Mia madre

Serie: The place


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Mina tenta di fuggire, lontano...

Mentre Jonathan si dilungava nel raccontare il suo passato, Mina iniziò a distaccarsi dal gruppo. Era sempre lì, pochi passi più indietro rispetto a Jonathan e Oswald, ovviamente, ma con la testa era qualche centinaio di metri più avanti – o più indietro.

Oswald non le aveva mai chiesto l’età – il che era comprensibile dato che lei era una donna e lui era un uomo a modo – ma non si era nemmeno mai interessato alla sua storia. Nessuno, a dire il vero, le aveva chiesto di raccontargliela. Eppure anche lei ne aveva, di cose da raccontare. Da lontano giunse l’eco di uno sparo; Mina decise in quell’istante che avrebbe raccontato la sua storia a Vera, una volta ritrovata. Intanto gli altri due, in un punto della conversazione a lei estraneo, non si accorsero che Mina si era effettivamente allontanata di un paio di metri. Ovviamente non potevano sapere che con il pensiero si trovava ancora più lontano, forse addirittura in un altro stato; o all’altro capo del mondo.

“Raccontami la tua storia, Mina.”

“Non me l’hai mai chiesto” disse Mina, un po’ sorpresa.

“Beh, te lo chiedo ora”. Vera sorrise.

“Mia mamma adorava andare a teatro.”

“Per fare cosa?”

Mina si voltò alla sua destra, perché era lì che Vera stava camminando. Le disse: “per ascoltare l’orchestra. O un pianista; cosa dovrebbe farci in un teatro, altrimenti?” Rise spensierata. Jonathan si voltò e la scrutò un istante. Lei ricambiò lo sguardo mantenendo il volto sereno. Lui scosse la testa e tornò al suo discorso con Oswald.

“In effetti, non vedo cos’altro avrebbe potuto farci, in un teatro” rispose Vera ridendo. “Anche tu suonavi il pianoforte, vero? Me lo avevi detto, un giorno…”

“Sì…” rispose Mina sospirando. “Ma non ce l’ho fatta.”

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire” disse Mina alzando le spalle, “che arrivata a un certo punto, ne avevo fin sopra la testa. Non faceva per me, studiare per tutte quelle ore… e poi il mal di schiena.”

Vera camminava leggera, tanto che se Mina non avesse guardato in basso – e avesse quindi ignorato i suoi piedi che poggiavano sulla strada – avrebbe potuto credere che aleggiasse sospesa nell’aria. Lei, invece, si sentiva sempre così pesante, così ancorata al suolo… tempo prima, quando passava metà delle sue giornate negli uffici, i cui pavimenti erano ricoperti di lussuose moquette, quasi non ci aveva fatto caso; ora invece quella pesantezza, palesata dal tonfo dei suoi passi amplificato dallo scricchiolio dei vetri o dei rifiuti, era diventata evidente. Era proprio questa pesantezza, la sensazione di avere un’ancora calata in mare, che la induceva a credere che nulla sarebbe mai cambiato. Se non ci era riuscita una bomba atomica, a spezzare quelle catene, allora cosa sarebbe servito?

“Secondo me avresti fatto meglio a continuare” disse Vera ad un certo punto.

“Ma non mi faceva stare bene. Ero sempre così in ansia…”

Vera rise, voltandosi con grazia per guardarla, e disse: “Mina, quando mai non sei stata in ansia?”

Ci fu una pausa, durante la quale Mina abbassò lo sguardo. Vera si avvicinò, cingendole le spalle.

“Il giorno in cui mi decisi a darle la notizia che avrei abbandonato gli studi di pianoforte” continuò Mina, “lei entrò nella mia stanza. Tra le dita teneva un plico di carte. Piangeva.”

“Come mai?”

“Erano referti dall’ospedale; le erano arrivati per posta quello stesso giorno. Lei non mi raccontò di quel dettaglio, ma ricordo che stavo facendo un pisolino, quando il campanello mi svegliò. Era il postino; lo sapevo dal modo in cui aveva scampanellato.”

