
La burocrazia della tristezza
Davide fece un passo in avanti. La fila era lenta, però non aveva potuto scegliere di meglio, o compilava il modulo, oppure non gli avrebbero permesso di respirare l’ossigeno, almeno una versione accettabile.
Passo dopo passo, la fila si ridusse di lunghezza scandita dalla voce dell’unico impiegato allo sportello che diceva: «Il prossimo», «Il prossimo», «Il prossimo».
Da dove Davide si trovava allo sportello, non che la fila si fosse sfoltita, dietro di lui c’era molta altra gente, sembrava che tutti, all’improvviso, avessero bisogno di respirare.
Quando fu il turno di Davide, lui si avvicinò a quell’impiegato, un tipo con gli occhiali, ordinato fino alla noia, un po’ ottuso:
«Dica» lo accolse l’impiegato, prima che Davide lo potesse salutare. Allora Davide si schiarì la voce:
«Sono venuto per compilare il modulo. Quello per respirare».
«Ah, sì». Fece un sorriso irritante. «Ho bisogno della carta d’identità».
Davide gliela porse e l’impiegato ci mise alcuni minuti a trascrivere i dati, poi chiese ancora:
«Il codice fiscale».
Davide glielo consegnò.
E dopo: «Patente», «Attestato che dimostra qual è il suo gruppo sanguigno», «Attestato che ha compiuto il servizio militare», «Attestato che è un essere umano», «Attestato che non è diversamente abile».
Davide aveva tutto, aveva gettato via tre giorni di ferie per ottenere la documentazione.
«Attestato che possiede due polmoni».
Davide rimase di sasso. «Ma io…».
«Qual è il problema?». L’impiegato stava per arrabbiarsi.
«Non ce l’ho» balbettò, e quella reazione patetica gli sfuggì suo malgrado.
«Ah, ma lei crede che io sia qui a giocare? Ho dedicato venti minuti a lei, c’è gente che aspetta, e non ha l’attestato più importante».
«Non sapevo servisse».
«Eppure è scritto nel vademecum» squillò.
«Non l’ho visto» si giustificò Davide. Voleva sprofondare.
«Si è sbagliato, è chiaro. Nel vademecum, guardi, è scritto qua».
«Sarà una scritta spessa cinque millimetri, è minuscola, non l’ho notata» continuò Davide.
«Grave errore da parte sua. E io, idiota che le ho dato ascolto».
«Per favore, facciamo che gli ho portato questo attestato e continuiamo a compilare il modulo».
«No» esclamò. «Cosa ne so io se magari mente. Può darsi che lei abbia un solo polmone funzionante… o che sia deforme e ne ha più di due».
«Ma lo vede, sono sano, non ho nulla di anormale, è evidente che io ho due polmoni».
«Che lei li abbia» sottolineò.
«Avanti, non sono venuto a prenderla in giro».
«Mio caro signore, in base al regolamento ministeriale vidimato dal sottosegretario e tenendo conto del decreto legge che è diventato legge da un mese, che non va a contrastare il precedente decreto legge ma, anzi, lo rafforza, lei ha torto marcio. Torni con l’attestato che possiede due polmoni in regola e sarò felice di aiutarla».
«Per favore…».
«Il prossimo».
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao! Kafkiano direi..mi sembra di sentire la fatica di un respiro che tarda ad arrivare.. con o senza polmoni.
Grazie per il tuo commento!
Distopico e ironico al punto giusto, credo che tu abbia avuto una bella intuizione. Mi avrebbe fatto piacere rimanere all’interno di questa scena ancora un po’, sarebbe bello se espandessi maggiormente il racconto. O se prendessi a schiaffi l’impiegato 🫠
Ciao! Preferisco sempre essere breve. Grazie del tuo commento
Un racconto breve, ma che dice tanto. La prima parte potrebbe essere un po’ più scorrevole, ma dal dialogo con l’impiegato è ben costruito. Bravo!
Grazie mille! 🙂
Questa storia è la metafora perfetta della realtà. Ironico e diretto. 👏👏
Grazie mille
Della serie “soffocante burocrazia”. Senza una marea di scartoffie non si potrà più neppure respirare. Vero.
Grazie per il tuo commento!
Un racconto davvero amaro con quel ‘certificato’ che ti dà diritto a respirare che diventa quasi una metafora della vita. Belli i dialoghi. A mio parere, molto ben riuscito.
Ti ringrazio, Cristiana!