L’ATTESA

Serie: MAGGESE


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: C'è un albero che terrorizza le notti di due bambini; c'è un agghiacciante ricordo d'infanzia; c'è un'ossessione che riemerge dal passato... e un mondo sotterraneo che vuole tornare in superficie.

Restammo barricati nella camera per tutto il giorno, vagando come lebbrosi avvolti in strati di coperte.

Fuori il giorno moriva, per la seconda volta, con l’impercettibile attenuarsi della già fioca luce, sotto a un cielo plumbeo sospeso sul prolifico mutismo della terra.

Dalla finestra, la campagna sembrava un predatore in attesa.

Di tanto in tanto Edda si appartava nell’armadio col suo pitale, incapace di trattenere i bisogni per il troppo freddo e per la paura.

Quella notte nessuno si presentò alla nostra porta, nemmeno il mezzadro.

Eppure dei passi non cessavano di muoversi al di là della soglia. Passi incerti, strascicati.

Per un istante ci sembrò addirittura di sentire il raglio metallico del chiavistello della stanza dei nostri genitori.

Io però non volli crederlo.

Non volli credere nemmeno al suono di posate sotto di noi.

Un’altra cena muta, che ascoltavamo dal letto, ma stavolta intercalata da suoni mai uditi prima.

Un linguaggio non composto di parole.

«Quella è la voce della mamma», bisbigliò Edda.

«Non dire sciocchezze!» la zittii.

Mia sorella prese a singhiozzare e a stringermisi addosso.

«Coraggio! Hai dieci anni!»

Le dissi per farla smettere.

«Alla tua età non si piange!»

Chissà poi se era vero.

Mi alzai in piedi, in cerca del mio tascapane.

Lo riempii con la latta di carburo e con tutti i viveri recuperati dal deposito degli attrezzi.

«Dobbiamo calarci giù dalla finestra e nasconderci da qualche parte!»

Edda mi fissò attonita.

Le presi allora la testa fra le mani e le dissi che bisognava chiamare aiuto.

In quel momento mi resi conto che a terrorizzarla più di ogni altra cosa era proprio il mio atteggiamento, e nonostante tutto sentivo l’oppressione di un pericolo imminente.

Spalancai la finestra e guardai in fondo alla notte: era un salto di molti metri.

Avrei potuto fare una lunga fune con delle lenzuola e assicurarla ai piedi del letto.

Frugai forsennatamente nel cassetto e iniziai ad arrotolare tutte le coperte che trovavo, sotto agli occhi perplessi di mia sorella.

«Non guardarmi così. Me l’hanno insegnato alla Gioventù! Piuttosto, aiutami a spingere il letto vicino alla finestra. Avanti!»

Lei restò impalata a fissarmi come se fossi un pazzo.

Quello sguardo mi fece sentire ridicolo.

Talmente stupido da farmi rinunciare all’impresa.

Tornai vicino a lei e la abbracciai.

«Vedrai che tutto si sistemerà, Edda».


Il giorno dopo decidemmo di attingere alla nostra scorta di viveri: mangiammo noci e biscotti, accorgendoci solo allora di essere rimasti senza acqua.

Presto sarei dovuto andare in avanscoperta per reperire almeno qualcosa di liquido.

In tarda mattinata ci giunse nitida la risata di nostro padre.

Aveva un tono tranquillo.

Sembrava che stesse scherzando con la mamma, dato che poi ci giunse anche la sua risata cristallina.

«Forse sono guariti!» suppose Edda.

Non me la sentii di farle notare la singolarità del loro atteggiamento: quel latitare per quasi due giorni; il salire e scendere le scale a tutte le ore per andare a mangiare coi Robuschi; il passare in punta di piedi davanti alla nostra porta senza nemmeno bussare, senza chiedere come stavamo.

Eppure sapevano che non ci nutrivamo da quasi tre giorni.

«Li hai sentiti anche tu, vero?» domandò Edda, verso sera.

Sì. Li avevo sentiti.

Mangiavano.

Erano a tavola da otto ore e non avevano mai smesso di mangiare.

Nessun essere umano sarebbe riuscito a ingurgitare così tanto cibo per tutto quel tempo.

Ormai avevamo imparato a riconoscere il loro nuovo modo di nutrirsi.

Quel suono che sembrava un linguaggio.

Un continuo rosicchiare, dilaniare, ingurgitare ed eruttare fra i gorgoglii straziati degli stomaci, i fischi e le flatulenze dei loro intestini satolli.

«Domani dobbiamo parlargli… dobbiamo chiedergli che cosa sta succedendo… perché qualcosa sta succedendo. Non è così, Edda?»

Lei non rispose.

Il suo mutismo mi faceva sentire ancora più solo.

Tentai di farle un’altra domanda, stavolta in tono più duro, per smuoverla da quel suo torpore, ma venni interrotto dalla voce di nostra madre al di là della porta.

Mia sorella scattò in piedi e corse ad aprire.

Nel buio del corridoio trovammo il viso emaciato di nostro padre: la fronte imperlata, due ombre nere sotto agli occhi, tonde macchie rosse lungo il collo.

Nostra madre, invece, si era perfettamente rimessa.

Con mia sorpresa ci disse che quella stessa sera saremmo tornati in città; che anche lei era stanca dell’aria insalubre e di quella famiglia tanto stralunata.

La abbracciai, sollevato dalla bellissima notizia.

Corsi nella mia stanza e agguantai il tascapane, così da avere già tutto l’occorrente per il viaggio.

«Ora però», disse, «è importante che mangiate.»

Acconsentii.

Le promisi che avrei fatto qualunque cosa pur di andarmene da lì.

Avrei mangiato di tutto, tranne che quelle bestie immonde.

