La biglia nascosta

Molti bambini, da queste parti sono cresciuti con l’idea che, ingoiando i semi dell’anguria, una pianta gli sarebbe cresciuta nello stomaco.

Alan non ascoltava.

Da piccolo, aveva ingoiato così tanti pezzi di LEGO che alla fine il suo intestino si era arreso.

Quando sua madre se n’è accorta, lui stava già costruendo qualcosa dentro di sé.

Da allora ha sviluppato una tolleranza.

«Oggi voglio solo involucri di Bic» se ne usciva. Come se il problema fosse che il giorno prima aveva esagerato con i tappi di bottiglia.

Per Alan, il rischio era un chiodo che gli scivolava in gola. Per noi altri, è il motivo per cui siamo ancora vivi.

Da bambini, la morte è un sussurro. Inciampi, con gli adulti dietro, che ti impediscono di finire sotto. Non siamo vivi per scelta. Siamo vivi nostro malgrado.

E le piante di anguria nello stomaco? Una favola, come tutte le altre. Per insegnarci che certe cose non vanno ingoiate.

Alan non credeva alle favole.

Quando gli chiedevano come facesse il suo corpo a reggere, scrollava le spalle. Non si era mai posto il problema.

Sua madre non c’era. O meglio, c’era, ma troppo occupata a ingoiare pillole per badare a cosa ingoiasse suo figlio.

E Alan ingoiava.

A cinque anni, braccia di bambole. A dieci, la carta delle gomme. A quindici, un accendino intero.

Diceva sempre che il corpo si abitua. Dagli plastica e la trasformerà in carne.

Mentre noi eravamo lì a calcolare il rischio, Alan era già un plasticofago a tempo pieno.

Quando noi masticavamo cibo sicuro, lui ingoiava biglie.

«Com’è stata la prima biglia?» gli chiesi.

«Speciale» disse. «Perché nessun altro voleva farlo.»

Le cose proibite sono le uniche che valeva la pena ingoiare.

«Com’è stato?» chiesi poi.

Mi offrì una sacca piena di biglie.

«Vuoi provare?»

Alan le portava sempre con sé. Mentre gli altri si affogavano con alcol e droghe, Alan ingoiava sfere.

E la sua merda? Uguale alla nostra.

Nessuno sapeva come facesse. Nessuno sapeva cosa succedeva là dentro. I suoi succhi gastrici si erano adattati. Il suo microbioma era un plotone di esecuzione.

Nella nostra moralità, non c’era posto per le biglie. Per Alan, giusto o sbagliato, era solo un altro oggetto da ingoiare. Il suo stomaco faceva il lavoro prima che il cervello avesse il tempo di pensare.

«Ci dicono di non ingoiare certe cose, solo perché nessuno sa cosa succede dopo.»

Alan l’ha scoperto, lasciando che il suo corpo imparasse da solo. La sua pagofagia era solo un sistema che smetteva di farsi domande.

Agitava il suo sacco di biglie come una busta di patatine.

«Allora? La vuoi si o no?»

Mi sarei impiantato semi di anguria nel culo, piuttosto che credere che foglie e radici mi sarebbero spuntate dal naso. Accettai l’offerta.

Ingoiai quella sfera di vetro, così com’era, e prima che potessi sentire il suo peso sullo stomaco, Alan fece una pausa.

«Ho anche una caramella se vuoi» disse poi.

«Quale?» chiesi, senza pensare.

Poi allungò la mano, un sorriso strano sulle labbra. Tra le dita, il pulsante “Esc” staccato dalla tastiera del computer.

«Vuoi?»

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