
La prima cosa
Serie: Il secondo bacio
- Episodio 1: La prima cosa
- Episodio 2: Lo sguardo altrove
- Episodio 3: Reale come l’amore
STAGIONE 1
Se è vero che l’infanzia finisce quando scopri che un giorno morirai, io a nove anni ancora sognavo. Ma di un sogno indolente e distratto, il sogno di chi della vita ancora non tiene le redini, e si lascia portare.
Erano i tempi del casolare della signora Algida. Una catapecchia diroccata con i serramenti stinti e le tegole penzoloni. Ma guai a chiamarla catapecchia. E guai a chiamare Algida signora.
«Signorina, prego.»
Ci correggeva, strisciando l’accento dei torti mortali.
«Ma è quest—»
«Taci.»
Chi provava ad obbiettare veniva zittito.
«Non è questione di educazione e nemmeno di età.» Aveva l’indice destro mozzo, mancava il pezzo dell’unghia. Lo pigiava contro il naso del malcapitato. «È questione di pudore.»
Nessuno di noi ha mai capito cosa volesse dire. Ma quell’indice puntato senza ritegno frenava ogni voglia di indagare oltre. Algida lo sapeva bene, insieme agli zoccoli e al manico della scopa ne aveva fatto l’arma principale.
«Siete troppi, dappertutto.» Bofonchiava curva sopra la pasta da impiattare. «Che altro deve fare, questa povera vecchia, per mantenere l’ordine?»
Portava in sé, ogni giorno e ovunque, la malcelata insofferenza di chi s’è visto piovere una disgrazia dal cielo ed è costretto a sopportare. Inutile ricordarle che la firma sui moduli per l’affido ce l’aveva messa lei.
Di quei tempi ricordo un cappotto verde di parecchie taglie più grande, i fagiolini sgusciati col pollice e Tom Sawyer ad aspettarmi sopra il cuscino. Zanna Bianca, le sorelle March, il conte Medardo e il capitano Achab sopra i cuscini degli altri.
Passavamo da una casa e le sue regole all’altra, piccole apine senza miele. Le regole del casolare di Algida erano state le più semplici da imparare.
«A scuola fate il vostro dovere?»
«Sì, signorina.»
«Ecco. Dentro casa mia, pure.»
Ogni pomeriggio, dopo la scuola, Algida ci smistava aiutandosi con il manico della scopa diretti ognuno verso la propria faccenda. Teneva appesa in cucina una lavagna con tanto di gessetti e cancellino, scarabocchiato in fianco ai nostri nomi trovavamo il compito che ci spettava. Fare i piatti, occuparsi dei polli, ritirare il bucato. Dare la cera, vangare l’orto, rifare le stanze. In fianco alla lavagna, c’era la lista dei libri. Ognuno di noi doveva scegliere almeno un titolo al mese. Ogni sera Algida metteva il segno a matita, si premurava avanzassimo di almeno dieci pagine.
«Leggere è la prima cosa.»
Ce lo ripeteva di continuo, tra pomodori da pelare per la conserva e fughe da sbiancare.
«Ma a che serv—»
«Leggere non serve.» Interrompeva al volo il dissidente di turno, l’indice mozzo già pronto a mezz’aria. «Leggere fa.»
Algida era una donna degna del proprio nome. Tutta d’un pezzo, poco incline a buone maniere e smancerie. Su di una cosa però aveva ragione: dentro quella casa eravamo in troppi. Ci scambiavamo vestiti, umori, lenzuola e spazzolini da denti. Conservare quei libri sopra il nostro cuscino rappresentava per noi il lusso più grande. Ancora oggi, quando prendo dagli scaffali un nuovo titolo, il sapore che sento è quello della libertà.
Patrizio arrivò al casolare in ottobre. Nonostante fosse autunno faceva ancora caldo. Le nebbie tardavano a scendere nei campi, le rondini dai tetti non si decidevano a migrare.