“Già, si può sempre distinguere un postino, dal modo in cui suona il campanello” concordò Vera. “Ma quindi, perché piangeva, tua madre?”

“Cancro al seno” mormorò Mina.

“Oh… mi dispiace così tanto…”

“Anche a me” sospirò Mina.

“Come prese la tua decisione sugli studi?”

“Non le dissi nulla”. Mina fece una pausa. “Quel giorno continuai a suonare, anche più del solito, e così feci ogni giorno fino alla sua morte.”

“Quindi, sotto sotto, la musica ti piaceva, dico bene?”

“No” disse laconica Mina. “Per me era un supplizio. Ma mia madre… di solito finivo di studiare alle sei di sera, invece in quei giorni continuai anche fino alle otto. Lei non mi diceva di fermarmi. Era felice che stessi studiando così tanto.”

“Oh, Mina…” cercò di sorriderle e la guardò intensamente, forse chiedendosi cosa avrebbe potuto tirare su di morale la sua amica. Non era molto brava in questo, ma decise di azzardare un tentativo. “Quindi” disse, “se un giorno ti chiedessi di suonare qualcosa…?”

“Non tocco un pianoforte” ribatté Mina dura, “dal pomeriggio che è morta.”

“Cosa?” chiese qualcuno davanti a lei. Era Jonathan, voltatosi, e che ora la fissava.

“Nulla” si affrettò a dire Mina. Guardò alla sua destra, ma Vera non c’era più.

I suoi passi, invece, continuavano a risuonare pesanti. E rimbombavano, tra le mura dei palazzi sfasciati; attraverso i vetri infranti. Si affrettò a raggiungere il gruppo.

Serie: The place


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Allora, avrei due ipotesi: 1- Mina è impazzita e ha iniziato ad avere le allucinazioni; 2- Vera è morta e quello era il suo
    fantasma 🤔 sono curiosa. Svelto, pubblica il prossimo episodio 😅

  2. Oggi ti sei superato Nicola. Questo episodio è intenso e struggente.
    La malinconia di Mina mi è arrivata dritta al cuore. Il modo in cui il suo passato riaffiora nei pensieri, il dialogo (reale/immaginato) con Vera, quella pesantezza che sente dentro e fuori di sé… tutto è descritto con molta delicatezza.
    Il passaggio sul pianoforte, sulla madre e sulla sua scelta, è uno di quei momenti più toccanti. E il finale… una chiusura in dissolvenza, lieve ma potentissima.
    Davvero complimenti.

  3. Come scorre via naturale, questo testo. Sei davvero molto abile con i dialoghi, non hanno nulla di forzato. Il tutto è proprio un piacere, nonostante l’atmosfera non proprio gioiosa. Il piacere delle cose fatte bene.

  4. È stato semplice empatizzare con Mina che in un momento di grande difficoltà emotiva è riuscita a sganciarsi dalla realtà creando una sua dimensione di conforto. Aprirsi con Vera, seppur non fosse realmente lì, ha fatto percepire la persona che è realmente Mina.
    Ho la sensazione che tutti i tuoi personaggi siano stati coniati dal dolore e ognuno abbia deciso di trarne il meglio o il peggio.
    Sei veramente bravo, Nicola, sono contenta di essermi messa in pari con la serie. 😸❤️

    1. Mary che dire, ti sei letta 20 episodi tutto d’un fiato. E questo, oltre le tue bellissime parole, mi riempie di gioia e soddisfazione. Ora si va avanti con la speranza di aver creato qualcosa di non troppo noioso 🙂

      1. E comunque sì, effettivamente ogni personaggio ha una storia triste alle sue spalle. Il mondo post apocalittico mette ciascuno di loro alla prova, facendoli reagire in modo diverso, proprio alla luce di questi traumi passati.