Il lato oscuro e il lato giusto di Dio

Serie: Genio sovraumano


Il mattino seguente Jerry, il galletto di Nicaor, suonò la sveglia. Era quel galletto che scandiva le sue giornate. Avere un galletto al posto dell’orologio per tenere il tempo faceva tutta la differenza del mondo. Jerry cantava al mattino per annunciare il giorno incipiente e poi stranamente, replicava sul finire della sera per chiuderlo, doveva essere stato calibrato male. L’alternanza ticchettata del passaggio delle ore non lo riguardava più; per lui il tempo era composto di due sole fasi: il giorno, momento del lavoro e dello svago e la notte momento della riflessione e della lettura.

Aveva preso l’abitudine di leggere molto, ma poi si era stancato un po’: quei testi in slavo che gli procurava Sinisa non lo soddisfavano appieno. Trovava troppo complessa la sintassi, inoltre la prosa eccessivamente cruda e un po’ spigolosa, così lontana dalle soavi declinazioni di quella spagnola a cui era abituato; in compenso aveva imparato a filosofeggiare: una giornata senza ore è una giornata troppo lunga da riempiere di sole azioni e dunque diventa importante riempirla con i pensieri.

Non si può dire che nella sua prima vita Nicaor fosse stato un uomo di concetto, non perché fosse stupido, piuttosto perché era stato sempre troppo preso dalle urgenze del movimento; nella grande metropoli chi si fermava era perduto, ma lì, nella beata solitudine di quei luoghi, aveva trovato il tempo da dedicare all’esplorazione della mente ed ancor più importante alla contemplazione della natura.

Così aveva imparato ad osservarne il decorso ed aveva capito quanto importanti e quanto imponenti fossero i suoi processi. Non sentiva mai il fastidio della noia perché ormai sapeva occupare il suo tempo; ad esempio fissando un ragno mentre tesseva la tela e stupendosi ogni volta di come una semplice ragnatela, che prima poteva considerare banale ed inutile – solo una retina che ti si appiccica in faccia quando ci passi attraverso o tra le mani quando la tocchi – fosse invece il prodotto sofisticato di una sorta di ingegneria ancestrale; così indugiava sulla perfezione e sulla consistenza di quell’intreccio setoso e rifletteva.

Si può paragonare la tela del ragno ad un buco nero. Infatti, allo stesso modo in cui il buco nero trattiene un corpo celeste impedendone qualsiasi fuga verso l’esterno, la ragnatela è in grado di costringere nell’intrigo dei suoi filati ogni piccola forma di vita. La ragnatela è di fatto il buco nero in natura. A ben vedere non appartiene al filone del bene in quanto non crea ma distrugge, appartiene piuttosto al filone del male, al lato oscuro di Dio, perché a quello che entra non è dato proseguire e nemmeno rigenerarsi in altre forme e quello che entra, o deperisce rimanendovi intrappolato, o viene inghiottito dal ragno, che prosperando darà vita ad altri ragni e di conseguenza ad altre ragnatele.

Se dunque si poteva considerare il ragno una creatura del male, questo non si poteva dire per l’ape. Nicaor dopo averla osservata a lungo, era arrivato alla conclusione che l’ape fosse la sublime rappresentazione del bene. La sua osservazione era partita dall’alveare: esso rasenta la perfezione architettonica ed organizzativa di certi allestimenti umani, ma mentre questi sono spesso dettati da dinamiche distruttive, mere emanazioni del maligno, l’alveare è invece espressione pura della perpetrazione della vita e dunque del bene. Nulla e nessuno nell’alveare è teso alla distruzione di qualcosa, ma ogni elemento che lo compone vale a rigenerare se stesso ed anche ciò che sta fuori da sè. Tutto inizia dall’ape regina che depone le uova nelle celle: dalla cella esce l’ape che posandosi sul fiore lo impollina fecondandolo, ma trattenendo per se il nettare lo deposita nell’alveare, dove le api operaie lo fanno fermentare ricavandone il miele di cui tutto l’alveare si nutre. Proprio il miele è la sostanza più dolce in natura e siccome ciò che è dolce è buono e ciò che è buono è bene, l’ape non può che appartenere al lato giusto di Dio.

– Vieni caro facciamo un giro, ti faccio vedere cosa c’è qui dentro – disse Nicaor rivolgendosi al ragazzo ed indicandogli la sagoma del “relitto”.

