
La famiglia che ci definisce
Io non ho avuto, per i diversi anni della mia relazione, un rapporto facile con quella che era allora mia suocera.
Il nostro rapporto non ha avuto, in nessuna occasione, un modo di svilupparsi sano.
Penso a questo mentre la classe mi guarda e con il libro di filosofia ormai chiuso, giovani sguardi interrogativi mi chiedono di insegnare loro l’amore, di farglielo capire.
“Quindi sua suocera le ha fatto del male?”
Giovanni ha parlato veloce, mi guarda fisso.
Come siamo arrivati a parlare di queste cose?
“Sì. Non parlo di quelle scaramucce e gelosie tipiche tra nuora e suocera, ma di aspetti più gravi che hanno solcato me e compromesso anche l’amore che provavo per suo figlio.”
Intanto penso che dall’altra parte c’era anche mio suocero, separato dalla madre del mio compagno e insieme ormai da anni a quella che poi è diventa la sua seconda moglie, un matrimonio, il loro, di cui anch’io ho fatto parte, per volere estremo dell’uomo che mi amava.
Adesso è Anna a farmi una domanda.
Intravedo nell’altra stanza un’altra classe, altre domane, lezioni professionali di chi segue i libri e tiene chiuso il cuore, esattamente quello che io oggi non sono in grado di fare.
“E suo suocero?”
“Con lui i rapporti erano più freddi e non per questo meno problematici, per non parlare della nuova moglie, i nonni di suo figlio, hanno seguito tutti le scie della famiglia, erano invasi da un pensiero unico contro di noi, come coppia.”
Adesso che la classe mi ha ascoltato è calato il silenzio e penso che ogni e qualsiasi altra critica a quegli individui a cui sono stata legata, sarebbe sterile e inutile.
Un periodo di vita personale totalmente alle mie spalle, anche se il ricordo può essere misto ad un sentimento negativo e positivo.
Ma guardo i ragazzi che ho di fronte e non voglio affidare tutti i particolari a questa mia lezione, eppure vedo che nasce tra i miei allievi l’esigenza di riflettere su come spesso una separazione di una coppia può essere la separazione di una famiglia.
“Qualcuno di voi ha genitori separati?”
In molti annuiscono alla mia domanda.
“La storia mia e di mio marito attraverso le famiglie non è stata normale, sono successi episodi abbastanza pesanti, non è esattamente il metro di paragone più adatto. So però come i rispettivi genitori di due persone che scelgono di stare insieme diventano parte, tante volte, di un futuro o troppo invadente o brutalmente negato. “
La classe continua a guardarmi, intensamente.
Così mi viene in mente quando, nei primi mesi, io ero seduta al tavolo della sala da pranzo di mia suocera e lei mi diceva che se anche la storia fra me e suo figlio fosse finita, lei mi sarebbe sempre stata amica e che sperava continuassi ad andare a casa sua, per un the o un caffè.
Noi amiche non lo siamo mai state.
Io però in quel momento non lo sapevo quello che sarebbe successo e mi misi a ridere, fra me e me.
Le risposi che se io e lui ci fossimo divisi, non avrei mai continuato i rapporti con lei, per rispetto suo e di suo figlio, e che nel tempo avrebbe sicuramente avuto modo di occuparsi di un’altra nuora ed io non volevo più entrarci in quelle vicissitudini, era giusto fosse così.
Lo pensavo davvero.
Anche se fossimo diventate amiche per la pelle non mi sarei mai immaginata a bere il caffè in casa sua dove, un piano di sopra, io e suo figlio avevamo condiviso il letto e l’amore.
Clara con timidezza prende la parola.
“L’amore è sempre così brutale?”
Prendo un lungo respiro
“Tornando a parlare in generale, questo esempio può essere reale per molte persone, quando qualcosa finisce devono finire con esse anche le relative abitudini.
Il punto è che una famiglia tocca una grande e vasta immensità di cardini umani, così, quando finisce una storia tipo quella che era la nostra, ti può venire la mancanza non solo del tuo lui, ma anche di bere il caffè con una persona che sostanzialmente oltre a non sopportare, proprio odi, come poteva esserlo per me mia suocera. “
Ora tutti riflettono su quello che ho appena detto, ci ripenso anche io a quelle mie parole, al loro peso attuale e a quello passato, ai sentimenti che fino a qualche anno prima avevo provato.
A me quel caffè non è mancato, anzi sono stata io la prima a non volerlo più, ma quando sull’inizio del finire della storia i rapporti con mia suocera erano già abbastanza chiusi sia con me che non suo figlio, i rapporti con il padre e la sua nuova moglie si erano invece nuovamente stretti.
Quando andavamo a casa loro, era venuta usanza riservarmi un bicchiere di Porto, liquore che a me è sempre piaciuto molto.
