
LA DIVA
Serie: LA DIVA
- Episodio 1: LA DIVA
- Episodio 2: LA RAGAZZA MADREPERLA
- Episodio 3: IL RAGAZZO SVIZZERO
- Episodio 4: TORNARE
STAGIONE 1
Il suo vero nome era scritto ovunque, ma per tutti lei era sempre stata la diva. SarĆ stata la bizzarria nel vestire, lo strambo modo di vivere. Il modo in cui non cāentrava nulla con il resto della famiglia, con noi.
Portava il nostro stesso cognome, ma come per gli ideali o le politiche sbagliate lo sibilavamo a bassa voce, scansandoci.
Ā«Oh, la ziaā¦Ā» Ad esserne costretti sƬ, la chiamavamo, ma come si chiamano gli estranei. Ā«Non la conosciamo, quasiĀ» calcavamo la dose. Ā«E non la vediamo maiĀ».
Di lei sapevamo poco o niente. Non si era mai sposata e non aveva mai avuto figli. Viveva sola, di chissĆ quale rendita, in un enorme appartamento di un palazzone a due passi dal centro, tra il Castello e lo Strehler. Cāerano la guardiola, il portiere che smistava la posta, due ficus allāingresso e la moquette rossa. Mancava lāascensore. Toccava salire le scale, come a casa dei nonni o dentro le canzoni di de AndrĆ©.
Nessuno sapeva come fosse finita lƬ, lei che per tutta la vita a parte spassarsela non aveva lavorato mai. Mia madre parlava di vincite al gioco, misteriose ereditĆ . Mio padre invece tirava in ballo passioni e tresche da soap opera con un paio di facoltosi avvocati, facendo tanto di gesti eloquenti e nomi. Nella sua versione dei fatti la diva ne era stata lāamante per anni e, dietro il ricatto di vuotare il sacco con le rispettive mogli, era riuscita a farsi regalare e intestare ogni bendidio. Ma questa era soltanto una tra le mille leggende.
Quando, finito il liceo, era venuta a sapere che avrei frequentato il Politecnico, si era proposta di ospitarmi.
Ā«La vita da pendolare stancaĀ» aveva chiosato in vivavoce. Ā«E poi, la provincia⦠per i giovani non cāĆØ tristezza più grandeĀ».
Mia sorella sghignazzava. Io, nello stupore generale, le avevo creduto, ritrovandomi a implorare papĆ , mamma, vi prego, posso, per presentarmi a Milano la settimana seguente con una valigia di libri, una di vestiti e una terza zeppa di conserve e pentole.
«La diva non cucina» aveva sentenziato mia madre. «Ti serviranno.»
Era venuta ad aprirmi al terzo squillo. Portava una vestaglia in ciniglia arancione, stola bianca di strass e guanti uguali. Calcata in testa una cuffia da doccia in plastica a fiori. Imbarazzata, māero scusata per il disturbo. Che quello non era il momento sbagliato, ma il suo modo esatto di stare al mondo, lo avrei scoperto poi.
Senza darmi il tempo di disfare le valigie mi aveva invitata fuori, sul balcone. Si era versata un bicchierino di Strega, a me aveva offerto una Muratti.
«Architettura, dunque?»
«Mh mh».
Trattenevo il fumo in gola sforzandomi di non tossire, lei buttava giù il liquore come fosse acqua santa.
«Architettura. Perché non?»
Il suo mento, oltre i tetti e i fili dei tram, indicava le mura dellāAccademia.
«Perché gli artisti, poi, finiscono disoccupati».
Ā«Oh!Ā» sāera gettata allāindietro in un gesto scomposto, teatrale. Ā«Te lo ha detto tuo padre?Ā»
«Sì».
«Mai sentita una sciocchezza più grande».
Ed era uscita di scena canticchiando la Traviata.
Il ragazzo svizzero era arrivato qualche settimana più tardi. Occupava la stanza in fondo al corridoio, portava occhiali con la montatura in titanio e le polo infilate dentro i pantaloni. Studiava economia e non sapeva cosa fosse lo Strega. La prima volta che la diva lo aveva mandato in cucina era tornato a mani vuote, scusandosi. Pensavo fosse solo un premio, mi avrebbe confessato poi.
Ogni mattina facevamo colazione insieme e insieme scendevamo verso la metropolitana. La diva, come una balia stralunata, ci salutava dal balcone ā indosso il trucco e gli abiti sfatti della sera prima.
Al nostro ritorno la trovavamo fresca come una rosa, ma di nuovo con la cuffia e la vestaglia arancione. Studiavamo insieme sul tavolo grande della cucina e lei, come un gatto un poco tonto che ignora le regole del buono studio e delle maniere, senza posa ci ronzava attorno narrandoci per istantanee la sua vita mondana. Cāerano sempre diamanti, bottiglie ghiacciate, passioni scellerate o liti furibonde. Cāera sempre, lĆ fuori o sotto il portone, qualche impavido amante pronto a regalarle lāestasi suprema o la peggiore delle sue crisi di nervi. A seconda dei casi, o delle sue lune, innamorati pronti a tutto e incoscienti per lei davano la vita, o se la davano a gambe.
«Mi faranno impazzireeee!» urlava. Si versava il suo Strega e preparava la moka grande. «Caffè?»
Correva in bagno, tornava avvolta in body di pizzo, perle e litri di Chanel.
«Come sto?» Senza aspettare la risposta afferrava la stola di visone. «Li faccio impazzire io, stasera! Fatemi gli auguri!»
Scompariva per le scale fischiettando la vie en rose.
«Scherza».
Guardavo il ragazzo svizzero e mi sentivo in dovere di scusarmi, come se il fatto di avere una parente sciroccata, rendesse sciroccata pure me. Il ragazzo svizzero scuoteva il capo, senza dire nulla mi sorrideva piano.
«Scherza» ripetevo. Rubavo una Muratti dalla tasca della vestaglia arancione e uscivo sopra il balcone a fumare.
«Hai fame?»
Sgomberavamo il tavolo e stendevamo la tovaglia. Cucinavamo in silenzio. Ci passavamo le posate, il sale, i tovaglioli come una vecchia coppia di anziani che non ha bisogno di dirsi nemmeno una parola. Preparavamo pasta al tonno, sofficini Findus, quattro salti in padella, io pensavo alle aragoste pescate dallāacquaio o i tartufi sul risotto mantecato a chissĆ cosa di cui ci narrava la diva, e un poā mi vergognavo.
Ā
«Avete fatto i bravi in mia assenza?»
Rincasava dopo un paio dāore, oppure a notte fonda, certe volte dopo giornate intere. Cercava le Muratti nella vestaglia e si versava lo Strega.
«Avete fatto bravi?»
«Sì».
«Peccato!»
Strizzava lāocchio, si ritirava nella sua stanza.
Restavamo in silenzio, seduti al tavolone grande, e da sotto la doccia la sentivamo stonare la Carmen. Ridevamo.
Dio solo sa quante volte ho sperato che ci prendesse e di peso ci gettasse uno tra le braccia dellāaltra. Ma non lāha mai fatto.
Sotto la doccia immaginavo il suo corpo di vecchia pazza ubriacona ā cosāaltro poteva essere, cosāaltro era? ā corpo forgiato da chissĆ quali anni di fortuna e malora, corpo di serate folli, e immaginavo gli amanti, i loro corpi, le bocche, le mani ā ma quali razza di volti, e voglia di prenderla potevano mai avere? Come si maneggiava quellāaccozzaglia di eccessi, quellāorribile meraviglia pronta ad esplodere? Come si poteva anche soltanto avvicinare, comprendere, addirittura amare tutto quel caos di piaceri e tormenti, colori stonati, quellāesagerazione? E ancora, dovāera il segreto ā se cāera? Non la bellezza composta, quieta, che ero solita conoscere ā il sapore bianco delle mie labbra intatte, quasi vergini, rosa, ā certe Veneri lacerate piuttosto, sopravvissute e restituiteci da un passato di sbornie e battaglie perse, Veneri senza testa, braccia ne gambe. Ma tutti gli amanti dellāarte gettati ai piedi a morirne.
«Allora?» Mia madre chiamava ogni fine settimana. «Come va con la diva?»
«Bene».
«à proprio stramba, eh?»
«No».
Riattaccavo.
Il venerdƬ sera poi accantonavo jeans e Superga per un tubino nero e stivali con tacco a punta.
«Come sto?»
Il ragazzo svizzero arrossiva, stonando il capo in un gesto che mi piaceva intendere di approvazione. La diva frugava nei suoi cassetti, diceva provati le calze a rete, ed ero io ad arrossire che no, dai, sono troppo per me. Uscendo, la salutavo per nome.
«Vieni?» chiedevo al ragazzo svizzero.
Ma lui non usciva mai. Ordinavo doppio malto e fumavo le Muratti sfilate dalla vestaglia arancione, forte del potermi fingere ubriaca dai baracchini sotto la tangenziale gli mandavo messaggi sconclusionati ai quali non rispondeva mai.
Rincasavo mezza ubriaca, i tacchi in mano e il rimmel sceso. Trovavo la diva sul divano, ancora truccata e agghindata di tutto punto. Leggeva Harmony e beveva il suo Strega. Mi indicava la vestaglia, pescavo unāaltra Muratti.
«Bella serata?»
«Mh. La tua?» e dicevo il suo nome.
«Oh!» Si portava la mano alla fronte. «Per carità !»
In bagno, dentro la specchiera, prima di infilarmi nel pigiama guardavo i miei fianchi stretti, le cosce magre, pallide. La frangetta sulla fronte ancora da liceale. Poi guardavo lo Chanel della diva, la cuffia in plastica a fiori appesa dentro la doccia e ci immaginavo nude, non so perchĆ©, una di fronte allāaltra, come un esercizio di anatomia o una sorta di esperimento scientifico. Immaginavo il ragazzo svizzero di fronte a noi. Come una sorta di prescelto, o cavia umana, lo immaginavo costretto a scegliere. Lo immaginavo scegliere lei.
Poi nel silenzio me ne andavo a dormire.
Il ragazzo svizzero ĆØ partito per lāErasmus subito dopo Natale, ci siamo salutati con tre baci sulla guancia. Per qualche tempo ho continuato a scrivergli messaggi sconclusionati dai baracchini sotto la tangenziale e lui ha continuato a non rispondermi.
Io e la diva abbiamo continuato a bere Strega e fumare Muratti sul balcone fino al giorno della mia laurea, poi ci siamo salutate con un abbraccio. Ho continuato a sentirla soltanto per gli auguri del compleanno, e per Natale.
Quando lāaltro giorno il notaio ad alta voce ha pronunciato il suo nome ĆØ stato come se mi strappassero il cuore.
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Un impatto davvero trascinante e in ottimo equilibrio. Uno swing ricco di immagini variegate, che riescono a raggiungere e valorizzare i dettagli più impercettibili, rendendo ogni particolare motore vivo dell’ingranaggio.
Grazie Luigi. Mi fa davvero piacere che tu sia passato di qui.
Bello. Molto bello. Sembrava esserci.
Grazie mille Rocco! Non vedo l’ora di darvi il cartaceo š
Tutto molto fluido, scorrevolissimo. Nel sentire continuamente la marca di sigarette, mi chiedo come mai tu non usi altri appellativi ma ne specifichi sempre il nome. CosƬ come “il ragazzo svizzero”, secondo me ripetuto più volte senza sostituirlo con un pronome o simili. Per il resto direi ottimo, personaggi molto azzecati. Proseguo con gli altri capitoli
Grazie Loris. Volevo creare un effetto di ridondanza usando le ripetizioni, ma ti dirò, in fase di revisione non ha piu convinto neppure me š
Sei sempre molto attento, grazie!
