Grazie Irene, sempre.
E mi commuovo. Ricordare il dolore dei nostri emigranti, la lontananza da casa e dai parenti e la speranza di migliorare le proprie condizioni… sembrano cose di un altro mondo e invece sono solo pochi anni fa. Anche oggi si emigra, noi con gli aerei, passando da un benessere a un altro, molti altri rischiando la vita su barconi malsicuri per arrivare qui, speranzosi, ma, sempre più spesso, insultati e segregati quasi ci rubassero il pane di bocca. La ruota gira ma la memoria è corta.🌹
Grazie Giuseppe e ti confesso che anche io mi commuovo quando penso a questa storia che, nella sua unicità, si fa universale. Una storia come tantissime, trasversale nel tempo e nei luoghi. Una storia che si ripete. E, come dici bene tu, ‘la ruota gira me la memoria è corta’. Ti confesso una cosa. A Pietro ho dato il volto di mio figlio Michele. Mi serviva per pensare che proprio lì ci potremmo essere noi. Senza risate e senza sconti.
Per diversi episodi ho avuto il timore che non riuscisse a incontrarlo. Emozionante, coinvolgente. Quanto empatizzo con le lacrime di Pietro. È la scena che preferisco di tutto il brano! Come sempre la narrazione ha il dono di accompagnarci in un viaggio fatto di emozioni e scoperte. Mi sembra, sempre che il finale arrivi troppo in fretta. Bravaaaaa 👏👏👏
Io credo che, in effetti, il nostro Pietro avesse da tempo tanto bisogno di piangere. Ho voluto che fosse un pianto liberatorio e felice perché, in fin dei conti, chi lo dice che le cose debbano sempre e per forza andare male? Spesso, invece, la vita aggiusta le cose, soprattutto se si è determinati e fiduciosi. Mi sembrava il modo migliore per concludere la serie. Grazie infinite Tiziana per essere arrivata fino a qui.
Come concludere… Non c’è la seconda stagione?
No, no. Certo! Intendevo la prima serie. Ce n’è ancora per molto, spero non per troppo 🙂
Veramente bello, Cristiana!
Grazie Kenji, sei sempre molto gentile.
Anche io ho avuto paura per Pietro, l’incontro con Diego e l’abbraccio con cui l’ha accolto sono stati un sollievo.
Sempre molto vivide le tue descrizioni e toccante e vera la lettera di Olga. Bravissima Cristiana!
Grazie Melania. Sulla lettera ci sono stata parecchio sopra perché non volevo che fosse ‘stucchevole’. Mi sono messa nei panni di una donna d’inizio secolo scorso, discretamente acculturata. Sicuramente presa da molte cose, troppe, per cadere in smancerie. Comunque, sempre una mamma. Ringrazio anche te per la bellissima compagnia che mi hai fatto durante la prima serie.
“Franco ricomparve tra i binari con la camicia fradicia di sudore e il passo affaticato. Teneva la giacca appoggiata sulla spalla e un mozzicone di sigaretta tra le labbra. Si avvicinò, rivestendosi lentamente e imprecando per un dolore al braccio.”
Adoro ❤️ 👏
Grazie marco e ammetto di avere anche io un debole per Franco 🙂
Avresti dovuto vedermi quando provavo a pronunciare a voce alta tutte le frasi in spagnolo 😅🙈 Comunque, scemenze a parte, un episodio davvero toccante. La mia scena preferita: l’abbraccio tra Pietro e Diego ❤️
Grazie Arianna.Stamattina ho tribulato un po’ con la pubblicazione e penso che tu abbia letto la versione senza la lettera finale. Se ti va, mi piacerebbe che tu dessi un’occhiata. Grazie 🙂
Sì, è vero! La leggo subito
Grazie 🙂
Hai fatto bene ad aggiungere la lettera ❤️ “Ti mando mio figlio Pietro. È il mio ragazzo, l’unico che ho”: qui si percepisce tutto l’amore e la preoccupazione di una mamma per il suo unico figlio.
La lettera mi sembrava la giusta chiusura della serie 🙂