Con la storia già quasi chiusa e prima che le cose degenerassero del tutto, loro mi scrissero che nonostante l’accaduto, mi avrebbero aspettato ancora per quel bicchiere di Porto.
Qualcuno in aula tossisce, io alzo il volume dei pensieri, di quel mio ieri oltre le mura.
Nemmeno loro erano persone a cui ero riuscita a volere bene, come si comportavano, ciò che avevano fatto singolarmente a me e al mio compagno, e a noi come coppia, mi aveva sempre oppresso tantissimo, per anni avevo sopportato dei dolori troppo forti da parte loro, quindi non potevo parlare di affetto e stima reali, però a loro mi ero affezionata lo stesso, gli avevo dato quell’importanza e quel rispetto anche attraverso l’amore che provavo per l’uomo che avevo avuto accanto.
Neanche con loro avevo mai pensato di tornare a bere quel bicchiere di Porto, ma quella piccola porta aperta, lo spiraglio socchiuso su anni di amore, mi sembrava più giusto e naturale del caffè con mia suocera.
“Professoressa, perché?”
“Perché cosa, Galli?”
Cerco di ridarmi voce, togliendo i miei pensieri dal sottofondo della stanza.
“Perché accade questo?”
“Forse perché troppe volte, quando due persone si lasciano, i rispettivi genitori scelgono, per partito preso, di stare dalla parte dei propri figli.
Se da una parte è naturale pensarlo, dall’altra può essere un po’ disumano farlo. Salvo casi estremi, bisognerebbe capire l’altra persona esattamente come si può capire un figlio proprio.“
Qualcuno sta scarabocchiando frasi sulle agende malconce, le ragazze si guardano le unghie come angosciate e perplesse dei loro compagni accanto, loro che altrettanto inquieti buttano ciocche di capelli ribelli verso le finestre lucenti, così appariscenti da distogliere tutti noi presenti dalla lavagna nera e ancora pulita.
Anna parla nuovamente.
“Qual è la sua opinione, prof?”
“Io insegno, è importante che vi piaccia capire i concetti, non ciò che penso io.”
“E se noi volessimo sapere?”
“Va bene.”
Tolgo il fermaglio da capelli e levo il golfino bianco di dosso, prendo una sedia e mi accomodo vicino al primo banco, pochi minuti alla fine della lezione e ripongo il libro nella valigetta.
“Credo che i legami di sangue non garantiscono dal fare errori, le complicazioni vanno divise con chiunque non ha avuto il coraggio e la volontà di preservare l’amore da inutili problemi.”
Le penne ora scrivono veloci, come fossi uno scrittore vecchio e famoso e ancora vivente, loro si annotano pezzi di me pensando così di apprendere qualcosa e poter essere più prudenti.
“Oggi è andata così, domani riprenderemo da pagina 88. Annotatevi i paragrafi 5, 6 e 7 per impostare la nuova discussione settimanale.”
Ho la sensazione che le mie parole ora giungano a vuoto, la lezione ha parlato della famiglia che ci definisce e fuori da questa stanza ognuno dovrà affrontare la sua storia personale, il suo percorso famigliare.
Ricomincio a pensare al mio cammino.
Gli affetti veri sanno essere obbiettivi, tra una suocera che invita l’eventuale ex nuora per un caffè e quell’ex a cui mai verrebbe in mente di accettare, ci sono saluti e ricorrenze che potrebbero continuare ad esistere, per chi ha scelto di amare un pezzo di vita insieme a noi.
Dopo la fine della nostra storia, io e lui, non ci siamo praticamente più sentiti.
Mi è impossibile dire chi l’abbia deciso, ci siamo amati così tanto, fino allo stremo, che all’ultimo atto di noi, probabilmente nessuno dei due voleva più darsi la possibilità di tornare sui suoi passi.
Lui però ha cercato spesso mio padre, so che si sono sentiti, e non molto altro, ho lasciato a loro i dettagli.
Forse, all’inizio, era strano, ma adesso che tutto questo è passato, passato davvero, mi rendo conto di quanto legame ci fosse, tra tutti noi.
Devo chiudere la lezione.
“Pensateci, quando vi mettete con qualcuno. Pensate alla famiglia che avete, alla famiglia che volete.
Sono pezzi di amore che seppur finiscono, ci definiscono. “
La campanella suona, la lancetta scivola sull’orologio, rimane solo il posto vuoto, di studenti ormai fuori dalla porta e amori che hanno lasciato sgombrato di parole le caselle di posta.
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La forza di questo racconto, che trovo teso e affilato nello stile come un coltello, è nel contrasto tra la dimensione pubblica, professionale, della lezione in classe, e quella intima, privata del bilancio sul proprio vissuto, davanti ad un pubblico di adolescenti che hanno fame di risposte alle domande su cosa significa vivere, amare. Pubblico e privato che si fondono insieme, mi ha fatto pensare alla natura stessa della scrittura, e a quella frase di Ignazio da Antiochia, “si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, molto di più con quel che si è.”