Se ha convinto pure te allora ne sono felice, e poi ĆØ troppo “facile” commentare da fuori. Quando si scrive si ĆØ cosƬ immersi nella creazione, che a volte certi dettagli ci sfuggono poichĆ© concentrati ad un quadro più vasto e dunque complesso. Grazie a te
Episodio molto, molto intrigante. A spiccare non ĆØ tanto l’immagine della diva ormai decaduta ma della relazione della protagonista con questo personaggio. C’ĆØ malinconia, angoscia, smarrimento e sensibilitĆ . Quando queste sensazioni vengono condite con un pizzico di ironia si crea una miscela che adoro.
Grazie Tiziano, mi fa davvero piacere questo tuo commento. L’attenzione sul rapporto tra le due donne era proprio quello che mi premeva sottolineare!
Grazie per essere passato di qui š
“Ā«Mh. La tua?Ā» e dicevo il suo nome.”
e a noi non ce lo dici? š
Credo che prima o poi confessero’ š¤
“Ed era uscita di scena canticchiando la Traviata.”
Direi che questo dettaglio completa io quadro š . Questo personaggio mi piace giĆ
“occava salire le scale, come a casa dei nonni o dentro le canzoni di de AndrĆ©.”
Questo passaggio mi ĆØ piaciuto š
Direi che non c’ĆØ da togliere o da aggiungere nemmeno una virgola. Non so se tu abbia mai conosciuto il personaggio di cui parli, o se ti sia ispirata a qualcuno, ma certo ora esiste al mondo una persona in più perchĆ© credimi, questa Diva ĆØ vera. Complimenti.
e voglio aggiungere che l’incipit suona come un’ assai elegante suggestione da Gadda (Il pasticciaccio) , ma forse ĆØ un caso.
Personalmente, credo che quando creiamo personaggi, anche se inventati, attinguamo sempre a qualcosa che troviamo dentro di noi o negli altri. E poi finisce che diventano più veri di noi…se capisci cosa intendo…mi ha fatto molto piacere il tuo commento Serena, grazie per essere passata di qui. š
Ad essere sincera, credo sia proprio un caso il fatto che l’incipit ti abbia riportato a Gadda. Ma non posso che esserne onorata. Grazie!
Credo che questo racconto sia un perfetto esempio di come di crea un ottimo personaggio, e mi riferisco alla Diva!
Grazie Nicola! Mi fa molto piacere che tu sia passato di qui š
Adoro la Diva, un personaggio che profuma di libertĆ e ribelione.
Come adoro il modo in cui ĆØ scritto questo capitolo, quasi come fosse una canzone.
E adoro anche il finale, nonostante, come il capitolo precedente, mi abbia lasciata con il respiro a metĆ .
Grazie Dea, leggerti ĆØ davvero piacevole! šøšø
Grazie mille Mary, mi fa davvero piacere che tu sia passata di qui. Sai, i finali col respiro a metĆ , sono un pò la mia fissa š
“Il suo vero nome era scritto ovunque, ma per tutti lei era sempre stata la diva. SarĆ stata la bizzarria nel vestire, lo strambo modo di vivere. Il modo in cui non cāentrava nulla con il resto della famiglia, con noi.”
Parto con questo spezzone, perchĆØ non ho potuto fare a meno di rivedermi in queste parole: la perfetta descrizione della “pecora nera”.
E la diva ĆØ la rivincita di tutte le pecore nere š
Quanto sarebbe piaciuta a Fellini, la tua Diva con la faccia di Sandra Milo! Bravissima
Ti ringrazio tantissimo Francesca. Ci hai preso, avevo proprio in mente certe immagini quando ho iniziato a scrivere.
