Il poeta Ermete

Serie: Cyberfobia - capitolo 1


“Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

E’ il mio cuore

il paese più straziato”.

A conti fatti, tutti ebbero paura della fine.

Dei pochi rimasti, in molti hanno avuto paura dell’inizio.

Dopo quella che verrà ricordata come “L’Ultima Guerra”, la specie umana si è spaventosamente avvicinata all’estinzione, anzi si può dire che più che avvicinarsi al concetto di questa, tutta l’umanità le sia invece corsa incontro, facendo di tutto per poterla raggiungere negli ultimi cent’anni.

Non dispongo di dati ed informazioni esatte, ma una cosa la so per certa: siamo sopravvissuti solo noi che siamo riusciti a rifugiarci nei bunker giusti senza nemmeno sapere che lo fossero, mossi solo ed esclusivamente dall’unico desiderio di voler continuare a sopravvivere e chissà, magari un giorno di tornare a vedere un’alba o un tramonto.

O forse – mi sono ritrovato a pensare, il motivo è ancor più semplice della speranza di sopravvivenza: forse, siamo solo abituati a non accettare la morte e siamo tutti corsi alla ricerca di un rifugio, come orde di formiche che corrono lontane dal formicaio in fiamme.

Tuttavia, siamo rimasti nascosti a lungo come talpe sottoterra, in attesa di poter rivivere la nostra umanità.

Quel giorno tanto temuto ed agognato, infine, arrivò.

Molti sopravvissuti del mio bunker, terrorizzati da ciò che avrebbero potuto trovare al loro ritorno sul suolo, non hanno atteso oltre per squarciarsi le vene in verticale ed altri – dopo aver ascoltato l’annuncio rimbombare a ridosso di ognuna delle pareti metalliche di ritorno alla vita a cielo aperto programmata per la seguente alba, hanno tenuto gli occhi aperti per tutta la notte, senza chiudere le palpebre, colti da una strana euforia che solo i sopravvissuti possono comprendere: c’era chi aveva ricominciato a parlare con i propri spettri, supplicandoli di non abbandonarli perché presto si sarebbero potuti rivedere e chi continuava a tapparsi le orecchie mentre saliva le scale che portano alla superficie, come a volersi tutelare da immaginarie esplosioni.

C’era un vociare di un piccolo gruppo di giovani sulle scale, che si confortavano a vicenda, piangendo gli uni sulle spalle degli altri perché a loro detta, avrebbero trovato una distesa infinita di cadaveri, un tipo di orrore di cui anche i pazzi ed i sadici avrebbero paura di raccontare.

Invece, io ho deciso di rimanere in silenzio, senza fiatare: d’altronde, che senso ha avere paura dell’inevitabile?

Ho sempre pensato inoltre, che nulla oltre il terrore per l’Ultima Guerra avrebbe più fatto ribaltare su sé stesse le mie viscere per la paura.

Invece, ho commesso un enorme errore.

Ciò che ho trovato sul suolo è stato un terribile silenzio.

Nulla si muove, tutto ciò che mi sta intorno mi da la sensazione di essere perfettamente immobile.

Un bambino direbbe che la Terra stia giocando a nascondino per quanto bene si sia nascosta ogni forma di vita, ogni traccia del breve ma intenso cammino dell’uomo sul pianeta.

Non c’è vita e non c’è morte.

Non ci sono vittorie né sconfitte.

La fine è un silenzio assordante.

L’inizio è fermo e spaventoso.

Nella mia mente, però, ancora qualcosa aleggia: si tratta di poesie, di riflessioni, di frammenti di vita, di racconti e di emozioni sbriciolate e fatte a pezzi dall’ultima bomba nucleare caduta brutalmente al di sopra di questo invincibile pianeta.

Sarà un onore per me, farmi carico tramite l’ultima radio esistente, modestamente da me assemblata, spargere il seme della cultura, ripartire da zero con voi.

Qui è il vostro Ermete che medita e vi scruta. Da un luogo sconosciuto, in un tempo indefinito.

Serie: Cyberfobia - capitolo 1


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