Algida era uscita con il Fiorino per la spesa. I grandi si erano avventurati nei fossi in cerca delle ultime rane. I più piccoli invece si erano fatti scappare di nuovo i polli, correvano per l’aia nel disperato tentativo di riacciuffarli. Dondolavo sull’altalena appesa alle travi del portico giocando a sfiorare le nuvole con la punta dei piedi, quando una macchina lucida e nera venne avanzando dallo sterrato. Frenò nel mezzo del cortile senza spegnere il motore, dalla portiera dietro scese un bambino biondo. Portava una camicia della sua taglia e un paio di pantaloni beige con la piega davanti. Lo misurai con lo sguardo, doveva avere più o meno la mia età. Un signore ben vestito tolse dal baule un paio di grosse valige, gliele poggiò a fianco e risalì sull’auto.
Saltai dall’altalena e mi avvicinai. Dal finestrino davanti spuntò il volto bianco di una donna.
«La signora Algida?»
«Signorina» la corressi. «Non c’è.»
La donna aveva lunghi capelli scuri e labbra rosso rubino. Le piegò in una smorfia di disappunto. «Vi lascia soli spesso?»
«Mai» mentii. «È la prima volta oggi.»
Lasciò perdere, col mento m’indicò i piedi nudi, insudiciati di terra.
«Le scarpe?»
«Tolte.»
«Beh» spostò la mano verso un tasto alla sua sinistra, pronta a rialzare il finestrino. «Dì alla signora Algida che ripasso stasera. E tu» mi scrutò di nuovo, da sotto in su. «E tu, vedi di lavarti quei piedi.»
L’auto ripartì sollevando una nuvola di ghiaia e polvere. Mi voltai. Patrizio mi fissava serio, l’aria persa di un puttino cascato per sbaglio nella landa degli uomini.
«Io qui non ci resto.»
Non gli diedi peso. Lo avevamo detto tutti, all’inizio, e tutti alla fine eravamo per forza di cose rimasti.
«Come vuoi.» Afferrai una valigia, pesava peggio di un morto. «Prima però vieni. Ti faccio vedere le stanze.»
I piccoli si erano scocciati di rincorrere i polli e sotto il portico si giocavano a pari o dispari i turni per l’altalena. Quando io e Patrizio passammo loro accanto non ci notarono neppure. Io davanti, lui dietro. Attraverso la cucina, lungo il corridoio, su per le scale in legno. Mi seguiva scuro, senza dire una parola. Quando nello stanzone scoprii che l’unica branda rimasta libera era quella in fianco alla mia mi si appiccicò addosso lo stesso broncio. Forse una parte di me intuiva già come sarebbe andata a finire, forse era soltanto che m’ero abituata ad avere più spazio e qualcuno da parte non ce lo volevo. Fatto sta che lo dissi. Su due piedi, per la prima volta, a un mezzo sconosciuto piombato dal nulla.
«Devi dormire qui, in fianco a me.» Mi sentivo strana, un nodo intorno alla gola. «Ma non ti credere.» Poggiai la valigia sopra quello che sarebbe stato il suo letto e d’un fiato confessai il mio segreto. «Io sono già fidanzata.»
Serie: Il secondo bacio
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- Episodio 2: Lo sguardo altrove
- Episodio 3: Reale come l’amore
“Di quei tempi ricordo un cappotto verde di parecchie taglie più grande, i fagiolini sgusciati col pollice e Tom Sawyer ad aspettarmi sopra il cuscino. Zanna Bianca, le sorelle March, il conte Medardo e il capitano Achab sopra i cuscini degli altri”
Questo periodo, costruito con la tecnica dell’ “elenco”, è proprio ben fatto.
Grazie.
Sono colpito dal tuo stile. E anche dall’ambientazione, dove i compiti della vita rurale si affiancano alla lettura, come in passato avveniva in certe culture contadine. Questa signorina Algida priva di un unghia ha a che fare con la morte? Forse mi sbaglio, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente.
Correggo, “un’unghia”, benedetta tastiera!
Ciao Angelo, grazie per le bellissime parole. Ci sono l’amore e la morte in qiesto racconto, il dito di Algida è legato in qualche modo alla morte. Non era mi intenzione farne un “simbolo”, diciamo che le mie intenzioni erano più “funzionali”. Però, in effeti tu hai notato un particolare fondamentale, ancora prima che il motivo di quel pezzo mancante sia svelato. Uno sguardo acutissimo. Grazie per questa lettura.