“occ”
Fulminante
” O come nelle canzoni di De AndrĆØ. Non ĆØ solo una citazione, ĆØ un indizio messo lƬ apposta nel mezzo del racconto. Dieci e lode per lāidea.”
Dieci e lode a te per averlo notato…proprio perchĆ© studiato “a tavolino” ci tenevo facesse il suo effetto. Grazie di cuore per la tua lettura.
… O come nelle canzoni di De AndrĆØ. Non ĆØ solo una citazione, ĆØ un indizio messo lƬ apposta nel mezzo del racconto. Dieci e lode per l’idea.
Oltre a quella famosa canzone di Faber il titolo e la ragazza mi hanno fatto pensare anche a La strega, di Vasco Rossi, dove anche lƬ c’ĆØ una zia, ma il contesto ĆØ un altro š
Dato che ĆØ una serie qui per ora non mi dilungo, ma l’episodio ĆØ scritto magistralmente.
A Vasco non avevo pensato! Ma potresti avermi dato un’idea…grazie Francesco!
Bellissimo racconto e benissimo incipit. Sono arrivato tardi e gran parte di quello che mi sarebbe piaciuto evidenziare ĆØ giĆ stato notato e ben descritto.
Devi comunque per forza citare la specularità fra i due personaggi femminili, in fondo affini e solo apparentemente diversi, perché visti attraverso lo specchio del tempo.
E il giovane svizzero, che non ĆØ che egli stesso uno specchio, attraverso il quale le due donne, ovvero la stessa donna in due tempi e mondi diversi, si confrontano.
Sento che la dipartita della diva segnerĆ la ricomposizione delle due figure allo specchio.
Grazie mille Giancarlo. La speculriata’ ĆØ il perno intorno al quale ruota l’intera storia…ed ĆØ l’affinitĆ che tu hai colto l’aspetto che volevo affiorare, qui e in futuro…grazie per la tua lettura!
Sembra quasi di guardare uno di quei vecchi film in bianco e nero, che, ormai, non si vedono più.
Ha un sapore tutto suo: in alcuni passaggi, quando hai citato del salire le scale come “a casa dei nonni” o quando hai introdotto la Diva, mi hai riportato alla mente alcuni fotogrammi del mio passato.
Ć come se l’intero racconto fosse uno strano e particolare ossimoro, messo in evidenza in alcuni punti, ad esempio quando ti soffermi a parlare della Diva nel momento in cui ĆØ sotto la doccia, come se ella stessa, la sua persona e il suo modo di vivere siano un grande ossimoro.
Un racconto che mi ĆØ piaciuto molto.
Grazie mille Giuseppe per la tua lettura. Mentre scrivevo la scena della doccia, l’intenzione era esattamente quella di creare una sorta di ossimoro. Nel personaggio della diva e nella visione che ha di lei la giovane donna. Mi fa davvero piacere che tu l’abbia colto. Spero passerai ancora di qui.
Brava Dea! Nel racconto hai creato una sorta di meditata tensione tra la timida posatezza dei due giovani e la stravagante zia aperta a tutti gli eccessi per godersi la vita. La Muratti presa dalla vestaglia, sembra proprio l’attimo meditativo nel quale la liceale trascende e barcolla tra gli impulsi ormonali e gli academici ranghi.
Grazie Giulio! Mi piace tu abbia colto il particolare della Muratti, e l’interpretazione che ne dai ĆØ preziosa. Non avrei saputo dirlo meglio. Felice che tu sia passato di qui.
Che musicalitĆ hanno i tuoi racconti Dea, armonici e mai fuori tempo. Parli della giovinezza e dai l’impressione di poterla mantenere per sempre, incolpevole portatrice di sogni ad occhi aperti.
Mi colpisce Roberto come tu abbia colto la giovinezza cammuffata e inafferrabile in un racconto dove sembra regnare la decadenza. Forse il modo per mantenerla per sempre questa benedetta giovinezza, che dici, c’ ĆØ?
