
Non è affidabile
Serie: The place
- Episodio 1: Fogli di carta
- Episodio 2: Identità
- Episodio 3: Il resto è mancia
- Episodio 4: Com’è la guerra?
- Episodio 5: Vera
- Episodio 6: Per l’ultima volta
- Episodio 7: Fine?
- Episodio 8: Sei giorni dopo
- Episodio 9: Marmellata di arance
- Episodio 10: Ti ricordi di me?
- Episodio 1: Nella pancia della balena
- Episodio 2: C’è qualcuno
- Episodio 3: Non è affidabile
- Episodio 4: Peccatori
- Episodio 5: Di nuovo sola?
STAGIONE 1
STAGIONE 2
“Chi va là?” tuonò la voce di Oswald. Mina restò immobile, come osservando la scena dall’esterno. Lo sconosciuto rimaneva fermo, nascosto dietro la colonna avvolta dal buio, una massa umanoide con due occhi brillanti.
È un mostro, pensò Mina mentre la pancia le si riempiva di ghiaccio. È il demonio.
“Chi sei?” ripeté Oswald.
“Credo che-” attaccò Mina, ma la sua voce venne sovrastata da quella della figura.
“Non vi farò del male” disse. La voce rimbombò contro le pareti nude del palazzo, dando l’impressione di arrivare da molto lontano.
È perché arriva dall’inferno.
“Nemmeno noi” rispose con decisione Oswald. “Se manterrai la tua parola” aggiunse rafforzando il tono della voce.
Mina osservò la capacità di Oswald di proclamare ultimatum che erano palesemente dei bluff. Da lontano, complice il giaccone imbottito, poteva anche sembrare un omone, ma lei aveva notato le fossette nelle guance e la pelle cadente dai tricipiti.
“Perché siete qui?” disse lo sconosciuto. Ora la voce giungeva flebile e insicura, distorta dal il vento che penetrava dalle vetrate.
“Domani mattina toglieremo il disturbo” rispose cautamente Oswald.
L’uomo dietro la colonna esitò. Lo scambio di battute fino a quel momento sembrava una sorta di copione; un procedimento standard tratto da un ipotetico manuale di sopravvivenza nel mondo post-apocalittico.
Finalmente disse: “Avete da mangiare?”
Mina ascoltava, in cuor suo speranzosa che Oswald rispondesse no, non abbiamo nulla da mangiare, vattene!
Ricordò il rapinatore al negozio di alimentari; l’adescatore nel vicolo ; le esplosioni e il ragazzo bruciato dalle radiazioni. E concluse che no, non ci si poteva fidare. Avrebbero dovuto essere solo lei e Oswald.
“Sì” rispose Oswald.
Mina si irrigidì. Protese la mano verso il vecchio, toccandogli la spalla. Lui alzò la mano destra, facendole intendere di lasciarlo fare. E allora lei capì: Oswald stava giocando una partita a scacchi con la sorte, e lei non doveva disturbarlo mentre ragionava sulla prossima mossa.
D’un tratto, la figura iniziò ad emergere gradualmente dalla colonna, separandosi da essa fino a staccarvisi del tutto. Si avvicinò lentamente, e a ogni passo il clangore di un ferro calpestato o lo schiocco di un coccio di vetro infranto risuonavano tra le mura di cemento.
Mina tratteneva il respiro. E più quello si avvicinava, passando dall’ombra alla luce danzante del fuoco, più i suoi tratti si facevano umani, caldi, e allo stesso tempo fragili. I punti luminosi diventavano occhi scavati in un volto deperito che guardavano nervosamente in tutte le direzioni. E la marcia impetuosa diventava una serie di passi timidi e incerti.
Ecco che dal buio apparve un giovane affamato e terrorizzato. Loro erano in due. Avevano fuoco e cibo. Lui era da solo, e indossava un maglioncino leggero di cotone sgualcito.
Oswald si alzò. Un istante dopo Mina fece lo stesso. “Mi chiamo Oswald. E lei è Mina.”
“Jonathan” mormorò il ragazzo lanciando ora un’occhiata a Oswald, ora una a Mina, e tenendo d’occhio il buio circostante.
Oswald gli porse la mano, un gesto scattante, quasi meccanico che rivelava incertezza dietro una maschera di apparente sicurezza. Mina porse la sua solo dopo che la mano del ragazzo si separò da quella di Oswald, come a voler essere sicura che quel gesto di commiato non fosse fatale.
Lo invitarono a sedersi attorno al fuoco e gli offrirono del brodo, che Jonathan bevve avidamente. “Buono…” mormorò asciugandosi la bocca con la manica del maglione, la testa china sul barattolo di plastica. “Ne avete dell’altro?”
Gli fu servito altro brodo.
“È tutto il giorno che camminiamo” spiegò Oswald quando Jonathan ebbe finito. “Poi abbiamo notato questo edificio abbandonato.”
Jonathan annuì con un cenno del capo. Il calore del fuoco e la brodaglia sembravano averlo rinvigorito. Parlava guardandosi attorno, ma si notava un principio di confidenza celato dietro il velo di prudenza. “Io dormo qui dal giorno dell’esplosione. Due piani più in su” disse indicando il soffitto con l’indice. “Stavo per addormentarmi, quando ho udito dei rumori. Me ne sono stato zitto ad ascoltare, convinto che fossero i soliti ratti…” si interruppe notando lo sguardo inorridito di Mina. “Beh, ho imparato a conviverci” disse abbassando gli occhi. Oswald non sembrava toccato da quel particolare.
