MORTE SUI MONTI

Serie: LA VALLE DELLE LACRIME


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Elena si risveglia in una buca scavata nel terreno e scopre di essersi fratturata una gamba nella caduta. In città, Cleros affronta Luigi Caballario.

CASERMA CARPAR

«Dov’è l’ufficio del commissario?»

Il proprietario della voce si trovava all’entrata, vestito elegantemente con camicia, giacca e cravatta, e una valigetta stretta con così tanta forza nella mano destra da lasciare impressa la forma delle dita sulla pelle del manico. Tutta quella apprensione indicavano un certo timore di essere rapinato o di perderla, e quei suoi occhi socchiusi come veneziane di una casa rendevano la sua espressione ancor più glaciale. In tutta la sua alta ed enorme mole, riusciva a occupare interamente la porta soltanto restando fermo, la stazza prorompente.

Titubante nel rispondere e fornire incautamente informazioni a uno sconosciuto su un suo diretto superiore, l’agente guardò perplesso quel suo raccapricciante interlocutore. Aveva ancora bene impressa la sfuriata del giorno prima subita da un altro agente: era entrato nell’ufficio del commissario soltanto per chiedere cosa fare con alcune scartoffie quando rimbombarono le sue urla. Da alcuni giorni ormai il commissario era sempre nervoso, agitato, e non voleva essere disturbato per nessuna ragione al mondo, trincerandosi nel suo ufficio.

«È fuori» si limitò a dire. Inconsciamente aveva iniziato a stropicciare alcuni documenti tra le mani, la tensione sempre più palpabile. In cuor suo, sperò di fare la cosa giusta e di non star combinando guai, mentendo. 

«Ma lei chi è?» aggiunse, curioso.

«Non ha importanza. Devo parlare con lui assolutamente» ribatté l’uomo. Freddo, deciso e inespressivo, dal viso  non mostrava la benché minima emozione. «Mi dica quando potrò incontrarlo se non–»

«Fallo accomodare» ordinò una voce alle spalle del poliziotto. Quest’ultimo si girò di scatto:

era il commissario, metà corpo fuori dalla stanza e l’altra metà ancora celata all’interno, i suoi occhi immalinconiti come calamite. «Il signore non disturba…» si affrettò a precisare.

MONTE PAVONE

I chiacchieroni non li aveva mai sopportati. Li considerava fastidiosi al limite dell’impossibile, li odiava. Ma in quell’occasione, purtroppo, doveva pescare quel po’ di pazienza di cui disponeva dal profondo dell’animo e resistere a quella labile tortura psicologica.

In quell’ora e mezza di cammino, il suo improvvisato cicerone si era prodigato nelle più disparate spiegazioni riguardanti i fucili, le cartucce, la selvaggina e le casupole usate come nascondiglio per gli appostamenti. E ogni tanto, solo quando si ricordava della sua presenza, lo interpellava per chiedergli un parere.

«Non saprei… » rispondeva Tarcisio ogni volta, la mente impegnata in altro. Doveva trovare quella donna viva, possibilmente, ma il vero problema era dove.

Di lei, infatti, non era rimasta nessuna traccia. Non vi era impronta o pezzo di tessuto in tutto il bosco, aveva scrutato attentamente ogni anfratto, roccia e albero in cui si era imbattuto, osservato nelle sterpaglie e nei rovi, ma nulla. Era come volatilizzata.

«Maledetta tu e tuo fratello», imprecò tra se e se, «e stupido io ad aver accettato!»

«Mi ha chiesto qualcosa?»

Si voltò verso il cacciatore, un’espressione truce dipinta in volto. Aveva inveito a voce alta senza nemmeno accorgersene.

«Non sto parlando con nessuno» rispose, il dirompente desiderio di tappargli la bocca con la forza.

«Ma è sicuro? Ho sentito che stava-»

«Sicurissimo!»

Proseguirono il loro cammino tra alberi e rovi circondati dai suoni del bosco finché, in lontananza, la guida non intravide qualcosa. Si fermò di scatto, facendo lo stesso con Tarcisio, e indicato un punto di fronte attorniato da sterpaglie, gli chiese quasi sussurrando: «Ha mai visto un animale in trappola?»

Poi gli fece cenno di restare fermo, in silenzio, mentre lui si avvicinava a una buca poco lontana. Lo vide imbracciare il fucile e caricare, lasciando risuonare tra gli alberi il suono sordo prodotto dall’arma. Si avvicinò quatto, pronto a far fuoco, i passi felpati per non produrre altri rumori.

Vi era qualcosa di affascinante in quella scena: sembrava di ammirare le mosse di un felino pronto a balzare sulla sua povera preda per ucciderla. Quella figura, coi suoi movimenti, trasmetteva la bramosia dei predatori. D’altronde, che differenza c’è tra gli uomini e gli animali?

Ad ogni suo passo, l’uomo manifestava una certa sicurezza, e forse era proprio quello ad affascinare Tarcisio. Quando il cacciatore si affacciò nella profonda fossa, l’arma pronta a far fuoco e il dito sul grilletto, rimase come estraniato per alcuni secondi dalla scena davanti ai suoi occhi.

«C’è una persona!» urlò d’improvviso inginocchiandosi, il fucile posto poco lontano. «C’è una persona dentro, mi aiuti!»

L’altro, seppur restio a intervenire, accorse velocemente. Se qualcuno cade in una buca, sono affari suoi pensò percorrendo la breve distanza che lo separava dall’uomo. Ma la situazione necessitava di una parvenza di ”normalità”, e per farlo bisognava agire da persona benevola quale non era. 

Ciononostante, affacciatosi anch’egli nella buca per osservare, non poté evitare di sgranare gli occhi per lo stupore: forse morta, all’interno vi era una donna priva di sensi e con gli abiti logori, probabilmente a causa della caduta. Fu allora che, come un lampo, un guizzo repentino lo spinse ad estrarre la foto dalla tasca dei pantaloni e compararla a quel corpo inerte.

«Non è possibile» disse, la bocca schiusa dall’incredulità. Appagato, un sorriso si formò lentamente sulle labbra: «Ti ho trovata…» 

«Mi dia una mano, svelto!» lo incalzò il cacciatore riportandolo alla realtà. Non lo degnò della minima attenzione, ripose la foto nella tasca e lo scrutò, impegnato com’era ad osservare di sotto. 

«Credo che la nostra passeggiata sia appena finita. »

«Cosa ha de-»

La frase rimase sospesa nell’aria. Un fastidioso bruciore iniziò a diffondersi nella gola, seguito subito dopo da una strana sensazione di annegamento; gli sembrava di essere sott’acqua, in mare aperto, pur essendo tra i boschi.

Tentò di urlare, invano, le parole strozzate come se bloccate da un muro invisibile, la lingua incapace di muoversi: era colpa del sangue.

Le forze si affievolirono, e la mano posta poco prima sul punto del taglio appariva macchiata di rosso. Si accasciò a terra, il corpo smosso dal dolore, mentre l’altro con freddezza puliva la lama dell’arma sul suo pantalone. Lo guardava, irto su di lui, rantolarsi furiosamente in preda alla sofferenza, e fu in quel momento che i loro sguardi si incrociarono per l’ultima volta: «Addio…» lo salutò, beffardo, con un cenno della mano, la voce ironica e un tenebroso sorriso sulle labbra. Così, il cicerone, morì.

Serie: LA VALLE DELLE LACRIME


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni