Lavaggio Speciale Sport – 52 minuti

Serie: Un pessimo desiderio


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Libri e indumenti odoravano di urina e detergente per pavimenti economico. L'occhio mandava lampi pulsanti di dolore rancoroso, ma Martina non lasciava trasparire mai niente di ciò che lacerava la sua anima.

Quei riflessi non potevano essere ingannevoli. L’aroma, per quanto onnipresente, non dava fastidio. Si sentì quasi colpevole per le volte in cui, preso dalla frustrazione, le aveva urlato contro la sua rabbia.

– Non mi hai fatto mai del male. Le tue erano solo provocazioni per testare la mia resistenza, le mie reazioni, i miei stati d’animo… Sei la mia sola amica. – Agni carezzò la superficie del liquido ambrato con un sorriso affettuoso.
Il liquido s’inclinò, era la prima volta che otteneva una risposta tanto evidente. Sembrava allontanarsi da lui accumulandosi sulla parete di fronte, poi tornò violentemente sommergendo quasi completamente il prigioniero che chiuse gli occhi ed allargò le braccia come a stringere a se una vecchia amica.
Il
rum stava prendendo vita? In quel preciso istante, Agni non aveva una spiegazione razionale, pensò che tutte le sue maledizioni, le sue canzoni rabbiose e la disperazione cocente avessero intriso con parte del suo spirito la bevanda che saturava ormai da anni le sue vesti.
Si muoveva disordinatamente: ondate turbinavano da una parte all’altra della sua ormai familiare stanza circolare, riusciva a vedere persino il pavimento e finalmente i suoi piedi. Qualunque novità in quella sorta di immobilità perenne era benvenuta. Il liquore si arrampicò quasi a toccare il soffitto a volta di quella piccola cella senza porte con solo un piccolo foro nel punto più alto, per poi ricadere sulla testa di Agni come una cascata impetuosa, ma innocua. La botola rotonda che faceva da ingresso alla prigione venne aperta, una violenta luce accecante dipinse un cerchio brillante sulla superficie della bevanda che rimandò agli occhi del prigioniero dei diamanti dorati che scintillavano gioiosamente. Il recluso sorrise assaporando un flusso di aria nuova che portava aromi strani e mai annusati prima. Agni decise di mettersi sotto quello spot circolare di cambiamento luminoso e tanto atteso. Speranzoso, sollevò la testa chiudendo gli occhi.

                                                                  ***

Quando aprì la porta, Martina, si augurò con tutto il cuore che in casa non ci fosse suo padre, né Denitsa, la signora che teneva in ordine l’appartamento. Desiderava solo una doccia calda, due gocce di collirio a base di camomilla e buttarsi a peso morto sul suo letto lasciandosi scivolare di dosso quella orribile sensazione di essere poco meno importante di uno dei sacchetti dell’umido che si buttano il mercoledì sera, insieme al vetro.

– Oh Martina! Come tu sta? Io ho quasi finito qui, tutto. Manca solo di ingresso e poi io vado! – Denitsa, la collaboratrice domestica assunta dal padre non appena trasferiti, salutò distrattamente la ragazza trascinando con se due grosse buste di spazzatura in bioplastica trasparente azzurra.
– Buongiorno Deni! – Martina ricambiò il saluto abbassando lo sguardo e cercando di nascondere il suo occhio destro pesto e iniettato di sangue.
– Io vado a farmi una doccia! Se non dovessimo vederci, ti auguro un buon pomeriggio! – La ragazza fece due passi sui gradini che portavano al piano di sopra, verso l’isolamento rigenerante del suo bagno e della sua stanza.
– Non sporcare! Fa attenzione non lasciare vestiti sporchi per tutta casa! – Si raccomandò la colf, girandosi e dirigendosi verso la lavanderia.
– Tranquilla Deni! Starò attenta! –
Martina salì le scale di corsa, svuotò lo zaino pieno di libri zuppi e vestiti che odoravano di cesso pubblico. La lavatrice venne rapidamente riempita da una felpa rossa, un paio di jeans e una maglietta nera. Mise a lavare anche la felpa grigia di ricambio presa dall’armadietto scolastico, restando in biancheria intima e calzini: un paio di slip e reggiseno in cotone a righe orizzontali bianche e verde acqua. Lo specchio alle sue spalle rimandava l’immagine di una schiena piena di piccoli e grandi lividi di colori diversi, dal rosso bluastro, al verdognolo, fino ad arrivare a un bel giallo dorato.
Sganciò il reggiseno, e tolse anche gli slip infilandoli nell’elettrodomestico, chiuse l’oblò color grigio acciaio e fece per premere il bottone d’avvio… si fermò ripensando a qualcosa, poi tornò alla porta, controllò che non ci fosse nessuno nel corridoio e prese, con uno scalpiccio frettoloso, il suo zaino in camera, lo svuotò completamente e di corsa ritornò in bagno. Anche le sue gambe erano variopinte, meno della schiena, ma pur sempre segnate da quell’odio insensato e crudele che l’accompagnava in ogni istituto scolastico che cambiava. Tutta colpa del lavoro del padre. Mise anche lo zainetto a lavare, dosò il detersivo che profumava di sapone di Marsiglia e premette il pulsante d’accensione. La macchina segnalò l’avvio del programma per il lavaggio deciso, ma delicato di indumenti sportivi con una musichetta cheap tune che somigliava ad un vecchio videogioco. 
Si guardò allo specchio ancora una volta: l’occhio era di un bel viola con una sclera rossa leggermente screziata di bianco, fece un respiro profondo, i suoi seni appena accennati si sollevarono seguendo l’espansione della cassa toracica, notò anche lì, sotto al capezzolo sinistro, un ematoma piccolo e rotondo, non ricordava chi fosse l’autrice o l’autore di quella medaglia al valore.
Fece scorrere la porta in vetro della doccia sulla sua rotaia, aprì il rubinetto e affogò i residui di rabbia, dolore e umiliazione in quell’acqua bollente, ma non versò neanche una lacrima, né si lasciò vincere dallo sconforto.
Quando abbassò la leva del miscelatore interrompendo il flusso dal largo soffione, il bagno sembrava immerso in una fitta nebbia, lo specchio appannato rimandava un’immagine sfocata e indefinita della sua figura e questo in un qualche modo la confortava.
Si
 avvolse nell’asciugamano grande, di un pacchiano rosa pastello, agganciandolo sul petto, legandolo e piegandolo con cura in modo da non farlo sganciare. Districò i capelli rossi con un pettine a denti larghi, toccò ancora una volta l’orbita gonfia avvertendo una fitta di dolore fin troppo familiare.

Tutta colpa di papà! Pensò stringendo i pugni con un rancore che sbiancava le nocche. La sua era una convinzione che si andava consolidando nel corso degli anni.

Serie: Un pessimo desiderio


Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Young Adult

Discussioni