“Comunque, il bagliore che filtrava dalla tromba delle scale mi ha fatto capire che doveva esserci qualcuno. Diavolo, quando ho capito di esser stato scoperto mi si è gelato il sangue nelle vene.”
“Anche a me, quando ho visto la tua sagoma nel buio” osservò Mina rabbrividendo.
“Non è successo nulla” disse Oswald confortando entrambi. “L’importante è che stiamo bene.”
La conversazione andò avanti per qualche decina di minuti, soffermandosi più che altro su cosa avessero fatto durante i giorni seguenti all’esplosione. Jonathan si lasciò andare, sebbene sia Oswald che Mina notarono un qualcosa di tetro nel suo parlare. Attribuirono entrambi la causa di quello stato a qualcosa che il ragazzo non si sentiva di raccontare, e lo considerarono – Mina un po’ meno – un tipo a posto, tutto sommato.
“Io e Mina” spiegò Oswald, “abbiamo deciso di lasciare la città il prima possibile. È inquinata, e se non ci uccideranno le radiazioni, lo farà la strada.”
Jonathan annuiva tenendo lo sguardo fisso sul fuoco, spostandolo solo di tanto, obliquo, in tanto sugli occhi di Oswald o di Mina. Non sembrava entusiasta della loro decisione, sebbene non fosse nemmeno contrariato. Raccolse un grumo di cemento dal pavimento, lo tenne tra le dita osservandolo e lo gettò nel fuoco.
Oswald si voltò guardando Mina. Lei lo fissò indugiando un istante e poi, timidamente, come se non ne fosse convinta, e agisse secondo le aspettative del vecchio piuttosto che ascoltando i propri pensieri, fece cenno di sì con il capo. Allora Oswald tornò a rivolgersi a Jonathan.
“Ci farebbe piacere se venissi con noi.”
Il ragazzo esitò, guardando le fiamme danzanti, mentre Oswald e Mina aspettavano ansiosi la risposta, il primo sperando in un responso positivo e la seconda, inconsciamente (ma forse nemmeno troppo), in un rifiuto.
“Va bene” rispose infine Jonathan.
Nella sua voce c’era tutto fuorché convinzione, e quell’inflessione leggermente dissonante e tetra indusse Mina ad iniziare a pentirsi del cenno fatto pochi istanti prima a Oswald.
Pensò: questo ragazzo non è affidabile.
Serie: The place
- Episodio 1: Nella pancia della balena
- Episodio 2: C’è qualcuno
- Episodio 3: Non è affidabile
- Episodio 4: Peccatori
- Episodio 5: Di nuovo sola?
Mi piace molto il rapporto che si è venuto a creare tra Oswald e Mina, oserei dire che agiscono quasi in simbiosi. Per quanto riguarda il nuovo arrivato, ho avuto sensazioni discordanti. Come Mina, non saprei se fidarmi o meno. Aspetto il seguito!
Ciao Irene! Felice di aver suscitato questi dubbi… non ci resta che leggere il prossimo capitolo 😉
La storia prosegue, devo ammettere che ho la stessa sensazione di Mina. La suspense è alle stelle. Si cogliere con più decisione come una catastrofe può incidere sui rapporti tra le persone. Quanto lo spirito di sopravvivenza in una situazione estrema può incidere su una personalità. Interessante!!!
Ciao Tiziana! Direi che hai colto il senso di questa serie, anche se a dire il vero i rapporti tra persone non erano un granché anche prima dell’apocalisse.
Grazie come sempre 🙂
Oh ecco un nuovo interessante personaggio! Avrà ragione Mina? Jonathan è davvero un tipo pericoloso? (Di solito le donne hanno un buon intuito😅) Staremo a vedere!
Forse l’intuito di cui parli ha ragione… ma chi può dirlo?
Ciao Nicola. Questo episodio crea un’atmosfera tesa e inquieta, ben costruita fin dalle prime battute. Il ritmo è incalzante e i dialoghi, realistici e misurati, contribuiscono a mantenere alta la suspense. A mio avviso, hai gestito con particolare cura l’ambiguità del nuovo arrivato e lasci il lettore nell’incertezza fino all’ultima riga, proprio come Mina. Si sentono il dubbio e la diffidenza aleggiare anche attorno a un semplice gesto di accoglienza. E’ molto triste, se ci pensiamo, ma credo che sia altrettanto realistico. I tuoi personaggi sono oramai animali malati braccati e questo è l’unico comportamento plausibile quando cerchi di sopravvivere.
Grazie Cristiana! E sì, credo che questo comportamento sia l’unico plausibile, in queste situazioni, sebbene sia effettivamente triste che le cose siano messe in questo modo.
Mina, poi, dopo una vita nell’anonimato e nell’incertezza, incontra una figura (Oswald, un’emarginato come lei) che la fa sentire bene, e non vuole rischiare che tutto venga rovinato da una persona che lei giudica, forse, “come tutti gli altri”.