Ciao, Irene. In questo episodio hai configurato un quadro ricco di traslucenze e di riverberi, sia nella cura dello sfondo che nei richiami introspettivi. È ormai riconoscibile il tuo stile, fatto di dinamismi e di primi piani, col tuo tratto sempre vispo e curatissimo, assetato di cercare, di affinare quell’ultimo dettaglio, quella risonanza, sperando di sfiorare le nuvole con la tua scrittura, come la bellissima immagine dell’altalena appesa alle travi del portico, che sembra spalancare un’arcata immensa all’interno del rapporto spaziale con la tua narrazione.
Ciao Luigi, ho voluto provare qualcosa di diverso rispetto a ciò che faccio di solito, e il mio stile si è imposto comunque. La sete, l’urgenza di raccontare, che tu noti a ragione, anche qui si sono fatte sentire. Ti ringrazio per la lettura. A presto, un abbraccio.
Ciao Irene! Incipit memorabile, dal sapore di quei classici che la signora Algida lascia sui cuscini dei suoi bimbi. Sai modulare benissimo le intimità dei tuoi personaggi, passando dalla crudezza della femminilità adulta ferita o innamorata (quella di altri racconti) a questa, tenera, infantile, ma già intaccata da pulsioni innocenti👏🏻
Ciao Nicholas, ho scelto un punto di vista, quello bambino, che non avevo mai usato. Mi fa piacere sapere di essere riuscita a renderlo credibile. Grazie di cuore per la lettura, a presto.
Che dire. Sei bravissima a creare personaggi; lo avevo detto con “La Diva” e lo dico anche per Algida. In questo primo episodio c’è tutto quello che serve per una bellissima serie 🙂
Grazie Nicola. Algida è uno di quei personaggi che si fanno da sé. Per lei avevo in mente tutt’altro, invece mi si è rivelata imponendo la sua voglia di farsi narrare. Credo sia per questo cje arriva così tanto. Ha conquistato me per prima.
“Passavamo da una casa e le sue regole all’altra, piccole apine senza miele.”
Bellissimo passaggio
❤️
Mi sono già innamorato della catapecchia. Vorrei esplorarla, aprire i cassetti e dare un’occhiata alle edizioni dei libri. Aspetterei anche il mio turno per salire sull’altalena e scambierei il mio compito di tenere a bada le galline con qualsiasi altra faccenda, qualsiasi. Odio le galline.
Che posso dire? ♥ Adorabile in ogni frase, in ogni singola parola.
Ti svelo un segreto Emi: io adoro svuotare catapecchie, frugare dentro stanza abbandonate e tutte quelle belle avventure!
Chissà, magari un giorno Algida ci inviterà per un caffè…ovviamente prima di entrare ci mettiamo le pattine e promettiamo di non lasciare ditate sui muri 🤣
Grazie per essere passato ❤️❤️❤️
Ne ho imparata una nuova “puttino” :). “Apine senza miele” mi fa venir da piangere! Come al solito super brava. Complimenti Dea
Caro Giulio, ce ne sarebbero di cose nuove da imparare, ma occorre essere dotati degli strumenti giusti per poterle recepire. Al di là di un paio di semplicissime metafore. 😉
Ho letto con calma, gustandomi come hai presentato i personaggi, il luogo e la situazione. Mi sono sentito dentro quel mondo. Chi ci ha provato sa quanto sia difficile rendere al meglio i bambini come protagonisti. Non resta che aspettare il seguito…
Grazie Antonio, in effetti non è mai facile tornare a vestire i panni di un bambino, narrare da quel punto di vista. Mi ha aiutato alternare i ricordi con la bambina già “adulta”.
Se ho capito bene, questa serie inizia in un collegio per bambini poveri o per bambini che forse devono essere nascosti. (Portava una camicia della sua taglia e un paio di pantaloni beige con la piega davanti.) “Se è vero che l’infanzia finisce quando scopri che un giorno morirai”, quanta verità in questa frase! Aggiungerei: anche quando ti accorgi che i tuoi genitori non ti possono proteggere da tutto, ma forse sono più deboli di te, e questo incipit ne è la prova. Il sapore della libertà in un libro: nella fantasia che ti fa evadere. Che dire, Irene? Per me è l’inizio di un bellissimo racconto. Bravissima.👏👏👏
Grazie Concetta. Hai fatto una riflessione molto attenta e precisa: i nostri genitori, o le persone che si prendono cura di noi, quando siamo bambini ci appaiono “eterni e indistruttibili”. Ed è proprio questo che permette di sentirci al sicuro. Purtroppo, quando queste certezze crollano o vengono a mancare, iniziano i guai del crescere. Grazie per la lettura ♥
Un episodio che in chiusura strappa un sorriso e accende la curiosità! Bello!
