L’ultimo tè

Serie: Il maledetto cacciatore di fantasmi - with Lorenzo R. Gennari


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo tre fallimentari tentativi di esorcismo, Eugenio viene richiamato dalla padrona dello stabile per ripagare i suoi 36 mesi arretrati di affitto ed i danni all'appartamento.

Mentre il cervello condannava le funzioni motorie nel tentativo di processare gli ultimi eventi, il colpo di grazia bussò alla porta. Eugenio fu colto dal timore che qualcuno potesse vedere la condizione in cui aveva ridotto l’appartamento in affitto, e fu ancora più timoroso quando, aprendo la porta, si ritrovò davanti ad un uomo di colore, molto magro e fisicamente chiuso in un terrore vero quanto il suo.

L’uomo con voce fine gli disse:

— Noztra zignora, vi invita alla zua um…um-ile di-mora per diz-cutere della voztra con- condotta! —

Eugenio non fece in tempo a rifiutare l’invito che l’uomo era scomparso dal pianerottolo, tremando e gemendo.

Prima di uscire, si rese conto che i suoi neuroni non erano abbastanza fritti per non renderlo incosciente del pericolo. Si scolò cinque birre, due martini, un paio di polase e si infilò il suo giubbotto da barbone motociclista con il teschio bianco, ormai color cerume. Dopo aver aggiunto anche un paio di pillole di xanax, era deciso ad affrontare l’ineluttabile sfratto.

Povero grosso idiota, non poteva sapere cosa lo attendeva nell’appartamento della sua e padrona, anche conosciuto come l’ultimo vero appartamento sotto patrocinio del Demonio.

Ad ogni passo calpestava un corpo assuefatto dal caffè; ogni scalino era un anno della sua vita che se ne andava, e dopo averne scesi un centinaio, arrivò davanti alla porta più morto che vivo.

L’ultima vera porta dell’ inferno si presentava di un colore verde acido, la pittura su di essa era scorticata; solchi di unghie ne riempivano la base ramificandosi verso la metà della porta. Una lampadina, dondolante dal soffitto in cemento armato, lampeggiava illuminando i nomi incisi al centro di essa. Mentre deboli lamenti echeggiavano debolmente nelle sue orecchie, giudicò che la lista era molto lunga e che molti di essi erano investiti da uno sfregio: erano coloro che avevano saldato il loro debito. L’unico nome ancora inciso su di esso e libero dal giudizio era il suo. Ma l’unica prova dell’Inferno in cui sarebbe entrato, era la scritta incisa sulla traversa di cemento. I

caratteri erano lunghi e aguzzi come denti, i quali recitavano:

“Dio punirà gli evasori fiscali, gettandoli in una voragine di debiti!!!”

(666:13) Bibbia delle Leggi Fiscali.

Fu con una straordinaria e alquanto singolare volontà d’animo, che Eugenio premette stoltamente il campanello. Il dolore acuto che lo spuntone provocò penetrando nel suo polpastrello causò la diffusione di un grido di dolore ben poco mascolino lungo l’ardua scalinata. Si accorse di esso quando ormai la finestrella era aperta e gli occhi austeri di Maria lo stavano squadrando.

Il vecchio era opportunamente occupato a decontaminare il rispettivo pollice con la propria saliva. Una visione adatta ad essere immortalata in un quadro surrealista.

— Ho riconosciuto la tua voce da che**a — mormorò la piacevolmente ironica donna.

All’improvviso, trovatosi davanti al suo peggiore incubo, cominciò a sentire le gambe divenire gelatina.

— Un mio vicino mi ha detto che vuole vedermi, signora —

— Mia Signora, per te, renitente. — replicò in modo raffinatamente puntiglioso Maria, incrinando le rughe in un elegante sorriso compiaciuto.

Il portone si aprì dopo una serie di risonanti catene. Ben prima che il portone si aprisse Eugenio si immaginò quali impunità nascondesse la donna nel suo appartamento e quanti scheletri di zio Tom nascondesse nel suo armadio.

— Prego si scomodi — disse la Maria facendosi educatamente da parte.

Eugenio entrò nell’appartamento, il quale presentava un persistente odore di scrippelle molisane e…mai si sarebbe immaginato un simile orrore. Il suo occhio si concentrò sui centrini, le tende in trina costellate di fiori, le scrippelle dalle quali proveniva l’impatto iniziale al suo naso, posate su una tovaglia in capelli di ebreo; un quadro in olio del Fürer troneggiava su un Arcano 91 e uno Scotti messi a croce; La divisa delle SS ancora in buone condizioni su un manichino femminile e, infine, una Satanclette modello 666, rossa fiammante.

Quando ella, manualmente, chiuse la porta e serrò i catenacci, comprese di essere entrato in un tunnel senza ritorno. Era un topo in trappola, nella zampa del gatto. Fu allora che, con voce cortese Maria chiese:

— Posso offrirti un ultimo caffè? —

Eugenio sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Il Cucinazord, la tempesta di caffè, il suo povero cane che volteggiava gemendo, quella donna era lì e ora con quale sorrisetto compiaciuto gli offriva il caffè. “Il Demonio” pensò ad alta voce Eugenio.

Francamente, io penso che la donna, per quanto i suoi difettucci potessero far pensar male ai cari lettori, avesse solo intenzioni cortesi, offrendogli una bevanda calda prima della dipartita.

— N-no grazie… p-preferirei un tè… — balbettò.

Eretico! — urlò una lontana voce spettrale.

Maria mise, pietosamente, la teiera sul fuoco. I due si sedettero, ognuno scrutante gli occhi dell’altra con intensità scottante. Passarono diversi minuti.

Ai cari lettori potrebbe ricordare una delle scene di Spaghetti Western, in cui i due sfidanti si osservano negli occhi, sulla via deserta di una cittadina dove le Rose di Jericho invadono la visuale nel silenzio.

Ma Eugenio interruppe questo magico momento, con una sortita che potrebbe rispecchiare il medio fruitore di tali film, nelle seguenti scene:

— Allora? Che cosa stiamo aspettando? —

— Il tuo ultimo tè. — rispose l’anziana con posata fermezza.

— Pensavo che volesse parlare del rimborso — Eugenio provò un senso di depressione a pronunciare

quella parola — … per i danni all’appartamento —

— Infatti, oggi sei stato chiamato per ripagare i tuoi debiti…con la vita. —

Serie: Il maledetto cacciatore di fantasmi - with Lorenzo R. Gennari


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