Racconto implicitamente introspettivo. Fa riflettere e contiene riflessioni interessanti fruite sapientemente tramite la struttura del dialogo insegnante-alunni. Il concetto della famiglia che ci definisce è intrigante. Significativa quell’ultima raccomandazione dell’insegnante che invita a riflettere su chi siamo e da dove veniamo, e su chi vorremmo essere. E sì, bisogna farci caso, bisogna prestarci attenzione. Oppure, essere così saldi o liberi o forse un po’ egoisti, da tagliare tutti fuori. Bel racconto. Come detto, invita a riflettere.
Ciao Massimo 😀
Questa storia nasce proprio così, da grandi pensieri e riflessioni che si vogliono scardinare, almeno un pò, attraverso la leva facile di quella che può essere una normale lezione e che diventa invece fonte di interscambio personale, i perchè alcune cose accadono quasi sempre smuovano le nostre paure più profonde.
Diventiamo davvero fragili a pensare che anche le cose apparentemente più belle, come in queste caso l’amore e la famiglia, siamo anche i cardini più vulnerabili di noi, punti dove tutto nasce e tutto può finire in una centrifuga che non scegliamo nemmeno noi e quando invece decidiamo di sceglierla, spesso non siamo in grado di gestirla.
Ho notato come si pensi che l’amore in sé per sè basti a tutto quando incontriamo qualcuno che ci “travolge” emotivamente, anche nei rapporti che possono considerarsi più profondi, si tende a non dare rilevanza anche ai contorni delle nostre persone, che sono quelli che ci hanno definiti per arrivare fino lì e non sono da sottovalutare.
A me è capitato di non capire abbastanza quanto questi contorni posano influenzare alcuni ambiti, esattamente come una volta capito, sono diventa così salda e libera, egoista no, non penso, da tagliare tutto e tutti fuori da ciò che non me la sentivo più di condividere. Come coppia, dopo questo, o ti lasci con il mai più o rimani constante nel per sempre. Come persona singola invece, capisci davvero cosa sia l’amore, soprattutto capisci così tanto te stesso da essere felice di bastarti e diventi più maturo per intraprendere realmente il senso di famiglia.
Grazie per avermi letta e aver preso parte a questa riflessione, sono davvero contenta se sono riuscita a farti arrivare tutto questo, per quanto diffcile sia come tematica.
Una storia in cui chi ha vissuto una situazione simile non stenta ad identificarsi. Sempre efficace il dialogo prof-alunni, evocativo di alcuni film entrati nella storia (vedi l’attimo fuggente) e della nostra storia personale (siamo stati tutti alunni e siamo stati tutti curiosi di sbirciare nella vita privata del nostro o della nostra prof). Mi è piaciuta molto l’espressione: “…alzo il volume dei pensieri” restituisce un’immagine cinematografica. Il titolo “La famiglia che ci definisce” lascia spazio a diverse interpretazioni. La famiglia che ci definisce può essere la scuola oppure le persone con cui dividi casa o il tuo animaletto domestico. E’ un concetto fluido e relativo; e, ahimè, mutevole nel tempo.
Ci sono tanti modi di identificarsi, come figli e alunni, come adulti e professori, veri o ipotetici che siano, proprio perchè ad ognuno di noi può essere capitato di stare da una delle due parti, spesso perfino troppo facilmente da entrambe. La struttura del testo nasce come pensieri puri che volevano essere espressioni, ho pensato che alcuni di questi fosse necessario renderli dialoghi. A quel punto era importante dare uno svolgimento di luogo, il testo teatrale era l’ideale per un dialogo e un interscambio, ma per renderlo racconto l’idea della scuola era forse la più banale ma anche la mia immediata, narrativa parlando. Come dici tu, le immagini arrivano subito.
Ti ringrazio, spesso si sottolinea come si vogliono spegnere i pensieri oppure abbassarli e far prevalere le voci “reali”, io credo che invece a volte abbiamo proprio bisogno di dar loro un tono più alto di tutto il resto che ci circonda.
Assai mutevole nel tempo, vero, perchè qualsiasi siano i soggetti di tale famiglia, sono elementi desinatati a crescere, modificarsi, lasciarsi e ritrovarsi più volte lungo l’esistenza.
Questi processi emotivi arrivano poi a definirci come persone e come singoli, anche se tutto questo accade proprio perchè non siamo mai abbastanza soli o in compagnia quanto vorremmo.
I tuoi commenti sempre così introspettivi appagano chi, come me, cerca di donare contenuti attraverso le parole, e tu oltre a interpretarli, li fai anche tuoi ed è molto bello, grazie!