Grazie Biancamaria!
Per fortuna che ci siamo chiarite a voce, altrimenti avrei smesso anche di seguirti!
Scherzi a parte… Cosa posso aggiungere? Personalmente amo le narrazioni in prima persona, quelle genuine, che si sentono fortemente radicate nell’infanzia di chi scrive. Quelle che ci raccontano pezzetti di vita guardata attraverso gli occhi sinceri e disarmanti dei bambini.
Ma la tua non è una semplice narrazione di una storia d’infanzia perché, anche se magari non era intenzionale, la Diva viene inevitabilmente fuori ed esplode splendidamente nell’atteggiamento consapevole, maturo e intrigante di quella bimba che forse, dentro, bimba non lo è più. Complimenti Irene per questa idea che rappresenta una sorta di ‘cambio di rotta’ stilistica pur restando tu ben ancorata in quello che inevitabilmente e fortunatamente sei.
Cara Cristiana, innanzitutto grazie per non aver smesso di seguirmi e grazie due volte perché confido che non lo farai neppure dopo avere letto la pessima battuta al precedente commento 🙈
Scherzi a parte…Come già ti ho raccontato, questa mini serie è nata per gioco, da una battuta fatta per caso. Ho sentito l’esigenza di accettare la sfida e provare a misurarmi con qualcosa che non è propriamente nelle mie corde. Avverto, scrivendo, una specie di prurito alle mani, mi mancano le iperboli, le frasi tozze, perfino i dialoghi senza tag…ma nel contempo sento una sicutezza nuova e prendo fiducia, perché sto allargando il cerchio e misurando le mie potenzialità. Vedremo, alla fine, se sarò stata all’altezza della sfida. Nel frattempo grazie per esserci sempre 🥰
Grazie a te…
“Erano i tempi del casolare della signora Algida”
Arrivata a questo punto, subito mi sono detta “ma dove è finita la Diva che conosco?” Quella fatta di pazzie e parole sospese? Non sarà mica caduta sulla terra al pari di tutti noi? proseguo o mi fermo indignata? 😃
Ce lo siamo già dette a voce, ma sai, non resisto…la Diva c’è, è ancora fra voi, (un po’ meno in lei…) ma ogni sente, come dire, l’esigenza di “domare i suoi ricci” e pettinarsi un po’.
*ogni tanto
Non pettinarti troppo, però 🙂
Adoro questa storia già dal primo episodio. Quel personaggio poi, la signorina Algida: fantastica!
Grazie Arianna ❤️❤️❤️
In questa storia mi ha colpito il rapporto tra l’apparente durezza dell’ambiente e la profondità emotiva nascosta nei gesti quotidiani: i turni per i lavori, la lettura obbligatoria, le regole severe. La signorina Algida, pur essendo rigida e a tratti brusca, rappresenta una figura di riferimento stabile per bambini che non hanno nulla. Il suo affetto non si esprime con le parole, ma attraverso la disciplina e il senso di responsabilità. In questo modo riesce a ricreare per loro un’idea di famiglia.
Una storia bellissima e toccante.
Ti ringrazio Tiziana, hai colto un particolare che mi stava molto a cuore. I bambini per crescere e sentirsi al sicuro hanno bisogno di limiti e regole. Algida, seppur a modo suo, sta dando loro proprio questo. Magari all’inizio sembrano metodi crudi e discutibili, invece col tempo se ne scoprono i frutti.
“onservare quei libri sopra il nostro cuscino rappresentava per noi il lusso più grande. Ancora oggi, quando prendo dagli scaffali un nuovo titolo, il sapore che sento è quello della libertà. “
Che bella immagine!
Grazie per averla notata ♥
Complimenti Irene, e ottima caratterizzazione dei personaggi, anche della donna in auto. Sono curioso di seguire.