«Bastava dirlo!» prese a ridere lei, «La signora Robuschi vi cucinerà qualcos’altro! Abbiamo pollo, vitello, maiale…»

«Ma… mamma… lo sai che qui non ci sono altri animali. Lo ha detto il mezzadro…»

Sentii le sue dita stringermi con vigore, mentre qualcosa nello sguardo pareva mutato: i suoi occhi non mi stavano realmente vedendo, velati com’erano da una specie di cataratta, come lo sguardo vuoto dei pesci avariati: due biglie incavate, spente e grigie.

«Hai capito male, Vittorio…» mi corresse lei, con una smorfia isterica.

«Quelle bestie non le abbiamo mai mangiate… mi sono sempre rifiutata di assaggiare quelle… “cose”», e così dicendo si passò la lingua sulle labbra, percorsa da uno spasmo di voluttà.

«Le tue mani… mamma…» la voce mi tremava, timorosa di smentire le sue bugie «…le tue mani puzzano di quella carne!»

«Povero. Piccolo. BASTARDO!» sbottò lei torcendomi il polso.

Serie: MAGGESE


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Discussioni

  1. Ho preso la decisione giusta nel voler leggere i tuoi scritti di sera, quando fuori c’è un tempo orribile. 😼
    Mi piace immedesimarmi nei bambini per provare il terrore scaturito da tutte quelle situazioni descritte con la tua penna Lovecraftiana.
    Inoltre trovo che il periodo, abbastanza lontano dai giorni nostri, contribuisca a creare quel distacco tra lettura e lettore, catapultandolo in un ambiente “a sé”.

    1. Grazie Mary! Sono contento che questa serie riesca a suscitare un po’ di sana inquietudine🙏🏻 Ancor più motivo di orgoglio, se penso che l’horror puro non è un genere che tratto solitamente😊

  2. Finalmente riesco a leggere questo episodio! In questi giorni, a causa dei “lavori in corso” ho evitato di venire qui. Allora, caro Nicholas, sei un grande! La tua abilità nel far aumentare la tensione gradualmente è eccezionale. Poi, la scena finale di questo episodio, con la madre chiaramente cambiata, quasi posseduta da quel mostro…Incredibile! Bravo!

    1. Ciao Arianna! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento. Troppo gentile!🙏🏻 In effetti questi lavori hanno un po’ rallentato anche le mie letture, me prometto che recupererò tutto🤗

  3. Ad ogni episodio si scende sempre di più giù da una spirale da cui è difficile risalire, e non so come fai ma ti superi in continuazione. Quello che viene suggerito qui è realmente spaventoso: è uno dei linguaggi che preferisco, quello di gestire “il detto” di modo tale che emerga un “non detto” invisibile, più potente di ciò che è manifesto. Anche se, c’è da dirlo, nell’ultima riga la follia della vicenda la manifesti abbastanza, ma proprio perché si tratta solo di una riga è ancor più efficace.
    E poi con questo nuovo font (probabilmente temporaneo) la lettura è stata ancora più evocativa.

    1. Ciao Gabriele! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento! Questo era l’episodio in cui l’inquietudine si manifestava in maniera più subdola. Gli episodi finali vireranno su un orrore manifesto, più affine al buon vecchio Barker 🙂

  4. Continua l’accurata scelta delle parole, senza che la narrazione risulti forzata (e non ci vuole poco).
    La scelta di tanti paragrafi brevi e staccati è azzeccata e rende l’idea, appunto, dell’attesa.
    Una serie degna di nota!

  5. Fino a ora avevo trascurato i link musicali, ma non mi era sfuggito che si tratta di brani dark ambient, musica della quale non conosco assolutamente nulla. Mi ero ripromesso di leggere almeno un episodio con quella musica in sottofondo e l’ho fatto ora. Gliel’hai messa apposta, vero? E’ cosi’ che va letta la storia, con un sottofondo inquietante che ne accentua la tensione.

    1. Ciao Francesco! Esatto 😄 Li scelgo apposta per rileggere il capitolo, e così vedo se riescono ad accompagnare bene la lettura. Da ex chitarrista (e appassionato di musica strana) avrei sempre sognato di fare io stesso le colonne sonore delle storie. Ma il tempo purtroppo è quello che è 😅

  6. Potente! L’orrore a pensare a quel che mangiano, l’orrore della loro trasformazione e infine il terrore per ciò che vogliono imporre a quelli che prima erano i loro figli. Bravo Nicholas, gran bel racconto.

  7. Mi pareva di vederli, i due bambini, rinchiusi al buio in quella stanza per ore ad ascoltare il suono disgustoso del pasto consumato. Ciò che maggiormente sei riuscito a trasmettere è la sensazione che da piccoli si prova quando gli adulti sono indifferenti nei nostri confronti. Basta poi un minimo gesto di accoglienza da parte loro per far sparire il rancore. La madre, nella scena finale è davvero terrificante e quasi si sente la puzza della trasformazione. La tua prosa è perfetta, come sempre un lessico ricco e accattivante. Racconto bellissimo.

    1. Ciao Cristiana! Grazie mille per la lettura🙏🏻 Per me è un grande risultato aver saputo trasmettere questa inquietudine sottile (nella vecchia versione non c’era questa parte) e soprattutto averla trasmessa attraverso il punto di vista di un ragazzino😊

  8. Ciao Nicholas, bellissimo episodio! Hai reso perfettamente la paura dei due bambini, la stessa che hai insinuato in chi legge. E lo hai fatto descrivendo rumori, azioni ripetute senza senso e quella campagna che sembra una prigione. In più, Vittorio non è solo, ma può contare su sua sorella fino ad un certo punto e questo rende l’attesa ancora più drammatica.
    Mi chiedo cosa accadrà, bravissimo!