“corpo forgiato da chissĆ quali anni di fortuna e malora”
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“o dentro le canzoni di de AndrĆ©”
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Che graffio! Trovo magnifico ciò che hai trasmesso sotto le righe. Quel certo fascino della leggenda, quella superficialitĆ parentale nei giudizi, quell’incertezza nel rapportarsi, quell’incapacitĆ di dar voce ai sentimenti. Molto ben strutturato, a saperla vedere, una dolcezza enore. Grazie!
Grazie Giuseppe per questa tua lettura. Hai colto perfettamente ciò che, tra le righe, volevo trasmettere, e questo per me è un piacere enorme. Grazie per essere passato di qui!
Un racconto vagamente romantico, con una vera ironica sottile, che rende piacevole la lettura e accattivanti le due protagoniste femminili, quasi opposte, eppure affini.
Grazie M.Luisa, soprattutto per aver notato l’affinitĆ tra le due protagoniste. In effetti sembrano lontane anni luce, in realtĆ sono due facce della stessa medaglia…
Questo ĆØ un personaggio che farĆ epoca, mi auguro. Un essere vivo, personale, strano e sui generis come possono esserlo una donna o un uomo realmente esistenti: ma non intendo dire che tu l’abbia ritratto dal vero. Al contrario, non c’ĆØ nulla di più reale delle invenzioni letterarie ben riuscite. Tutti i miei complimenti, Dea.
Grazie Francesca, soprattutto per aver colto la potenza di un personaggio al quale da subito ho tenuto moltissimo. Il confine tra personaggi reali e inventati ĆØ sempre labile, un po’ come le maree quando si incontrano, non sai mai dire quanti tratti vengano dalla realtĆ , e quali dalla fantasia. Sono due mondi che si influenzano e si pescano a vicenda. Non sono sicura di averla completamente inventata, ma neppure che sia esistita davvero…
Divinamente o di..vivamente decadente e nostalgico, tocca le corde giuste dell”anima senza mai scadere nel sentimentalismo o compiacimento. Bello!
Grazie di cuore Hugo, mi fanno davvero piacere le tue parole, e mi fa piacere che tu sia passato di qui.
La decadenza…ce l’avevo bene in testa ed ĆØ bello che tu l’abbia colta.
Io non ne trovo molte di parole, questa volta, per commentare un testo che mi ha colpita dritta e che ĆØ, a mio parere, cosƬ bello da commnetarsi da solo. Vorrei usare alcune tue frasi che mi hanno colpita. ‘Il modo in cui non cāentrava nulla con il resto della famiglia, con noi’ e ho pensato ad alcune dive additate tali nella mia famiglia, oppure magari anche a me, che con la mia famiglia non centro niente. ‘Toccava salire le scale, come a casa dei nonni o dentro le canzoni di de AndrĆ©’ questa l’hai veramente scavata chissĆ dove e messa su carta come una magia. ‘e le polo infilate dentro nei pantaloni’ Qui sorrido e penso a quante volte capita di assistere a questa sorta di abominio š. Potrei andare avanti ancora, ma vorrei soffermarmi su quello che, a mio parere, ĆØ il cuore del testo: quel confronto cosƬ spiazzante fra le due dive, una di fronte all’altra, unite dal filo invisibile che le tiene strette fino al finale struggente e commovente. Non ho ben capito quale sarĆ il filo conduttore della tua serie, ma non importa. Mi siedo e aspetto.
Cara Cristiana, ti ringrazio per le bellissime parole e soprattutto per l’attenzione che hai dedicato alla lettura del mio testo. Hai colto dei particolari a cui tenevo tantissimo, e questo mi ha fatto davvero piacere, in particolare ho apprezzato come tu abbia colto il confronto tra le due donne, che ĆØ poi come anche tu lo definisci il cuore del testo, e credo di tutta la serie. Ti confesso che neppure io so bene come andrĆ a finire questa serie, l’unica cosa certa ĆØ che sarĆ la “rivincita” di tutte le dive. Grazie ancora, di cuore.