Grazie Marco! Soprattutto per aver notato la donna in auto. Una semplice comparsa, ma l’intenzione era che si facesse notare.
Bambini sfollati o piccoli ebrei in fuga? Orfani non credo. Seconda guerra mondiale?
Mia cara, hai iniziato un racconto molto impegnativo e mi hai lasciato con tante domande e l’angoscia sospesa che nasce dal tuo raccontare lento. A presto, spero.
Ciao Francesca! La guerra c’è, ma in un modo che forse non vi aspettate. In realtà la storia si snoderà su tutt’altro fronte. Eh si, sono semplicemente orfani, o meglio, bimbi in affido. Più che lento, temo che il mio narrare sia parecchio ingarbugliato, spero di sciogliervi qualche nodo nel prossimo episodio. È una mini serie, non ci sarà molto da aspettare!
Una donna adulta, o forse anziana data la riflessione iniziale, che torna bambina raccontando, come se mi trovassi al suo cospetto, accanto a un camino che scoppietta, la sua storia.
Si capisce, come accade ricordando l’infanzia, che il punto di vista è alterno, quello sognante della bambina “giocando a sfiorare le nuvole con la punta dei piedi”, a quello consapevole della persona adulta che, senza spiegare, mostra la cruda realtà “Inutile ricordarle che la firma sui moduli per l’affido ce l’aveva messa lei”. Che bello!
Ho trovato l’ambientazione assonante a quel Tom Sawyer che viene nominato tra le letture dei bambini, ma traslata in Italia nella… seconda metà degli anni 70 (il Fiorino…)?
Anche la chiusa mi è piaciuta molto, in realtà, più che un finale mi è sembrata la vera apertura, come dire: adesso sì che viene il bello! In attesa del seguito, ti ringrazio per la bella lettura.
Ps. un refusino: “pario dispari”
Ciao Paolo! esattamente, la donna è adulta e parla con la maturità acquisita. Ma i ricordi sono bambini, e sono ancora in lei, quindi è come se per prima ascoltasse ancora quella bambina che è cresciuta con lei e non ha mai dimenticato. Per quanto riguarda il periodo, non ti posso dire se ci hai preso o no, sarà svelato nei prossimi episodi…sennò mi si rovinano i trucchetti narrativi, anche se nominare il Fiorino già è un mezzo spoiler 😉
Hai ragione anche sul finale. Da qui non si intuisce, ma la vera storia deve ancora iniziare. O meglio, il vero racconto. Grazie per questa attenta lettura, a presto!
E’ un piacere e… sorry, non era mia intenzione guastare un preludio, nominando l’innominabile mezzo a quattro ruote
No no, non hai guastato, hai dato le perfette indicazioni per un depistaggio…a tua insaputa 🤭🤭🤭
ps. grazie per la segnalazione del refuso
Peccato non poter continuare subito la lettura. Una storia che promette emozioni, brava Irene, ti seguirò come sempre.
Grazie Melania ❤️
Inizio meraviglioso Irene. Mi è piaciuto tutto e trovo i personaggi che hai delineato affascinanti. D’altronde da te non mi aspettavo niente di meno.
Grazie mille Guglielmo, le tue parole mi fanno davvero piacere!
Molto piacevole la lettura di questo racconto. Sono contenta che sia il principio di una serie, avendo giâ la certezza che ci aspettano tanti altri episodi coinvolgenti, teneri e leggeri come questo. Ho respirato l’ aria di un’ infanzia lieta, nonostante l’Algida e il broncio di Patrizio.Meraviglioso il finale.
In realtà sarà una mini serie, perché questo scritto è nato come racconto lungo, l’ho suddiviso in circa quattro episodi. Spero continuerà a piacerti, ho voluto provare uno stile un po diverso da quello che faccio di solito. Grazie Luisa ❤️
Complimenti, quelli che arrivano sempre e immancabilmente. È come essere trasportati fisicamente in un altro momento e guardare quello da cui si proviene attraverso una parete di vetro
Grazie Roberto 🙂
“Leggere fa”
Magistrale
In realtà la mia maestra delle elementari usava questa frase per la matematica, quando ci lamentavano che non serviva a niente 😅
Considerando la mia abilità per i numeri, l’ho sempre trovata più adatta applicata alla lettura!