Mio padre

Serie: The place


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il trio si mette in cammino. La strada è lunga e il percorso nasconde le insidie più impensabili... ma è anche l'occasione per il gruppo di conoscersi meglio.

La mattina del secondo risveglio in quello squallido palazzo, Mina si alzò per prima. Ravvivò il fuoco con quel poco che trovò nei dintorni, e controllò che i vestiti di Oswald – riposti accanto al falò – fossero asciutti. Non lo erano, ed erano gelidi. Iniziò a camminare lungo il piano in cerca di qualcosa con cui ravvivare la fiamma. Al suo ritorno, trovò Oswald e Jonathan seduti nei sacchi a pelo.

“Sei mattiniera” disse Oswald sorridendo. Jonathan guardò distrattamente i pochi cocci di legno che teneva tra le mani, poi tornò a guardare il fuoco con aria assente.

“Grazie, Mina. Immagino che i miei vestiti siano ancora inutilizzabili.”

“Credo di no” rispose lei, e si chinò posando tre cubetti di truciolato compresso sulle braci, le quali però erano troppo timide perché quel materiale ancora umido alimentasse la fiamma. Il risultato fu una fumata bianca che li avvolse, insinuandosi nelle loro gole, e facendoli tossire. Jonathan si protrasse in avanti soffiando alla base del mucchietto di legni, e poco a poco il fumo si diradò mentre le braci tornavano rosse, e la fiamma iniziava a divampare, timida, tra i cocci. Mina si strofinò gli occhi arrossiti dal fumo.

“Non fa niente” la rassicurò Oswald. Jonathan non parlò. Mina tacque.

Il sole iniziava a spuntare dai tetti dei palazzi, quando iniziarono a camminare. Percorsero Harrow Street, una strada di circonvallazione più lunga rispetto ad altre, ma che a detta di Oswald sarebbe stata meno trafficata. Non si sbagliava; durante le prime due ore di cammino incrociarono solo due persone. Uno di loro, un vecchio, li guardò con sospetto prima di dileguarsi in un vicolo. L’altro, un ragazzo apparentemente molto più giovane di Jonathan, cercò di vendergli una sostanza non ben definita contenuta in un sacchetto di plastica.

Oswald e Jonathan camminavano l’uno di fianco all’altro. Mina li seguiva a un metro di distanza. Per lo più i primi parlavano fra di loro; lei si limitava ad ascoltare. Le battute scandivano i passi e si univano con i rumori di sottofondo della città silenziosa; quest’ armonia di suoni ricordava a Mina le passeggiate in alta montagna con suo padre. Il fratellino (troppo piccolo per quei sentieri scoscesi) e sua mamma restavano a casa ad aspettarli, e lei poteva avere quel momento tutto per sé.

“Non ti ho chiesto l’età” attaccò Oswald dopo una pausa.

“Ventotto.”

“Io non me li ricordo nemmeno, i miei ventotto anni” commentò Oswald scuotendo la testa. “Cosa facevi prima che…” e si interruppe con un gesto della mano che includeva l’ambiente circostante.

“A dire il vero, non lo so nemmeno io.”

“È normale per un ragazzo della tua età.”

Jonathan lo guardò, stupito che le sue parole fossero state comprese all’istante da Oswald. “Studiavo legge” disse, “ma forse lo facevo solo per accontentare mio padre.”

“Capisco…”

“Era un senatore.”

“Tuo padre?”

Jonathan annuì. “E oltre alle sorti del paese, si sentiva in dovere di governare anche il mio, di futuro” disse. C’era amarezza nella sua voce. “Mi sento…” e si guardò intorno, in cerca di qualcosa. “Come una barca senza vela, che va al largo secondo le correnti.”

Oswald annuì in silenzio. Camminava con i pollici issati sotto alle bretelle dello zaino, lo sguardo puntato in basso e il passo costante. “L’hai più rivisto?” chiese.

“No” sospirò Jonathan. “Il giorno dell’esplosione credo che fosse in visita alla base militare. Non tornò a casa. Io ci sono rimasto per qualche giorno. Non che sperassi di vederlo tornare…” si guardò attorno. “Ecco, semplicemente non sapevo cosa fare.”

Scrutò una seconda volta la strada davanti a sé, pensando. “Il terzo giorno è successo qualcosa. Due predoni scavalcarono il muro del giardino; erano armati. Me la diedi a gambe levate, senza prendere nulla dall’armadio”. Rise. “Per questo sono vestito così. Quei due mi spaventarono al punto che dimenticai persino di afferrare un giubbino.”

Mina, camminando poco più indietro, pensava a cos’avrebbe fatti lei se qualcuno si fosse intrufolato in casa sua. Sarebbe scappata come Jonathan? O sarebbe rimasta impalata, in mezzo al soggiorno, a fissare il suo carnefice?

“Ho vagato senza una meta, se non quella di allontanarmi dalle vie principali il più possibile. E poi ho trovato il palazzo abbandonato.”

“Ti manca tuo padre?” chiese Mina.

“No” rispose laconico Jonathan, senza voltarsi. Lei arrossì, odiandolo per quella risposta così fredda, ma allo stesso tempo biasimando se stessa per la domanda. “Credo che abbia fatto un favore al mondo, andandosene.”

Il silenzio calò fra i tre, e né Oswald né tantomeno Mina si azzardarono a romperlo.

“Credo che la bomba abbia fatto un favore al mondo.”

“Dici?” chiese Oswald.

“Credo di sì. Alla fine, cos’è cambiato? Le persone cercando di comandare sugli altri, manovrandoli per ottenere un profitto. Lo fanno fino a quando qualcuno di più spietato prende il loro posto.

“Non lo so…” mormorò Oswald.

“Non sei d’accordo?”

“No, quello che dici è vero… solo che non saprei come metterla, esattamente. Forse è più complicato di così.”

Jonathan annuì. Erano giunti dinnanzi a un edificio in fiamme. Si fermarono, intimoriti alla vista del fuoco che si arrampicava su per le pareti, imbucandosi nelle finestre dai vetri infranti. Sulla facciata in mattoni rossi che dava sulla strada, ogni appartamento disponeva di un balconcino dalle ringhiere in ferro arrugginito. Su uno dei balconi dell’ultimo piano, scorsero i fronzoli di un vestitino azzurro da bambina. Il fumo e l’altezza impedivano di vedere di più. Guardarono in silenzio chiedendosi se dentro a quel vestito ci fosse una fanciulla, sperando nel loro cuore che non fosse così, e tuttavia incapaci di crederci del tutto. Osservavano ammutoliti il balcone, come partecipanti di una veglia funebre, e a Mina balenò un pensiero: dentro a quell’abito, nascosta dal fumo, dai mattoni del balcone, e dalle fiamme, c’era Vera Donovan.

Restarono per qualche minuto interdetti di fronte a quell’orribile spettacolo, osservando i disegni delle fiamme che si intrecciavano tra le assi scoperte e le travi d’acciaio incrinate; e le colonne di fumo nero che si innalzavano altissime nel cielo, come grattacieli oscuri. Poi il vento cambiò direzione, trasportando i fumi in strada, e l’aria si fece irrespirabile.

Proseguirono. 

Serie: The place


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Discussioni

  1. Un racconto malinconico e pieno di tensione sommessa. I dialoghi sono credibili. L’immagine del vestitino tra le fiamme lascia un vuoto difficile da ignorare. Bello e doloroso.