– Quando tuo padre mi ha accompagnato qui la prima volta mi ha raccontato delle cose veramente interessanti su questo monastero.

– Per certi versi è un posto pieno di nostalgia e di mistero, vieni a vedere tu stesso.

Benché il monastero, posto sul vertice estremo di un’altura dirupata, fosse ben visibile dal mare, non lo era per niente dalla città. Chiunque avesse voluto visitarlo, rimanendo impossibile accedervi dal mare, avrebbe dovuto aggirare la fitta boscaglia che lo circondava dal basso della valle e percorrere un crinale scosceso, sottile e zeppo di sterpaglie. Molti decenni di abbandono lo avevano reso di fatto impraticabile ai più, restituendolo alla vegetazione che pian piano se ne era riappropriata.

Si raccontava che fossero stati addirittura i Saraceni ad edificarlo per utilizzarlo come postazione di vedetta e solo in seguito occupato da un ordine claustrale ed adattato alle esigenze del culto.

Dejan riconobbe subito la facciata della chiesa in cui si era imbattuto la notte precedente e si ricordò di quel rosone sotto la cuspide che, nella suggestione di quei momenti, gli era sembrato molto minaccioso, quasi volesse inghiottirlo. I primi bagliori del sole le conferivano un aspetto più consono a quello che doveva essere e con ciò, assecondando l’invito di Nicaor, volle entrarvi.

La chiesetta sconsacrata di San Doimo era stata intitolata al Santo patrono di Split: il vescovo Domnio, martirizzato dall’imperatore Diocleziano poiché reo di aver evangelizzato la regione Dalmata e per quanto le sue spoglie terrene fossero tumulate nella cattedrale di Split, si tramandava che alcune reliquie appartenute al Santo, fossero state invece conservate per lungo tempo proprio a San Doimo e poi misteriosamente trafugate.

Era una piccola chiesa a navata centrale con due colonnati laterali che delimitavano un’angusta corsia perimetrale. In realtà degli antichi fasti conservava ben poco, ma si notavano i rimasugli di pareti finemente affrescate con rappresentazioni di Santi protettori e Madonne e ancora soffitti alti e scoscesi tipici di un’architettura goticizzante, che facevano sempre un certo effetto agli occhi del visitatore occasionale.

Dejan fu colpito in particolare dall’altare a pagoda che spiccava al centro in corrispondenza dell’abside. Era di un tipo che non aveva mai visto nelle chiese giù in città e pareva come un corpo estraneo precipitato da chissà dove. Non c’entrava molto con il resto dell’architettura, ma proprio per questo lo trovava molto interessante; nella sua concezione iconoclasta doveva essere un perfetto elemento di rottura.

Aveva sempre odiato le chiese e invero ogni forma di allestimento religioso. Credeva in Dio ma, nella dimensione panteistica del Dio che permea di se tutto il creato, non trovava il bisogno di cercarlo in un luogo circoscritto al culto e per questo aveva sempre trovato quelle basiliche fin troppo tetre e quelle immagini di sacre rappresentazioni un po’ spettrali. Essendo la parte giusta di Dio gioia ricolma di vita, gli era sembrato sempre più appropriato riconoscerlo in un prato fiorito o nell’azzurro intenso del mare che si incontra navigando al largo.

Serie: Genio sovraumano


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Discussioni

  1. Da questa lettura è possibile trarre molti spunti di riflessione. Sono d’accordissimo sulla spettralità di chiese e cattedrali (il cui aspetto deriva dalla una precisa scelta architettonica: quella di evocare scenari infernali e indurre i fedeli ad essere dei “timorosi di dio”). Sulla ragnatela ho colto la metafora, anche se quel povero diavolo del ragnetto dovrà pur procurarsi il cibo in qualche modo. Le api invece sono davvero un’organizzazione e uno stile di vita armonico; sono certamente il lato giusto della natura e delle cose in generale.

  2. Ciao Isabella, sul contrasto delle categorie di bene/male, luce/oscurità, giustizia/ingiustizia si regge l’intera serie. Anche nei precedenti episodi potrai trovare dei riferimenti al riguardo. Una tua opinione è sempre gradita.

  3. Molto bella questa immagine del lato giusto e del lato oscuro. Mi hai fatto riflettere su come a volte una sofisticata perfezione (come quella della ragnatela) risieda però nelle sue finalità e intenzioni nel lato oscuro. Ben scritto e ricco di contenuti.